Who’s Very Important?
By PAUL KRUGMAN
Published: July 12
“Is there a V.I.P. entrance? We are V.I.P.” That remark, by a donor waiting to get in to one of Mitt Romney’s recent fund-raisers in the Hamptons, pretty much sums up the attitude of America’s wealthy elite. Mr. Romney’s base — never mind the top 1 percent, we’re talking about the top 0.01 percent or higher — is composed of very self-important people.
Specifically, these are people who believe that they are, as another Romney donor put it, “the engine of the economy”; they should be cherished, and the taxes they pay, which are already at an 80-year low, should be cut even further. Unfortunately, said yet another donor, the “common person” — for example, the “nails ladies” — just doesn’t get it.
O.K., it’s easy to mock these people, but the joke’s really on us. For the “we are V.I.P.” crowd has fully captured the modern Republican Party, to such an extent that leading Republicans consider Mr. Romney’s apparent use of multimillion-dollar offshore accounts to dodge federal taxes not just acceptable but praiseworthy: “It’s really American to avoid paying taxes, legally,” declared Senator Lindsey Graham, Republican of South Carolina. And there is, of course, a good chance that Republicans will control both Congress and the White House next year.
If that happens, we’ll see a sharp turn toward economic policies based on the proposition that we need to be especially solicitous toward the superrich — I’m sorry, I mean the “job creators.” So it’s important to understand why that’s wrong.
The first thing you need to know is that America wasn’t always like this. When John F. Kennedy was elected president, the top 0.01 percent was only about a quarter as rich compared with the typical family as it is now — and members of that class paid much higher taxes than they do today. Yet somehow we managed to have a dynamic, innovative economy that was the envy of the world. The superrich may imagine that their wealth makes the world go round, but history says otherwise.
To this historical observation we should add another note: quite a few of today’s superrich, Mr. Romney included, make or made their money in the financial sector, buying and selling assets rather than building businesses in the old-fashioned sense. Indeed, the soaring share of the wealthy in national income went hand in hand with the explosive growth of Wall Street.
Not long ago, we were told that all this wheeling and dealing was good for everyone, that it was making the economy both more efficient and more stable. Instead, it turned out that modern finance was laying the foundation for a severe economic crisis whose fallout continues to afflict millions of Americans, and that taxpayers had to bail out many of those supposedly brilliant bankers to prevent an even worse crisis. So at least some members of the top 0.01 percent are best viewed as job destroyers rather than job creators.
Did I mention that those bailed-out bankers are now overwhelmingly backing Mr. Romney, who promises to reverse the mild financial reforms introduced after the crisis?
To be sure, many and probably most of the rich do, in fact, contribute positively to the economy. However, they also receive large monetary rewards. Yet somehow $20 million-plus in annual income isn’t enough. They want to be revered, too, and given special treatment in the form of low taxes. And that is more than they deserve. After all, the “common person” also makes a positive contribution to the economy. Why single out the rich for extra praise and perks?
What about the argument that we must keep taxes on the rich low lest we remove their incentive to create wealth? The answer is that we have a lot of historical evidence, going all the way back to the 1920s, on the effects of tax increases on the rich, and none of it supports the view that the kinds of tax-rate changes for the rich currently on the table — President Obama’s proposal for a modest rise, Mr. Romney’s call for further cuts — would have any major effect on incentives. Remember when all the usual suspects claimed that the economy would crash when Bill Clinton raised taxes in 1993?
Furthermore, if you’re really concerned about the incentive effects of public policy, you should be focused not on the rich but on workers making $20,000 to $30,000 a year, who are often penalized for any gain in income because they end up losing means-tested benefits like Medicaid and food stamps. I’ll have more to say about that in another column. By the way, in 2010, the average annual wage of manicurists — “nails ladies,” in Romney-donor speak — was $21,760.
So, are the very rich V.I.P.? No, they aren’t — at least no more so than other working Americans. And the “common person” will be hurt, not helped, if we end up with government of the 0.01 percent, by the 0.01 percent, for the 0.01 percent.
Chi è molto importante?, di Paul Krugman
New York Times 12 luglio 2012
“C’è un’entrata per i VIP? Noi siamo VIP. ” Questa esclamazione, da parte di un donatore in attesa di entrare in uno dei recenti eventi di raccolta di fondi di Mitt Romney negli Hamptons [1], riassume abbastanza bene l’attitudine della élite dei ricchi americani. La base del signor Romney – qua non parliamo dell’1 per cento, ma dello 0,01 per cento dei più ricchi, se non di quelli che stanno ancora più in alto – è composta da individui che hanno la massima considerazione per se stessi.
In particolare, queste sono le persone che credono di essere, come ha detto un altro donatore, “il motore dell’economia”; essi dovrebbero essere adorati e protetti e le tasse che pagano, che sono già il minimo degli ultimi ottant’anni, dovrebbero persino essere tagliate ulteriormente. Sfortunatamente, ha detto un altro donatore, le “persone comuni” – ad esempio le ‘signore delle unghie” [2]– proprio non lo capiscono.
E’ vero, è facile ironizzare su questi individui, ma lo scherzo in effetti riguarda noi stessi. Perché il popolo del “noi siamo i VIP” si è interamente impossessato del Partito Repubblicano dei giorni nostri, al punto che i dirigenti repubblicani considerano l’uso che il signor Romney sembra fare dei conti in banca multimilionari all’estero per evadere le tasse federali non solo accettabile, ma meritevole di elogio: “E’ americano al cento per cento evitare di pagare le tasse legalmente”, ha dichiarato il Senatore Lindsey Graham, repubblicano del South Carolina. E c’è, senza dubbio, una discreta possibilità che i Repubblicani prendano il controllo sia del Congresso che della Casa Bianca l’anno prossimo.
