Blog di Krugman

Posts di Paul Krugman, dal 19 settembre 2012 al 13 novembre 2012

September 19, 2012, 5:53 pm

Misinformed Monetary Mitt

Leave aside what the now-famous video tells us about Mitt Romney’s character; in a way the shocking thing is how uninformed he seems to be. The 47 percent number was the kind of thing you hear in yahoo forums like talk radio and the Wall Street Journal editorial page; and then there’s what he said about US debt.

Kevin Drum makes the catch:

[A]s soon as the Fed stops buying all the debt that we’re issuing—which they’ve been doing, the Fed’s buying like three-quarters of the debt that America issues. He said, once that’s over, he said we’re going to have a failed Treasury auction, interest rates are going to have to go up. We’re living in this borrowed fantasy world, where the government keeps on borrowing money.

Has the Fed been buying anything like three-quarters of the debt that we’re issuing? Here’s a comparison between two numbers: the increase in the value of federal debt held by the public (which in this case includes the Fed), and the increase in Fed holdings of federal debt, in each case measured over the previous year:

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So there was a period when the Fed was buying a large fraction of federal debt issue — but it didn’t last long. Many people did believe that terrible things would happen when the Fed stopped — among them Bill Gross. And you know what? They lost a lot of money, because the Fed bond purchases came to an end but interest rates kept going down:

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And yes, I called this one right. But that’s not crucial here. What is crucial is that a sort of urban legend developed that the only thing keeping rates low was the Fed; this legend was proved wrong by events; but Mitt Romney still believes it.

And why does he believe it? Because he talked to some guy.

Look, Romney is a presidential candidate. He has a staff, and some prominent economists allegedly advising him. Yet he draws his stories about the economy from what he heard somewhere, apparently believing that if the right sort of person says something there’s no need to check it out.

Awesome.

 

19 settembre 2012

Il Mitt disinformato sulla moneta 

Lasciamo perdere cosa ci dice il video oggi famoso sul carattere di Mitt Romney; la cosa scioccante  è piuttosto quando egli appaia disinformato. Il numero 47 per cento era il genere di cose che si ascoltano in luoghi come i dibattiti radiofonici e le pagine editoriali  del Wall Street Journal; e poi ecco cosa ha detto a proposito del debito americano.

Kevin  Drum ci dà il brano:

“… appena la Fed smette di acquistare il debito che stiamo emettendo – che è quello che stanno facendo, la Fed compra tre quarti del debito che l’America emette. Una volta che questo sarà terminato, ha detto, ci ritroveremo con un asta  dei titoli che andrà male, e i tassi di interesse dovranno salire. Stiamo vivendo in questo mondo fantastico di debiti, dove il Governo continua a prendere denaro a prestito”.

La Fed sta acquistando qualcosa come i tre quarti del debito che stiamo emettendo? Ecco un confronto tra due numeri: la crescita del valore del debito federale messo da parte dal pubblico (che in questo caso include la Fed) e la crescita delle proprietà della Fed di debito federale, in entrambi i casi misurate sull’anno precedente [1]:

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C’è stato dunque un periodo nel quale la Fed stava acquistando una larga parte del debito federale – ma non è durato molto. Molte persone credevano con certezza che sarebbero accadute cose terribili quando la Fed si fosse fermata – tra loro Bill Gross [2]. Sapete cosa è accaduto? Hanno perso un sacco di soldi, perché la Fed si è fermata ma i tassi di interesse hanno continuato a scendere:

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E, in effetti, l’avevo previsto. Ma non è quello che conta, in questa sede. Quello che è cruciale è una sorta di leggenda metropolitana secondo la quale unica ragione che teneva i tassi bassi era la Fed; questa leggenda è stata smentita dai fatti, ma Mitt Romney ci crede ancora.

E perché ci crede? Perché egli ne ha parlato con in Tizio qualsiasi.

Si veda, Romney è un candidato presidenziale. Ha uno staff, alcuni eminenti economisti si presume che lo consiglino.   Egli deriva i suoi racconti sull’economia da quello che ascolta da qualche parte, sembra credere che se una persona in qualche modo adatta dice qualcosa non c’è ragione di controllarlo.

Terrificante.

 

 

 

 

 

September 20, 2012, 9:18 am

The Trouble With Fedspeak

So Fed hawks are all upset that expected inflation has risen since Bernanke announced QE3 — as indeed it has. Here’s the TIPS spread, the difference between the interest rate on ordinary 10-year bonds and inflation-protected securities:

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Is this alarming? On the contrary, it’s the main purpose of the exercise. In simple models of expectations-based efforts to get out of a liquidity trap, the only way the Fed can get leverage is by promising higher inflation once the liquidity trap is over. You can complicate this story a bit — for example, a sluggish trigger finger also means that the expansion lasts longer and hence that firms will face higher real demand — but inflation expectations are the main target, and a rise in those expectations is a feature, not a bug.

