A couple of weeks ago the Northeast was in the grip of a severe heat wave. As I write this, however, it’s a fairly cool day in New Jersey, considering that it’s late July. Weather is like that; it fluctuates.
And this banal observation may be what dooms us to climate catastrophe, in two ways. On one side, the variability of temperatures from day to day and year to year makes it easy to miss, ignore or obscure the longer-term upward trend. On the other, even a fairly modest rise in average temperatures translates into a much higher frequency of extreme events — like the devastating drought now gripping America’s heartland — that do vast damage.
On the first point: Even with the best will in the world, it would be hard for most people to stay focused on the big picture in the face of short-run fluctuations. When the mercury is high and the crops are withering, everyone talks about it, and some make the connection to global warming. But let the days grow a bit cooler and the rains fall, and inevitably people’s attention turns to other matters.
Making things much worse, of course, is the role of players who don’t have the best will in the world. Climate change denial is a major industry, lavishly financed by Exxon, the Koch brothers and others with a financial stake in the continued burning of fossil fuels. And exploiting variability is one of the key tricks of that industry’s trade. Applications range from the Fox News perennial — “It’s cold outside! Al Gore was wrong!” — to the constant claims that we’re experiencing global cooling, not warming, because it’s not as hot right now as it was a few years back.
How should we think about the relationship between climate change and day-to-day experience? Almost a quarter of a century ago James Hansen, the NASA scientist who did more than anyone to put climate change on the agenda, suggested the analogy of loaded dice. Imagine, he and his associates suggested, representing the probabilities of a hot, average or cold summer by historical standards as a die with two faces painted red, two white and two blue. By the early 21st century, they predicted, it would be as if four of the faces were red, one white and one blue. Hot summers would become much more frequent, but there would still be cold summers now and then.
And so it has proved. As documented in a new paper by Dr. Hansen and others, cold summers by historical standards still happen, but rarely, while hot summers have in fact become roughly twice as prevalent. And 9 of the 10 hottest years on record have occurred since 2000.
But that’s not all: really extreme high temperatures, the kind of thing that used to happen very rarely in the past, have now become fairly common. Think of it as rolling two sixes, which happens less than 3 percent of the time with fair dice, but more often when the dice are loaded. And this rising incidence of extreme events, reflecting the same variability of weather that can obscure the reality of climate change, means that the costs of climate change aren’t a distant prospect, decades in the future. On the contrary, they’re already here, even though so far global temperatures are only about 1 degree Fahrenheit above their historical norms, a small fraction of their eventual rise if we don’t act.
The great Midwestern drought is a case in point. This drought has already sent corn prices to their highest level ever. If it continues, it could cause a global food crisis, because the U.S. heartland is still the world’s breadbasket. And yes, the drought is linked to climate change: such events have happened before, but they’re much more likely now than they used to be.
Now, maybe this drought will break in time to avoid the worst. But there will be more events like this. Joseph Romm, the influential climate blogger, has coined the term “Dust-Bowlification” for the prospect of extended periods of extreme drought in formerly productive agricultural areas. He has been arguing for some time that this phenomenon, with its disastrous effects on food security, is likely to be the leading edge of damage from climate change, taking place over the next few decades; the drowning of Florida by rising sea levels and all that will come later.
And here it comes.
Will the current drought finally lead to serious climate action? History isn’t encouraging. The deniers will surely keep on denying, especially because conceding at this point that the science they’ve trashed was right all along would be to admit their own culpability for the looming disaster. And the public is all too likely to lose interest again the next time the die comes up white or blue.
But let’s hope that this time is different. For large-scale damage from climate change is no longer a disaster waiting to happen. It’s happening now.
Truccare i dati del clima, di Paul Krugman
New York Times 22 luglio 2012
Un paio di settimane fa il Nordest era alle prese con una forte ondata di caldo. Nel momento in cui scrivo, tuttavia, è un giorno piuttosto fresco nel New Jersey, considerando che siamo alla fine di luglio. Il tempo è così: fluttua.
E in questa banale osservazione ci può essere quanto ci condanna alla catastrofe del clima, in due sensi. Da una parte, la variabilità delle temperature, di giorno in giorno e di anno in anno, rende facile non cogliere, ignorare o confondere le tendenze di lungo periodo al rialzo delle temperature. Dall’altra, persino una crescita abbastanza modesta delle temperature medie si traduce in una frequenza molto più elevata di eventi estremi – come la devastante siccità che adesso stringe in una morsa la zona centrale dell’America – che produce ampi danni.
Quanto al primo punto: persino con la migliore volontà del mondo, sarebbe difficile per la maggior parte delle persone prestare attenzione all’andamento più generale, in presenza di eventi variabili nel breve periodo. Quando il mercurio sale e i raccolti seccano, tutti ne parlano, ed alcuni intendono il nesso con il riscaldamento globale. Ma lasciate che i giorni si facciano un po’ più freddi e che cada la pioggia, e inevitabilmente l’attenzione della gente si sposterà su altro.
A rendere le cose molto peggiori, è naturale, c’è poi il ruolo di quei soggetti che non hanno affatto quella buona volontà. Il negazionismo del cambiamento climatico è una industria rilevante, generosamente foraggiata dalla Exxon, dai fratelli Koch [1] e da altri con interessi finanziari nell’utilizzo ininterrotto dei combustibili fossili. E approfittare della variabilità è uno dei trucchi fondamentali di quel ramo d’industria. C’è qua una gamma di applicazioni che va dalle eterne battute della Fox News – “Fa freddo fuori! Al Gore sbagliava!” – sino alle continue pretese secondo le quali saremmo alle prese con un raffreddamento, non con un riscaldamento, globale, giacché in questo momento non è caldo come era pochi anni fa.
