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Lavoratori attivi e tasso di disoccupazione, di David Altig (10 maggio 2012)

 

Economist’s view

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David Altig [a]: Labor Force Participation and the Unemployment Rate

 

By now, if you’ve been paying attention to the coverage following the April employment report, you know the following:

  • The March to April decline in the unemployment rate from 8.2 percent to 8.1 percent was arithmetically driven by yet another decline in the labor force participation rate (LFPR).
  • The decline in the LFPR, now at its lowest level since the early 1980s, is itself being influenced by a confounding mix of demographic change and other behavioral changes that nobody seems to understand—a point emphasized by a gaggle of blogs and bloggers such as Brad DeLong, Carpe Diem, Conversable Economist, Free Exchange, and Rortybomb, to name a few.

With respect to the first observation, in a previous post my colleague Julie Hotchkiss described how to use our Jobs Calculator to get a ballpark sense of what the unemployment rate would have been had the LFPR not changed. If you follow those procedures and assume that the LFPR had stayed at the March level of 63.8 percent instead of falling to 63.6 percent, the unemployment rate would have risen to 8.4 percent instead of falling to 8.1 percent.

 

It is clear that interpreting this sort of counterfactual experiment depends critically on how you think about the decline in the LFPR. The aforementioned post at Rortybomb cites two Federal Reserve studies—from the Chicago Fed and the Kansas City Fed—that attempt to disentangle the change in the LFPR that can be explained by trends in the age and composition of the labor force. These changes are presumably permanent and have little to do with questions of whether the labor market is performing up to snuff.

 

 

The following chart, which throws our own estimates into the mix, illustrates the evolution of the actual LFPR along with an estimate of the LFPR adjusted for demographic changes:

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As the header on the chart indicates, our estimates suggest that roughly 40 percent of the change in the LFPR since 2000 can be accounted for by changes in age and composition of the population—in essentially the same range as the Chicago and Kansas City Fed studies. (If you are interested in the technical details you can find a description of the methodology used to generate the chart above, based on work by the University of Chicago’s Rob Shimer.

In other words, 0.9 percentage points of the decline in the LFPR since the beginning of the past recession can be explained by demographic trends (as the baby boomers age, the labor force will grow more slowly than the total population [ages 16 and up]). Subtracting the demographic trends still leaves 1.5 percentage points to be explained, a number right in line with Brad DeLong’s back-of-the-envelope calculation of “cyclical” LFPR change.

 

 

As DeLong’s comments make clear, the interpretation of the nondemographic piece of the LFPR change requires, well, interpretation. And the consequences of connecting the dots between changes in the unemployment rate and broader labor market performance are enormous.

 

In the recently released Summary of Economic Projections following the last meeting of the Federal Reserve’s Federal Open Market Committee, the midpoint of the projections for the unemployment rate at the end of 2013 is 7.5 percent. Turning again to our Jobs Calculator, we can get a sense of what sort of job creation over the next 20 months will be required given different values of the LFPR. For these estimates, I consider three alternatives: The LFPR stays at its April level, the LFPR reverts to our current estimate of the demographically adjusted level (that is, increases by 1.5 percentage points), and an intermediate case in which the LFPR increases by 0.7 percentage points—the lower end of DeLong’s estimate of “people who really ought to be in the labor force right now, but who are not.”


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DeLong asks:

“Are [people who really ought to be in the labor force right now, but who are not] now part of the ‘structurally’ non-employed who we will never see back at work, barring a high-pressure economy of a kind we see at most once in a generation?”

As you can see, the answer to that question matters a lot to how we should think about progress on the unemployment rate going forward.

 

Economist’s view

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David Altig: lavoratori attivi [1] e tasso di disoccupazione.

 

 

 

Al momento, se avete fatto attenzione alle notizie che hanno accompagnato il rapporto sull’occupazione in aprile, siete al corrente di quanto segue:

  • Il declino della disoccupazione dall’ 8,2 all’ 8,1 % da marzo ad aprile è stato aritmeticamente provocato dall’altro tasso di popolazione lavorativa attiva (LFPR) anch’esso declinante.
  • Il declino del LFPR, ora al suo livello più basso dai primi anni ’80, è stato anch’esso influenzato da un contradditorio mix di cambiamenti demografici e di altri cambiamenti nel comportamenti che nessuno sembra comprendere – aspetto enfatizzato da un gruppo di bloggers come Brad DeLong, Carpe Diem, Conversable Economist, Free Exchange e Rortybomb, per dirne alcuni.

In relazione alla prima osservazione, in un precedente post la mia collega Julie Hotchkiss [2] ha descritto come usare il nostro Calcolatore sui posti di lavoro  in modo da ottenere un approssimativa raffigurazione di quello che il tasso di disoccupazione sarebbe stato se il tasso di popolazione lavorativa attiva non fosse cambiato. Se si seguono queste procedure e si assume che il tasso di popolazione lavorativa attiva sia rimasto al livello di marzo del 63,8 per cento, anziché scendere al 63,6 per cento, il tasso di disoccupazione sarebbe salito all’8,4 per cento, anziché scendere all’8,1 per cento.