 

So what are the hawks talking about? The problem, at least in part, is that the indirectness of Bernanke’s language, the way an inflation target is implicit rather than explicit, feeds the confusion. I understand what he’s doing: a lot of people aren’t ready to face the realities here, so blurriness has its uses (and so do other targets, like nominal GDP, that are ultimately mainly about inflation but don’t make that point explicitly). But there are costs to this vagueness, and we’re seeing some of them already.

 

20 settembre 2012I guai con il linguaggio della Fed Dunque, i falchi della Fed sono tutti turbati per il fatto che l’inflazione attesa è salita dal momento in cui Bernanke ha annunciato il QE3 – come in effetti è salita. Ecco lo spread dei TIPS [3], la differenza tra i tassi di interesse sui bonds decennali ed i titoli protetti dall’inflazione:z 3

E’ allarmante? Al contrario, è il principale proposito dell’operazione. Nei semplici modelli degli sforzi basati sulle aspettative per uscire dalle trappole di liquidità, l’unico modo in cui la Fed può far leva è promettendo una inflazione più elevata una volta che la trappola di liquidità sia passata. Si può un po’ complicare questa storia – per esempio, alzare il dito con un po’ di indolenza [4] significa anche che l’espansione dura più a lungo e di conseguenza che le imprese si troveranno con una domanda reale più alta –   ma le aspettative di inflazione sono l’obbiettivo principale , ed una crescita in quelle aspettative è una caratteristica, non un inconveniente.

Dunque, di che parlano i falchi? Il problema, almeno in parte, è che la obliquità del linguaggio di Bernanke, il modo in cui l’obbiettivo di inflazione è implicito anziché esplicito,   alimenta la confusione. Capisco cosa sta facendo: un bel po’ di persone non sono pronte a questo punto a misurarsi con la realtà, da qua il linguaggio sfuocato che egli adopera (e lo stesso effetto hanno anche altri obbiettivi, come il PIL nominale, che in ultima analisi riguardano principalmente l’inflazione, ma non pongono la questione in modo esplicito). Ma questa vaghezza ha qualche prezzo, e ne stiamo già vedendo alcuni.

 

 

 

 

 

 

September 20, 2012, 9:57 am

The Fed Purchase Test

Aha. It seems that many people don’t realize that the view that the Fed is the only thing holding down interest rates has been tested — and failed. So, a bit more.

The big test came from QE2, a program of large-scale Fed purchases of long-term government debt that began in November 2010 and ended in June 2011. You can see the program in the Fed’s holdings of such debt:

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The burning question at the time was what would happen when the program ended and the Fed stopped buying more long-term debt. Many people, very much including Bill Gross, predicted a spike in rates; those of us holding the “stock view”, including both me and Ben Bernanke, disagreed. In the end, there was no spike — which constituted strong evidence against the whole notion that the Fed is what’s holding down rates.

 

Yet the Fed story, which came into prominence in the first half of 2011, now continues to be an article of faith among many people, showing yet again that for such people evidence that runs contrary to their prejudices doesn’t matter.

 

20 settembre 2012Il test degli acquisti FedRieccoci. Sembra che molte persone non comprendano che il punto di vista secondo il quale la Fed è l’unica cosa che può abbassare i tassi di interesse sia stato messo alla prova – e non abbia funzionato. Dunque, aggiungiamo qualcosa.Il grande tentativo fu fatto con il QE2, un programma di acquisti su larga scala da parte della Fed di debito pubblico a lungo termine che cominciò nel novembre del 2010 e terminò nel giugno del 2011. Potete osservare tale programma nei dati relativi al possesso da parte della Fed di tali titoli del debito pubblico:

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La questione che urgeva in quel momento era che cosa sarebbe accaduto quando il programma fosse terminato e la Fed avesse interrotto l’acquisto di ulteriore debito a lungo termine. Molto persone, incluso a pieno titolo  Bill Gross, avevano previsto un picco nei tassi; coloro tra di noi che sposavano il “punto di vista  del capitale azionario”, compresi sia Ben Bernanke che il sottoscritto, non erano d’accordo. Alla fine non ci fu alcun picco – la qualcosa costituì una chiara prova contraria all’intero concetto secondo il quale sarebbe la Fed che abbassa i tassi.

Tuttavia la storia della Fed, che assunse rilievo nella prima metà del 2011, continua oggi ad essere un articolo di fede tra molte persone, mostrando ancora una volta che per tali individui  i fatti che vanno nella direzione opposta ai loro pregiudizi non contano.

