Republicans came into this campaign believing that it would be a referendum on President Obama, and that still-high unemployment would hand them victory on a silver platter. But given the usual caveats — a month can be a long time in politics, it’s not over until the votes are actually counted, and so on — it doesn’t seem to be turning out that way.
Yet there is a sense in which the election is indeed a referendum, but of a different kind. Voters are, in effect, being asked to deliver a verdict on the legacy of the New Deal and the Great Society, on Social Security, Medicare and, yes, Obamacare, which represents an extension of that legacy. Will they vote for politicians who want to replace Medicare with Vouchercare, who denounce Social Security as “collectivist” (as Paul Ryan once did), who dismiss those who turn to social insurance programs as people unwilling to take responsibility for their lives?
If the polls are any indication, the result of that referendum will be a clear reassertion of support for the safety net, and a clear rejection of politicians who want to return us to the Gilded Age. But here’s the question: Will that election result be honored?
I ask that question because we already know what Mr. Obama will face if re-elected: a clamor from Beltway insiders demanding that he immediately return to his failed political strategy of 2011, in which he made a Grand Bargain over the budget deficit his overriding priority. Now is the time, he’ll be told, to fix America’s entitlement problem once and for all. There will be calls — as there were at the time of the Democratic National Convention — for him to officially endorse Simpson-Bowles, the budget proposal issued by the co-chairmen of his deficit commission (although never accepted by the commission as a whole).
And Mr. Obama should just say no, for three reasons.
First, despite years of dire warnings from people like, well, Alan Simpson and Erskine Bowles, we are not facing any kind of fiscal crisis. Indeed, U.S. borrowing costs are at historic lows, with investors actually willing to pay the government for the privilege of owning inflation-protected bonds. So reducing the budget deficit just isn’t the top priority for America at the moment; creating jobs is. For now, the administration’s political capital should be devoted to passing something like last year’s American Jobs Act and providing effective mortgage debt relief.
Second, contrary to Beltway conventional wisdom, America does not have an “entitlements problem.” Mainly, it has a health cost problem, private as well as public, which must be addressed (and which the Affordable Care Act at least starts to address). It’s true that there’s also, even aside from health care, a gap between the services we’re promising and the taxes we’re collecting — but to call that gap an “entitlements” issue is already to accept the very right-wing frame that voters appear to be in the process of rejecting.
Finally, despite the bizarre reverence it inspires in Beltway insiders — the same people, by the way, who assured us that Paul Ryan was a brave truth-teller — the fact is that Simpson-Bowles is a really bad plan, one that would undermine some key pieces of our safety net. And if a re-elected president were to endorse it, he would be betraying the trust of the voters who returned him to office.
Consider, in particular, the proposal to raise the Social Security retirement age, supposedly to reflect rising life expectancy. This is an idea Washington loves — but it’s also totally at odds with the reality of an America in which rising inequality is reflected not just in the quality of life but in its duration. For while average life expectancy has indeed risen, that increase is confined to the relatively well-off and well-educated — the very people who need Social Security least. Meanwhile, life expectancy is actually falling for a substantial part of the nation.
Now, there’s no mystery about why Simpson-Bowles looks the way it does. It was put together in a political environment in which progressives, and even supporters of the safety net as we know it, were very much on the defensive — an environment in which conservatives were presumed to be in the ascendant, and in which bipartisanship was effectively defined as the effort to broker deals between the center-right and the hard right.
Barring an upset, however, that environment will come to an end on Nov. 6. This election is, as I said, shaping up as a referendum on our social insurance system, and it looks as if Mr. Obama will emerge with a clear mandate for preserving and extending that system. It would be a terrible mistake, both politically and for the nation’s future, for him to let himself be talked into snatching defeat from the jaws of victory.
Il vero referendum, di Paul Krugman
New York Times 30 settembre 2012
I Repubblicani erano entrati in questa campagna elettorale credendo che sarebbe stata un referendum sul Presidente Obama e che una disoccupazione ancora elevata avrebbe loro consegnato la vittoria su un piatto d’argento. Ma, pur con le consuete cautele – un mese può essere un periodo lungo in politica, non è finita finché tutti i voti non sono contati, e via dicendo – non sembra stia andando a finire in quel modo.
