Articoli sul NYT

La follia dell’austerità europea (New York Times 27 settembre 2012)

 

Europe’s Austerity Madness

By PAUL KRUGMAN
Published: September 27, 2012

 

So much for complacency. Just a few days ago, the conventional wisdom was that Europe finally had things under control. The European Central Bank, by promising to buy the bonds of troubled governments if necessary, had soothed markets. All that debtor nations had to do, the story went, was agree to more and deeper austerity — the condition for central bank loans — and all would be well.

But the purveyors of conventional wisdom forgot that people were involved. Suddenly, Spain and Greece are being racked by strikes and huge demonstrations. The public in these countries is, in effect, saying that it has reached its limit: With unemployment at Great Depression levels and with erstwhile middle-class workers reduced to picking through garbage in search of food, austerity has already gone too far. And this means that there may not be a deal after all.

Much commentary suggests that the citizens of Spain and Greece are just delaying the inevitable, protesting against sacrifices that must, in fact, be made. But the truth is that the protesters are right. More austerity serves no useful purpose; the truly irrational players here are the allegedly serious politicians and officials demanding ever more pain.

 

 

 

Consider Spain’s woes. What is the real economic problem? Basically, Spain is suffering the hangover from a huge housing bubble, which caused both an economic boom and a period of inflation that left Spanish industry uncompetitive with the rest of Europe. When the bubble burst, Spain was left with the difficult problem of regaining competitiveness, a painful process that will take years. Unless Spain leaves the euro — a step nobody wants to take — it is condemned to years of high unemployment.

But this arguably inevitable suffering is being greatly magnified by harsh spending cuts; and these spending cuts are a case of inflicting pain for the sake of inflicting pain.

 

First of all, Spain didn’t get into trouble because its government was profligate. On the contrary, on the eve of the crisis, Spain actually had a budget surplus and low debt. Large deficits emerged when the economy tanked, taking revenues with it, but, even so, Spain doesn’t appear to have all that high a debt burden.

It’s true that Spain is now having trouble borrowing to finance its deficits. That trouble is, however, mainly because of fears about the nation’s broader difficulties — not least the fear of political turmoil in the face of very high unemployment. And shaving a few points off the budget deficit won’t resolve those fears. In fact, research by the International Monetary Fund suggests that spending cuts in deeply depressed economies may actually reduce investor confidence because they accelerate the pace of economic decline.

 

In other words, the straight economics of the situation suggests that Spain doesn’t need more austerity. It shouldn’t throw a party, and, in fact, it probably has no alternative (short of euro exit) to a protracted period of hard times. But savage cuts to essential public services, to aid to the needy, and so on actually hurt the country’s prospects for successful adjustment.

 

Why, then, are there demands for ever more pain?

Part of the explanation is that in Europe, as in America, far too many Very Serious People have been taken in by the cult of austerity, by the belief that budget deficits, not mass unemployment, are the clear and present danger, and that deficit reduction will somehow solve a problem brought on by private sector excess.

 

Beyond that, a significant part of public opinion in Europe’s core — above all, in Germany — is deeply committed to a false view of the situation. Talk to German officials and they will portray the euro crisis as a morality play, a tale of countries that lived high and now face the inevitable reckoning. Never mind the fact that this isn’t at all what happened — and the equally inconvenient fact that German banks played a large role in inflating Spain’s housing bubble. Sin and its consequences is their story, and they’re sticking to it.

Worse yet, this is also what many German voters believe, largely because it’s what politicians have told them. And fear of a backlash from voters who believe, wrongly, that they’re being put on the hook for the consequences of southern European irresponsibility leaves German politicians unwilling to approve essential emergency lending to Spain and other troubled nations unless the borrowers are punished first.

 

Of course, that’s not the way these demands are portrayed. But that’s what it really comes down to. And it’s long past time to put an end to this cruel nonsense.

If Germany really wants to save the euro, it should let the European Central Bank do what’s necessary to rescue the debtor nations — and it should do so without demanding more pointless pain.

 

La follia dell’austerità europea, di Paul Krugman

New York Times s7 settembre 2012

 

 

Tutto questo con assoluta noncuranza [1]. Pochi giorni fa, il senso comune era che l’Europa avesse finalmente messo le cose sotto controllo. La Banca Centrale Europea, promettendo di acquistare bonds degli Stati in difficoltà, aveva calmato i mercati. Tutto quello che le nazioni debitrici dovevano fare, si diceva, era mettersi d’accordo su una maggiore e più intensa austerità – la condizione per ottenere i prestiti dalla banca centrale – e tutto sarebbe andato bene.

Ma tutti coloro che alimentano il senso comune s’erano scordati che di mezzo c’è la gente. All’improvviso, in Spagna e Grecia è ripreso il tormento degli scioperi e delle grandi dimostrazioni. L’opinione pubblica di questi paesi, in sostanza, sta dicendo di essere giunta al limite: con una disoccupazione ai livelli della Grande Depressione e con  lavoratori, che un tempo erano classi medie, ridotti a cercare cibo tra i rifiuti, l’austerità è già andata troppo oltre. Il che significa che, in fin dei conti, l’accordo può non esserci.