 

 

 

 

September 21, 2012, 10:09 am

Notes on the Political Economy of Redistribution

Mitt Romney is getting beaten up, and rightly so, for claiming that redistribution is un-American. Of course we redistribute, and we’ve been doing it on a substantial scale for generations. Medicare, for example, is in effect a strongly redistributive program: it’s supported by a payroll tax (and other revenue) in which the amount you pay in depends on your income, but it supplies a benefit that depends only on your medical costs. From each according to his ability, to each according to his needs!

So no, Obama isn’t a radical for suggesting that we should continue to do what we’re already doing; the real radicals are the people on the right who want to declare much of what our government has been doing these past three generations illegitimate.

The real question – arguably the central question of political economy – is how much to redistribute. And it’s both interesting and important to try to understand how that decision gets made.

There’s a substantial literature (see, for example, the references here (pdf)) that makes use of something like the following model:

1. The government levies taxes on everyone – say, as a constant proportion of income
2. It uses that revenue to pay for a benefit that everyone receives
3. Voters choose parties based on which offers a tax/benefit program closest to the one that maximizes their own utility
4. The end result reflects the preferences of the median voter

This kind of model suggests that the median voter will in fact want redistribution as long as his or her income – median income – is less than average income, because in that case he’ll have more to gain than to lose from a bit of redistribution. And this condition is always met, because income distribution is skewed to the right (there are people with incomes $1 million above the median, but none with incomes $1 million below the median).

 

But in that case, won’t the median voter favor complete redistribution, with all income taxed away and then handed out as benefits? No, because of incentives: too high a tax rate will discourage effort and reduce overall incomes. So there’s a tradeoff that leads to some equilibrium level of redistribution.

OK, it should be obvious that while this model is pretty, it falls down badly in the realism department. For one thing, median-voter models of politics suggest that the parties should converge on similar policies; in fact, they’re deeply polarized.

Beyond that, the model suggests that higher income inequality should lead to more redistribution. What we see in practice, however, is that European countries with relatively low inequality of market income do much more redistribution than the United States, with its high inequality – and that as America has gotten more unequal, its tax and transfer system has grown less, not more redistributive.

 

I don’t think we have a full explanation of these awkward facts. But the model is still useful for thinking about the political world we live in.

 

In particular, imagine yourself as a hired gun for the right tail of the income distribution. What would you do in an effort to stop the median voter from realizing that she would benefit from a more European-style system? Well, you’d do everything you can to exaggerate the disincentive effects of higher taxes, while trying to convince middle-income voters that the benefits of government programs go to other people. And at the same time, you’d do everything you can to disenfranchise lower-income citizens, so that the median voter has a higher income than the median citizen.

 

So far, efforts along these lines have been remarkably successful. But operatives on the right are clearly worried that their three-decade run of success may be coming to an end. Indeed, the whole panic about the lucky duckies and all that can be seen as reflecting a great fear on the part of the right that any day now the median voter will realize where his true interests lie, and start supporting much more redistributionist policies.

 

So now you know what was bugging Romney at Boca, and why there’s such a desperate attempt to paint Obama as a radical.

 

21 settembre 2012Note sull’economia politica della redistribuzione Mitt Romney sta uscendo malconcio, è giustamente, per aver sostenuto che la redistribuzione è antiamericana. Naturalmente noi redistribuiamo e lo stiamo facendo in modo sostanziale da generazioni. Medicare, per esempio, è un programma fortemente redistributivo: esso è sostenuto da una tassa sugli stipendi (e da un’altra sui redditi) nelle quali la somma che si paga dipende dal vostro reddito, ma offre un vantaggio che dipende soltanto dai vostri costi sanitari. Da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni!

Dunque, non è vero che Obama sia un radicale perché ritiene che dovremmo continuare a fare quello che già stiamo facendo; i veri radicali sono le persone della destra che vogliono siano dichiarate illegittime molte delle cose che il nostro Governo ha fatto nei tre anni passati.

La vera domanda – probabilmente la domanda centrale dell’economia politica – è quanto redistribuire. Ed è altrettanto interessante ed importante capire in che modo si prende quella decisione.