Se ciò accadrà, assisteremo ad una brusca svolta verso politiche economiche basate sul preconcetto della massima indispensabile sollecitudine verso i super-ricchi – spiacente, volevo dire i “creatori di posti di lavoro”. Dunque, è importante capire perché sia sbagliato.
La prima cosa che si deve sapere è che l’America non è sempre stata come oggi. Quando John F. Kennedy fu eletto Presidente, lo 0,01 per cento dei benestanti era più ricco soltanto di un quarto rispetto alla famiglia tipica americana dei nostri giorni – e i membri di quella classe sociale pagavano, al confronto di oggi, tasse più alte. Tuttavia, in qualche modo gestivamo un’economia dinamica ed innovativa, che era l’invidia del mondo. I super-ricchi possono immaginarsi che sia la loro ricchezza a far girare il mondo, ma la storia ci dice altro.
A questa considerazione storica dovremmo aggiungere un’altra osservazione: un buon numero tra i ricchi dei nostri giorni, incluso il signor Romney, fanno o hanno fatto soldi nel settore finanziario, comprando e vendendo patrimoni, piuttosto che costruendo imprese nel senso tradizionale. In effetti, la quota dei più ricchi nel reddito nazionale è salita alle stelle di pari passo alla crescita esplosiva di Wall Street.
Non molto tempo fa ci veniva detto che tutti questi intrallazzi finanziari erano un’ottima cosa per tutti, che questo stava rendendo l’economia sia più redditizia che più stabile. Invece si è scoperto che la moderna finanza stava preparando il terreno ad una grave crisi economica i cui effetti continuano ad affliggere milioni di americani, ed i contribuenti hanno dovuto mettere in salvo molti dei presunti brillanti banchieri, al fine di prevenire una crisi anche peggiore. Dunque, almeno alcuni dei membri dello 0,01 per cento andrebbero meglio considerati come dei distruttori, anziché creatori, di posti di lavoro.
Ho dimenticato di dire che quei miracolati banchieri stanno oggi compattamente sostenendo il signor Romney, che per suo conto promette di rovesciare le blande riforme finanziarie introdotte a seguito della crisi?
E’ certo che molti, probabilmente la maggior parte dei ricchi, danno un contributo positivo all’economia. Tuttavia, ricevono anche ampi compensi monetari. Ma, in qualche modo, 20 milioni di dollari di reddito annuale non bastano. Costoro vogliono pure essere ossequiati, vogliono ricevere un trattamento speciale nella forma di una tassazione minima. Il che è più di quanto si meritano. Dopo tutto, anche le “persone comuni” danno un contributo positivo all’economia. Perché fare oggetto di attenzione esclusiva i ricchi, con elogi e benefici straordinari?
Che dire dell’argomento secondo il quale dovremmo tenere basse le tasse sui ricchi per non correre il rischio di togliere loro l’incentivo a creare ricchezza? La risposta è che abbiamo una grande quantità di prove dalla storia, risalendo sino agli anni ’20, sugli effetti degli incrementi fiscali sui ricchi, e nessuna di queste conferma il punto di vista secondo il quale il genere di cambiamenti delle aliquote fiscali attualmente sul tavolo – la proposta di un modesto incremento da parte del Presidente Obama e la richiesta di ulteriori tagli da parte di Romney – avrebbe un qualsiasi effetto significativo su tali incentivi. Si ricorda quando i soliti noti sostenevano che l’economia sarebbe crollata, al momento in cui Bill Clinton aumentò le tasse nel 1993?
Per di più, se si è davvero preoccupati degli effetti di incentivazione delle politiche della amministrazione pubblica, non ci si dovrebbe concentrare sui ricchi, bensì sui lavoratori che realizzano da 20.000 a 30.000 dollari all’anno, che spesso sono penalizzati da qualsiasi incremento di reddito, giacché finiscono col perdere i benefici connessi alle condizioni di reddito [3] quali Medicaid o i sussidi alimentari. Per inciso, nel 2010, il salario medio annuale delle addette ai servizi di manicure – le “signore delle unghie” nel linguaggio del donatore di Romney – era di 21.760 dollari.
Dunque, i ricchissimi sono Persone Molto Importanti? No, non lo sono – almeno non di più degli altri americani che lavorano. E le “persone comuni” subiranno un danno, non un beneficio, se ci ritroveremo con un governo di quelli dello 0,01 per cento, da parte di quelli dello 0,01 per cento, nell’interesse di quelli dello 0,01 per cento.
[1] L’espressione geografica Hamptons si riferisce specificatamente alle towns di Southampton e East Hampton che si trovano all’estremità orientale di Long Island, sulla penisola nota come South Fork. Southampton e East Hampton fanno parte della Contea di Suffolk. Gli Hamptons sono famosi per ospitare le residenze in cui molti benestanti di New York trascorrono le vacanze estive e i fine settimana.
[2] Le “nails ladies” (“signore dei unghie”) sono le addette alle attività di manicure e di pedicure, ovvero non le frequentatrici ma le lavoratrici.
[3] “means-tested benefits” sono tutti quei sussidi che sono disponibili al di sotto di certe soglie di reddito (il corrispettivo di tali soglie in Italia, mi pare, sarebbe il cosiddetto reddito calcolato con i criteri ISEE). Aumentando il reddito, molti lavoratori che ricevono tali sussidi – quali forme gratuite di assistenza sanitaria del programma Medicaid, o aiuti alimentari nella forma di veri e propri ‘buoni-pasto’, in particolare per bambini e neonati – automaticamente finiscono col perdere tali diritti.
By mm
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