Tuttavia c’è una sensazione che queste elezioni siano in effetti un referendum, ma d’altro genere. Agli elettori si sta in effetti chiedendo di emettere un verdetto sull’eredità del New Deal e della Great Society [1], sulla Previdenza Sociale [2], su Medicare e, diciamo pure, sulla riforma della assistenza di Obama, che rappresenta una estensione di quella eredità. Voteranno per gli uomini politici che vogliono sostituire Medicare con Vouchercare [3], che denunciano la Previdenza Sociale come “collettivista” (come disse in una occasione Paul Ryan), che liquidano coloro che si rivolgono ai programmi delle assicurazioni sociali come individui che non vogliono prendersi responsabilità per le loro vite?
Se i sondaggi forniscono una indicazione, il risultato del referendum sarà una chiara conferma di sostegno alle reti della sicurezza ed un chiaro rigetto per gli uomini politici che vogliono tornare alla Gilded Age [4]. Ma ecco la domanda: sarà rispettato il risultato delle elezioni?
Pongo quella domanda perché so già cosa si troverà di fronte Obama se rieletto: un gran chiasso da parte degli addetti ai lavori della Capitale [5] che chiederanno che egli torni immediatamente alla strategia politica fallimentare del 2011, con la quale aveva fatto della ‘Grande Intesa’ sui deficit di bilancio la sua priorità esclusiva. Ora è il momento, gli diranno, di metter mano una volta per sempre al problema dei diritti in America. Ci sarà la richiesta – come c’è stata all’epoca della Convenzione nazionale democratica – perché egli appoggi ufficialmente la Simpson-Bowles, ovvero la proposta di bilancio dai due copresidenti della Commissione sul deficit (per quanto mai accettata dalla Commissione nella sua interezza).
Ed Obama dovrà dire di no, per tre ragioni.
La prima, nonostante anni di terribili ammonimenti da parte di persone come, per l’appunto, Alan Simpson ed Erskine Bowles, noi non siamo di fronte ad una crisi fiscale di alcun genere. In effetti, i costi dell’indebitamento degli Stati Uniti sono ai minimi storici, con gli investitori che sono disponibili a pagare lo Stato per il privilegio di possedere bonds protetti dall’inflazione. Dunque, ridurre il deficit di bilancio non è davvero la massima priorità dell’America in questo momento; prioritario è creare posti di lavoro. Sul momento, il capitale politico della Amministrazione dovrebbe essere rivolto ad approvare qualcosa come la “American Jobs Act” [6] dell’anno passato, ed a offrire un effettivo sollievo al debito dei mutui.
In secondo luogo, contrariamente al senso comune diffuso a Washington, l’America non ha un “problema di diritti” [7]. Principalmente ha un problema di costi della salute, sia privati che pubblici, che deve essere affrontato (e che la legge di riforma della assistenza sanitaria almeno comincia ad affrontare). E’ vero che c’è pure, anche a prescindere dalla assistenza sanitaria, uno scarto tra i servizi che si offrono e le tasse che si pagano – ma definire quello scarto una questione di “diritti” sarebbe già un accettare l’impostazione tipica della destra, secondo la quale gli elettori sembrano essere sulla strada di un rigetto.
Infine, nonostante la curiosa reverenza che esso ispira negli addetti ai lavori della Capitale – le stesse persone, tra parentesi, che ci assicuravano che Paul Ryan fosse un coraggioso amante della verità – il fatto è che il piano Simpson-Bowles è davvero pessimo, tale da far saltare alcuni punti chiave del nostro sistema sociale. E se il rieletto Presidente dovesse appoggiarlo, egli tradirebbe la fiducia degli elettori che lo hanno rimesso in carica.
