Ali Rashid e il sentimento della cittadinanza
Ho incontrato Ali Rashid alla Croce Verde di Pietrasanta, dove era venuto per una iniziativa in Versilia della sua lista alle elezioni europee. Ci conosciamo da una trentina di anni, quando, a noi ed a molte compagne e compagni, venne l’idea di realizzare un gemellaggio tra la mia città e Gerusalemme Est; Rashid all’epoca era il Primo Segretario della Delegazione generale palestinese in Italia.Mi ricordo il pensiero che avevo spesso di quanto poco quella semplice e piccola idea avrebbe modificato le difficoltà della vita di centinaia di migliaia di suoi connazionali, che lui ci raccontava. Eppure Rashid era entusiasta e trasmetteva a tutti noi un sentimento inatteso: che esisteva davvero un rapporto solido tra la facile generosità e fantasia nostra, di un piccolo gruppo di militanti di una cittadina europea, e le disgrazie del suo popolo.
Oggi penso che forse non ho mai conosciuto una persona altrettanto intimamente “internazionalista” come Rashid; una persona che nel mondo trova, o almeno cerca, la conferma del suo diritto di far parte di un popolo, per quanto lontano. Cosa c’è di meglio al mondo, se non sentire dappertutto il diritto di essere cittadini di qualcosa, ed essere dappertutto riconosciuti per questo diritto? Cosa restituisce meglio al nostro mondo una speranza di dignità che sta nuovamente perdendo? Neanche, intendo, la speranza di risolvere facilmente, con decreti universali, questi diritti negati; basterebbe la percezione che l'epoca del colonialismo è terminata nel secolo scorso, per innegabile eccesso di prove, e che non si può cambiare le carte ancora una volta per tornare a sofferenze già patite. E cosa altro è tutta l'immonda furbizia che si adopera per negare che ammazzare decina di migliaia di donne, vecchi e bambini sia un genocidio, una guerra che non si combatte tra eserciti, le cui tappe si misurano esclusivamente su quanto si infierisce su un popolo, con l'unico proposito di sradicare anche l'ultima speranza dei "due Stati" e con l'unica novità di cercare quotidianamente di nasconderlo, per manifesta vergogna?
Ali Rashid è candidato nella lista di “Pace, Terra, Dignità” nella circoscrizione Centro, per le prossime elezioni europee (con il nome di Ali Khalil, che questo racconto che mi ha inviato spiega per quale ragione gli venne imposto dalle autorità giordane, per cancellare traccia della sua nazionalità palestinese). Ognuno può decidere cosa rappresenti per noi il suo sentimento di cittadinanza, il suo lungo resistere. Io sono arrivato alla conclusione che, tra le varie cose importanti che oggi sono in gioco, la sua resistenza sia la più importante. Vedo molti sforzi per ripartire, e li apprezzo. Ma non vedo come si possa ripartire lasciando indietro, ormai, anche soltanto il sogno di Rashid della sua antica “casa di pietra bianca”.
Ecco il racconto di Rashid:
“Avevamo una casa di pietra bianca nel mio villaggio: Lifta, fondato 4.000 anni fa dai Cananei con il nome di Niftu, e conosciuta dai Romani come Nifta. Il suo territorio si estendeva fino alla porta di Damasco e alla porta dei Fiori sotto le mura di Gerusalemme. Poco lontano, mio nonno aveva un oliveto su una collina, oggi chiamata la collina francese, con olivi secolari. Mio nonno conosceva ogni olivo, a ciascuno aveva dato un soprannome. (prosegue nell'interno)