E’ chiaro che interpretare questa specie di esperimento contrario all’apparenza dei fatti [3] dipende in modo rilevante da quello che si pensa a proposito del declino della popolazione lavorativa attiva. Il precedentemente ricordato post su Rortybomb cita due studi della Federal Reserve – dalla Fed di Chicago e da quella di Kansas City – che cercano di separare il mutamento nel LFPR che può essere spiegato dalle tendenze dell’età della popolazione e dalla composizione delle forze di lavoro. Questi cambiamenti sono permanenti ed hanno poco a che fare con le domande relativamente al fatto che il mercato del lavoro abbia una prestazione smorzata.

Il diagramma seguente, che getta nella mischia le nostre stesse stime, illustra l’evoluzione dello LFPR effettivo assieme ad una stima dello LFPR corretta sulla base dei mutamenti demografici:

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Come la cima del diagramma indica [4], le nostre stime suggeriscono che circa un 40 per cento del cambiamento nel tasso di attività a cominciare dal 2000 può essere messo nel conto dei cambiamenti nell’età e nella composizione della popolazione – essenzialmente la stessa gamma di stime degli studi delle Fed di Chicago e di Kansas City (se siete interessati potete trovare una descrizione della metodologia usata per produrre il diagramma di cui sopra, basandovi sul lavoro di Rob Shimer dell’Università di Chicago).

In altre parole, 0,9 punti percentuali del declino del tasso di attività dall’inizio dell’ultima recessione possono essere spiegati dalle tendenze demografiche (come i baby boomers [5] invecchieranno, la forza lavoro crescerà più lentamente rispetto alla popolazione complessiva (di 16 anni e più). Sottraendo le tendenze demografiche restano ancora 1,5 punti percentuali che devono essere spiegati, un numero esattamente in linea con il calcolo approssimativo di Brad DeLong sul mutamento “ciclico” del tasso di attività.

Come mettono in chiaro i commenti di DeLong, l’interpretazione della componente non demografica del cambiamento del tasso di attività richiede un ragionamento. E le conseguenze del comporre le tessere del puzzle tra i mutamenti nel tasso di disoccupazione e le prestazioni più in generale del mercato del lavoro sono enormi.

 

Nel Sommario delle Prospettive economiche recentemente pubblicato a seguito dell’ultima riunione del Comitato a mercato aperto della Fed [6], il punto di equilibrio delle previsioni per il tasso di disoccupazione alla fine del 2013 è il 7,5 per cento. Tornando ancora al nostro Calcolatore dei Posti di Lavoro, possiamo in qualche modo farci un’idea della creazione di posti di lavoro che sarà necessaria nei prossimi 20 mesi, dati differenti valori del tasso di attività. Per queste stime, considero tre alternative: che il tasso di attività si mantenga al suo livello di aprile, che esso ritorni alla nostra stima attuale del livello demograficamente corretto (vale a dire che cresca di 1,5 punti), e il caso intermedio nel quale il tasso di attività si accresca di 0,7 punti percentuali – il punto più basso della stima di DeLong delle “persone che in effetti dovrebbero far parte della forza lavoro in questo momento, ma non ne fanno parte”.

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Si chiede DeLong:

“(Le persone che in questo momento dovrebbero essere effettivamente nella forza lavoro, ma non ci sono) sono oggi una parte degli “strutturalmente” non-occupati  che non vedremo mai tornare al lavoro, bloccando una economia in condizioni di alta pressione in un modo che vediamo al massimo una volta in una generazione?”.

Come potete vedere, la risposta a quella domanda ha molta importanza a proposito di quello che dovremmo pensare sugli sviluppi del tasso di disoccupazione d’ora in avanti.


 

 


[1] La “labor force participation” è il numero dei lavoratori attivi, ovvero che effettivamente sono occupati o che ricercano attivamente un lavoro; il corrispondente “rate” è il tasso di popolazione (lavorativa) attiva.

[2] Economista e ricercatrice presso la Fed di Atlanta.

[3] Una banale affermazione “counterfactual” è quella famigerata secondo la quale se la nonna avesse le ruote, sarebbe una carrozza. Una più complessa affermazione “conterfactual” è quella relativa alle cose che sarebbero accadute se il Fronte Popolare delle sinistre avesse vinto le elezioni del 1948.

[4] Il diagramma, visibile con un po’ di zoom, indica nella linea blu la diminuzione effettiva della popolazione attiva e nella linea rossa la diminuzione corretta sulla base delle considerazioni dei mutamenti demografici.

[5] Un baby boomer è una persona nata tra il 1945 ed il 1964 nel Regno unito, negli Stati Uniti, in Canada o in Australia. Dopo la Seconda guerra mondiale questi paesi evidenziarono un grande incremento nelle nascite, un fenomeno comunemente conosciuto come baby boom. (Wikipedia)

[6] Il Federal Open Market Committee (italiano Comitato federale del mercato aperto, FOMC) è un organismo della Federal Reserve incaricato di sorvegliare le operazioni di mercato aperto negli Stati Uniti e ne è il principale strumento di politica monetaria. Il FOMC regola la politica monetaria specificando l’obiettivo a breve termine ovvero decidendo il federal funds rate, ovvero livello dei tassi d’interesse negli USA. (Wikipedia)



[a] David Altig è VicePresidente e direttore del settore ricerche della Fed di Atlanta.

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