Si consideri, ad esempio, la proposta di aumentare l’età del pensionamento con la Previdenza Sociale, per aderire alla supposta crescente aspettativa di vita. Questa è un’idea amata da Washington – ma è anche totalmente in contrasto con una realtà nella quale l’ineguaglianza non si riflette solo nella qualità della vita, ma anche nella sua durata Perché, se l’aspettativa media di vita è in effetti cresciuta, quell’incremento è riservato a coloro che sono relativamente benestanti e bene istruiti – le persone che hanno minore bisogno della Previdenza Sociale. Nel frattempo, la aspettativa di vita è in effetti diminuita per una parte sostanziale della popolazione [8].
Ora, non c’è mistero sulle ragioni per le quali la commissione Simpson-Bowles giudica le cose in quel modo. Essa è stata allestita in un contesto politico nel quale i progressisti, e persino i sostenitori del sistema di sicurezza sociale che conosciamo, erano molto sulla difensiva – un contesto nel quale i conservatori si pensava fossero in ascesa, nel quale il metodo bipartizan veniva effettivamente fatto coincidere con lo sforzo di negoziare accordi tra il centro-destra e la destra estrema.
Se si esclude un risultato a sorpresa, tuttavia, quel contesto andrà ad esaurirsi il 6 novembre. Queste elezioni, come ho detto, stanno configurandosi come un referendum sul nostro sistema della sicurezza sociale, e sembra che Obama ne verrà fuori con un chiaro mandato a preservare ed estendere quel sistema. Sarebbe per lui uno sbaglio terribile, sia politicamente che per il futuro del paese, farsi convincere a trasformare in sconfitta una vittoria che ha quasi in mano [9].
[1] La “Great Society” è la denominazione della politica sociale kennediana. Più precisamente, però, il termine si riferisce alla legislazione sociale, in particolare sanitaria, messa in atto con Lindon Johnson, che divenne Presidente a seguito dell’assassinio di John F. Kennedy.
[2] Social Security è il sistema i disposizioni che regola i trattamenti previdenziali assistiti dal contributo pubblico. Corrisponde, dunque, al sistema che noi definiamo della previdenza sociale. Lo traduciamo con lettere maiuscole, perché si tratta comunque di una espressione non generica, ma specificamente indicativa di uno specifico ‘programma’ federale approvato con legge specifica, con la quale si istituiva, il 14 agosto del 1935 nell’ambito del New Deal, l’indennità di disoccupazione, di malattia e di vecchiaia. Successivamente, mi pare di capire, il termine ha finito con l’essere riferito esclusivamente all’aspetto previdenziale
[3] Ovvero, di un modello di assistenza che vuole sostituire Medicare con i “vouchers”, i “buoni sanitari” proposti dai Repubblicani.
[4] Ovvero all’ “Età dell’Oro”, al periodo precedente la grande crisi degli anni Trenta, caratterizzato da un capitalismo selvaggio e da conflitti sociali acutissimi.
[5] “Beltway” è la ‘cintura’ o ‘circonvallazione’ o ‘anulare’. Nel linguaggio politico americano è sinonimo di tutto ciò che sta dentro all’area centrale di Washington nella quale sono concentrati i palazzi del potere politico, delle lobbies, dei media.
[6] La legge proposta da Obama per i “posti di lavoro americani”. In quella occasione Obama pronunciò un rilevante discorso al Congresso che, secondo molti osservatori, segnò un punto di svolta nelle sue posizioni di politica economica e sociale. Questo, comunque, fu il giudizio di Krugman, che da quel momento appoggiò Obama con molta maggiore energia, sino al sostegno quotidiano in questa campagna elettorale.
[7] In questo caso il termine “diritti” ha un significato negativo, sta per un eccesso di assistenza garantita.
[8] E’ un concetto al quale Krugman ha altre volte fatto riferimento, in questi anni. Può apparirci un po’ sensazionale, ma sembra che per molti settori del lavoro manuale americano la durata media della vita sia in effetti diminuita e non aumentata. Forse questo è anche conseguenza dell’ingresso nella popolazione residente di lavoratori immigrati?
[9] Mi pare plausibile. Letteralmente sarebbe: “… ad afferrare una sconfitta dalle fauci della vittoria”.
By mm
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