In che modo dovremmo ragionare sulla relazione tra il cambiamento climatico e l’esperienza del giorno per giorno? Quasi venticinque anni orsono James Hansen, lo scienziato della NASA che ha fatto più di ogni altro per porre il cambiamento climatico al centro delle nostre urgenze, suggerì l’analogia dei dadi truccati. Si immagini, suggerirono lui ed i suoi colleghi, di rappresentare le probabilità di avere, secondo le serie storiche, un’estate calda, media o fredda, con un dado con due facce colorate di rosso, due di bianco e due di blu. Essi avevano previsto che, per gli inizi del XXI secolo, quattro di quelle facce sarebbero state rosse, una bianca ed una blu. Le estati calde sarebbero diventate molto più frequenti, ma ci sarebbe state, qua e là, ancora estati fredde.
E quello è stato ciò che è accaduto. Come è documentato in un nuovo saggio a cura di Hansen ed altri, si danno ancora estati fredde secondo le serie storiche, ma raramente, mentre le estati calde sono diventate prevalenti all’incirca del doppio. E 9 dei 10 più caldi anni delle serie conosciute si sono avuti all’indomani dell’anno 2000.
Ma non è tutto: temperature in effetti estremamente elevate, quel genere di eventi che erano soliti avvenire molto raramente nel passato, oggi sono diventati abbastanza comuni. E’ come con i dadi si vi uscissero due “sei”, la qualcosa accade in meno del tre per cento dei casi con dei dadi corretti, ma molto più spesso quando sono truccati. E questa crescente incidenza degli eventi estremi, che riflette la stessa variabilità del tempo e che può offuscare la realtà del cambiamento climatico, significa che i costi di quel cambiamento non sono una prospettiva lontana decenni nel futuro. Al contrario, sono già qua, persino se sino ad ora le temperature globali si sono collocate soltanto un grado Fahrenheit sopra le normali serie storiche, ovvero una piccola frazione della loro crescita complessiva se non agiremo.
La grande siccità del Midwest è un esempio di questa situazione. Questa siccità ha già spinto i prezzi del granturco ai loro livelli massimi. Se questo continua, potrebbe provocare una crisi alimentare globale, giacché l’area centrale degli Stati Uniti è ancora il granaio del mondo. E in effetti la siccità è collegata al cambiamento climatico: eventi del genere sono accaduti in precedenza, ma sono molto più probabili oggi di quanto non fossero in passato.
Ora, forse questa siccità si interromperà in tempo per evitare il peggio. Ma ci saranno altri eventi come questo. Joseph Romm, l’influente blogger in materia di clima, ha coniato l’espressione “Dust-bowlification [2]” per la prospettiva di prolungati periodi di siccità in aree agricole un tempo produttive. Egli da un po’ di tempo viene sostenendo che questo fenomeno, con i suoi effetti disastrosi sulla sicurezza alimentare, è probabile che divenga l’indicatore primario del danno derivante dal cambiamento del clima che si manifesterà nel corso dei prossimi decenni; cose come l’allagamento della Florida per i livelli crescenti del mare verranno successivamente.
E questo è il punto.
L’attuale siccità comporterà finalmente una seria iniziativa sul clima? La storia non è incoraggiante. I negazionisti certamente continueranno a negare, specialmente perché ammettere a questo punto che la scienza che avevano trattato in modo sprezzante aveva avuto da sempre ragione, sarebbe come riconoscere la loro stessa responsabilità nel disastro incombente. Ed anche l’opinione pubblica è probabile che perda interesse ancora una volta, la prossima volta che sul dado uscirà un bianco o un blu.
Ma speriamo che questa volta vada in modo diverso. Perché un danno su larga scala dal cambiamento del clima non è più un qualcosa da attendere. E’ un disastro in corso in questo momento.
[1] I Koch sono una famiglia di industriali americani che normalmente finanzia molte attività politiche, di ricerca e di propaganda, della destra americana. Le “Industrie Koch” sono il secondo più grande gruppo industriale privato americano, con un reddito annuo stimato in un centinaio di miliardi di dollari. Qua sotto due fratelli:
[2] Con il termine Dust Bowl (in inglese: conca di polvere) si indica una serie di tempeste di sabbia che colpirono gli Stati Uniti centrali e il Canada tra il 1931 e il 1939, causate da decenni di tecniche agricole inappropriate e dalla mancanza di rotazione delle colture. Il terreno fertile delle Grandi Pianure era esposto ad arature profonde che finivano per distruggere l’erba che ne assicurava l’idratazione. Durante la siccità, il suolo si seccò diventando polvere, e venne soffiato via verso est, principalmente in grandi nuvole nere. Talvolta queste nuvole di polvere oscuravano il cielo fino a Chicago, e gran parte della terra rimossa si perse completamente nell’Oceano Atlantico. Questo disastro ecologico causò un esodo da Texas, Kansas, Oklahoma, e dalle grandi pianure circostanti, con oltre mezzo milione di americani che restarono senza casa.
Per estensione, la definizione di quegli eventi climatici è rimasta ad indicare le aree del “profondo Sud”; così come il sostantivo “dust-bowler” normalmente indica il contadino del Texas.
Mi pare si possa riconoscere che l’espressione sia intraducibile. Questa è una suggestiva immagine di una “dust-bowl”.
By mm
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