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Il deficit non riflette una crisi del carattere degli Americani, di Ezra Klein (6 marzo 2012)

 

Deficits don’t reflect a crisis of American character

Posted by Ezra Klein  03/06/2012

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There are many good points in David Brooks’s
encomium to the life and work of James Q. Wilson, but permit me a quick quibble.

”Every generation has an incentive to spend on itself, but none ran up huge deficits until the current one,” Brooks writes. His point is that the growing federal debt is superficially attributable to higher spending and, more profoundly, is a reflection of changes in the national character. But that’s not what the numbers show. Rather, they show that the growing federal debt is attributable to tax cuts that began in the 1980s and, in the future, to the aging of the population and the ceaseless advance of medical technology.

 

Current deficits reflect the aftermath of a generational financial crisis. They show an economy saving itself, not a generation spending on itself. So let’s go back to 2005, a few years before the recession hit. Gross federal debt was 63.5 percent of GDP. Ten years before that, in 1995, it was 67 percent of GDP. In 1991, the year before Bill Clinton took office, it was 60.7 percent of GDP.

 

Start with that: For the last two decades, debt has been around what it was in the immediate run-up to the crisis. So there’s been no major change to structural deficits in the last 20 years, and thus, no evident change in the national character.

It’s true that gross federal debt was below 60 percent from about 1960 to 1990. That was partly due to a remarkable period of growth, and a disturbing run of inflation (which reduces the real value of debt). Debt began to rise in the 1980s, and not because we began to spend more on ourselves. Spending went from 21.7 percent of GDP in 1980 to 21.9 percent in 1990. Rather, the major change was on the tax side: Revenues fell from 19 percent of GDP to 18 percent of GDP.

 

So perhaps a more accurate way to make Brooks’s point is that every generation has an incentive to cut taxes on itself, but none ran up huge deficits doing so until Ronald Reagan. But that was a previous generation.

Then this generation did the same thing under George W. Bush, of course. Spending rose from 18.6 percent in 2000 to 19.6 percent in 2007, largely due to expenditures related to Sept. 11 and the wars. But the bigger change was, again, on the tax side: Revenues fell from 20.6 percent in 2000 to 18.5 percent in 2007. (I’ve stopped at 2007 because 2008 reflects the financial crisis. But the story is the same if you include 2008.) If we permit the Bush tax cuts to expire at the end of this year, we will have solved most of our deficit problem, though perhaps at the cost of our recovery.

 

That said, we do have a spending problem in the coming years. But it’s not driven by greed, or moral failure, or even new spending decisions. Discretionary spending, in fact, is set to fall to its lowest level since the 1950s. Rather, our projected deficits are driven by the population getting older and the health care sector innovating new and more expensive treatments. Those trends pose budgetary problems that we have to deal with, but they don’t say anything in particular about our national character, or the moral fiber of this generation.

 

 

Il deficit non riflette una crisi del carattere degli Americani

Ezra Klein. 6 marzo 2012

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Ci sono molti punti giusti nell’encomio di David Brooks sulla vite e le opere di James Q. Wilson, ma permettetemi di sottilizzare su un aspetto.

Scrive Brooks: “Ogni generazione ha una tendenza a spendere per se stessa, ma nessuna aveva messo in atto  deficit così ingenti sino a quella attuale”. Il suo argomento è che il debito federale crescente solo superficialmente è attribuibile ad una spesa più elevata, mentre, più nel profondo, riflette i mutamenti nel carattere nazionale. Sennonché non è quello che dicono i numeri. Piuttosto, essi indicano che la crescita del deficit federale è attribuibile ai tagli alle tasse che hanno avuto inizio con gli anni ’80 e, per il futuro, all’invecchiamento della popolazione e all’incessante avanzata delle tecnologie sanitarie.

I deficit attuali sono la conseguenza di una crisi finanziaria generazionale. Essi mostrano una economia che risparmia su se stessa, non una generazione che spende per se stessa. Si torni dunque al 2005, pochi anni prima che la recessione colpisse. Il debito federale lordo era il 63,5 per cento del PIL. Dieci anni prima, nel 1995, esso era il 67 per cento del PIL. Nel 1991, l’anno precedente all’inizio della presidenza di Bill Clinton, era il 60,7 per cento del PIL.

Si parta da quei dati: negli ultimi due decenni, il debito è stato grosso modo simile a quello che era prima della sua impennata con la crisi. Dunque, non c’è stato alcun importante cambiamento di deficit strutturale nel corso degli ultimi 20 anni, e di conseguenza nessun evidente cambiamento nel carattere nazionale.

E’ vero che il debito federale lordo dal 1969 al 1990 era al di sotto del 60 per cento. In parte questo fu dovuto ad un considerevole periodo di crescita,  e ad un effetto di disturbo dell’inflazione (che riduce il valore reale del debito). Il debito cominciò a crescere negli anni ’80, e non perché cominciammo a spendere di più per noi stessi. La spesa passò dal 21,7 per cento del PIL nel 1980 al 21,9 per cento nel 1990. Piuttosto, il mutamento importante fu sul lato delle tasse: le entrate caddero dal 19 al 18 per cento del PIL.

Dunque, un modo forse più preciso si svolgere il tema di Brooks è quello secondo il quale ogni generazione ha un incentivo a ridursi le tasse, ma nessuna in quel modo realizzò vasti deficit sino a Ronald Reagan. Ma quella era una generazione precedente.

Poi, naturalmente, questa generazione fece la stessa cosa  sotto George W. Bush. La spesa salì dal 18,6 per cento nel 2000 al 19,6 per cento nel 2007, in larga parte a seguito delle spese connesse con l’11 Settembre e con le guerre. Ma, ancora una volta, il mutamento più grande venne sul lato delle tasse: le entrate caddero dal 20,6 per cento del 2000 al 18,5 per cento del 2007 (mi sono fermato al 2007, perché nel 2008 si ebbe il riflesso della crisi finanziaria. Ma se si include il 2008, la storia è la stessa). Se faremo in modo che i tagli alle tasse vadano ad esaurimento alla fine di quest’anno, noi avremo risolto gran parte del nostro problema del deficit, sebbene forse al costo della ripresa della nostra economia.

Ciò detto, avremo per davvero un problema di spesa pubblica negli anni avvenire. Ma non sarà provocato dalla avidità, o dal fallimento morale, o neanche da nuove decisioni di spesa. La spesa pubblica discrezionale, ha teso a calare ai suoi livelli più bassi a partire dagli anni ’50. Piuttosto, i nostri deficit previsti sono spinti dalla popolazione che diventa più anziana e dal settore della assistenza sanitaria, che scopre nuovi e più costosi trattamenti. Quelle tendenze aprono problemi di bilancio con i quali dobbiamo misurarci, ma non dicono alcunché di particolare sul nostro carattere nazionale, o sulla fibra morale di questa generazione.

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