Gran parte delle cronache suggeriscono che i cittadini spagnoli e greci stanno solo rinviando ciò che è inevitabile, protestando contro sacrifici che, nei fatti, non si possono evitare. Ma la verità è che coloro che protestano hanno ragione. Una maggiore austerità non serve a nessuno scopo utile; i protagonisti davvero non ragionevoli, in questo caso, sono i presunti politici e tecnici seri, che chiedono sempre maggiori sacrifici.

Si consideri la Spagna. Qual è il suo reale problema economico? Fondamentalmente la Spagna sta soffrendo i postumi di una grande bolla immobiliare, che aveva provocato insieme un boom economico ed un periodo di inflazione, tale da mettere l’industria spagnola in condizioni di non competitività con il resto dell’Europa. Quando la bolla scoppiò, la Spagna si ritrovò col difficile problema di recuperare competitività, un processo penoso che chiederà anni. Se la Spagna non abbandona l’euro – un passo che nessuno vuol fare – è condannata ad anni di alta disoccupazione.

Ma questa probabilmente inevitabile sofferenza è stata ingigantita da severi tagli alla spesa pubblica, e questi tagli sono un modo di farsi male per il gusto di farsi male.

Prima di tutto, la Spagna non è finita nei guai a causa di un Governo spendaccione. Al contrario, nel periodo della crisi, la Spagna effettivamente aveva un debito basso ed un avanzo di amministrazione. I grandi deficit sono emersi allorquando l’economia è calata bruscamente, portandosi dietro le entrate; eppure, anche così, la Spagna non sembra avere tutto quell’elevato onere del debito.

E’ vero che adesso la Spagna è nei guai nell’ottenere credito per finanziare i suoi deficit. Quei guai, tuttavia, derivano principalmente dai timori per le più generali difficoltà dal paese – non ultimo il timore di disordini politici a fronte di una disoccupazione davvero elevata. E tagliare pochi punti del deficit del bilancio non risolverà questi timori. Di fatto, la ricerca del Fondo Monetario Internazionale indica che i tagli alla spesa pubblica in economie profondamente depresse possono realmente ridurre la fiducia degli investitori, poiché accelerano la velocità del declino economico.

In altre parole, una semplice analisi economica della situazione indica che la Spagna non ha bisogno di maggiore austerità. Non è certo il caso di festeggiare e, in pratica, essa probabilmente non ha alcuna alternativa ad un prolungato periodo di difficoltà (se si esclude una uscita dall’euro). Ma tagli selvaggi ai servizi pubblici essenziali, agli aiuti alle persone bisognose e tutto il resto, di fatto indeboliscono la prospettiva del paese di una correzione positiva.

Perché, dunque, queste richieste di restrizioni anche più forti?

Parte della spiegazione è che in Europa, come in America, anche troppe Persone Molto Serie [2] si sono infatuate del culto della austerità, per il convincimento che i deficit di bilancio, e non la disoccupazione di massa, siano il chiaro ed attuale pericolo, e che la riduzione del deficit in qualche modo risolverà un problema creato da eccessi del settore privato.

Oltre a ciò, una parte significativa della opinione pubblica nel centro dell’Europa – soprattutto in Germania – è profondamente coinvolta in una visione alterata della situazione. Si parli con le autorità tedesche e vi ritrarranno la crisi dell’euro come una sorta di racconto edificante, un racconto di paesi che  hanno vissuto oltre le loro possibilità ed oggi si trovano dinanzi al giorno del Giudizio. Non ha importanza se non è questo quello che è accaduto – né conta l’egualmente disdicevole circostanza che la banche tedesche abbiano giocato un ruolo grande nel gonfiare la bolla immobiliare spagnola. E’ una storia di peccati e delle loro conseguenze, e ad essa si attengono.

Peggio ancora, quello è anche ciò che credono molti elettori tedeschi, in gran parte perché è quanto gli uomini politici gli fanno credere. E il timore di un contraccolpo da parte degli elettori che credono, sbagliando, di essere stati incastrati dalle conseguenze della irresponsabilità dei cittadini dell’Europa meridionale, toglie agli uomini politici tedeschi ogni voglia di approvare un prestito di emergenza indispensabile per la Spagna e per gli altri paesi in difficoltà, se non quando anzitutto i creditori saranno puniti.

Naturalmente, non è questo il modo in cui queste richieste vengono descritte. Ma è in questo che esse effettivamente si risolvono. E sarebbe l’ora di metter fine a questa insensata cattiveria.

Se la Germania vuole realmente salvare l’euro, essa dovrebbe consentire alla Banca Centrale Europea di fare ciò che è necessario per soccorrere le nazioni debitrici – e dovrebbe farlo senza chiedere ulteriori inutili sofferenze.



[1] Letteralmente “Tanto per soddisfazione”.

[2] Si vedano le Note sulla traduzione in calce alle “Newletters”.

By


Commenti dei Lettori (0)


E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"