C’è una significativa letteratura (si vedano, ad esempio, i riferimenti in questa connessione disponibile in pdf) che fa uso di qualcosa di simile al seguente modello:

1 Il Governo mette le tasse su ciascuno – intendo in costante proporzione al reddito;

2 Esso usa quelle entrate per pagare per i vantaggi che ciascuno riceve;

3 Gli elettori scelgono i Partiti basandosi sulla offerta del programma tasse/benefici più vicina a quello che massimizza la loro personale utilità;

4 Il risultato finale riflette le preferenze dell’elettore medio.

Questo genere di modello suggerisce che l’elettore medio in effetti vuole una redistribuzione sinché il reddito di lui o di lei – il reddito medio – è inferiore alla media dei redditi [5], giacché in quel caso egli avrà più da guadagnare che da perdere da un po’ di redistribuzione. E questa è sempre la condizione che si incontra, perché la distribuzione del reddito  è spessa inclinata a destra [6](ci sono persone con redditi di un milione di dollari sopra la media, ma non c’è nessuno con un reddito di un milione di dollari sotto la media).

Ma, in quel caso, l’elettore non vorrà sostenere una redistribuzione completa, con tutto il reddito tassato in partenza [7] e poi redistribuito nella forma di benefici? No, a causa degli incentivi: una aliquota fiscale troppo elevata scoraggerà gli sforzi e ridurrà il redditi complessivi. Ci sarà dunque uno scambio che porterà ad un qualche livello di equilibrio la redistribuzione.

E’ vero, dovrebbe essere evidente che se questo modello è grazioso, esso difetta gravemente di realismo. Da una parte, i modelli della politica basati sull’elettore medio indicano che i Partiti dovrebbero convergere su tali politiche; nei fatti, essi sono profondamente polarizzati.

Oltre a ciò, il modello suggerisce che una maggiore ineguaglianza dei redditi dovrebbe portare ad una maggiore redistribuzione. Quello che vediamo in pratica, invece, è che i paesi europei con una relativamente bassa ineguaglianza dei redditi di mercato praticano effettivamente maggiore redistribuzione degli Stati Uniti con le loro elevate diseguaglianze – e che dal momento in cui l’America è diventata più ineguale, il suo sistema fiscale e dei trasferimenti è diventato meno e non più redistributivo.

Non penso che abbiamo una spiegazione piena per queste circostanze un po’ complicate. Ma il modello è ancora utile per pensare al mondo politico nel quale viviamo.

In particolare, pensate a voi stessi come se foste un libero professionista alla estremità destra della distribuzione del reddito [8]. Cosa fareste nello sforzo di impedire ad un elettore medio  di comprendere che potrebbe trarre vantaggio da un sistema più europeo?  Ebbene, fareste proprio tutto quello che potete per esagerare gli effetti di disincentivo di tasse più elevate, mentre state cercando di convincere gli elettori a medio reddito che i benefici dei programmi di governo andrebbero da un’altra parte. E, allo stesso tempo, fareste tutto quello che potete per privare dei loro diritti i cittadini a basso reddito, in modo tale che gli elettori medi abbiano redditi più alti dei cittadini medi.

Sino ad ora, gli sforzi in queste direzioni hanno avuto successi considerevoli. Ma coloro che operano a destra [9] sono chiaramente preoccupati che la loro esperienza di tre decenni di successo possa arrivare ad una scadenza. In effetti tutto il panico sui cosiddetti ‘tesorucci fortunati’ [10]  e tutto il resto può essere considerato come il riflesso della grande paura di una parte della destra che, da un momento all’altro, l’elettore medio comprenda dove stia il suo vero interesse, e cominci a sostenere politiche molto più redistribuzioniste.

Dunque ora sapete di cosa era infastidito Romney a Boca e per quale ragione c’è un tentativo disperato di dipingere Obama come un radicale.

 

 

 

 

 

September 22, 2012, 11:06 am

Inequality Kills

Kathleen Geier makes a point I should have noticed. She points to the shocking story in yesterday’s Times about sharply declining life expectancies for less-educated whites, and points out that these declines took place at a time of rapidly rising income inequality. And we have lots of evidence that low socioeconomic status leads to higher mortality — even if you correct for things like availability of health insurance.

Some of the effects may come through self-destructive behavior, some through simple increased stress; think about what it feels like in 21st-century America to be a worker without even a high school degree. In any case, Geier is surely right: what we’re looking at is a clear demonstration of the fact that high inequality isn’t just unfair, it kills.

 

22 settembre 2012L’ineguaglianza uccideKathleen Geier avanza un punto che avrei dovuto notare. Ella si riferisce alla storia scioccante sul Times di ieri a proposito del brusco declino delle aspettative di vita per i cittadini bianchi senza istruzione e sottolinea che questo declino ha luogo in un’epoca di rapida crescita delle ineguaglianze. Ed abbiamo una quantità di prove che una bassa condizione socioeconomica porta ad una più elevata mortalità – anche se viene corretta da aspetti come la disponibilità di una assicurazione sanitaria.Alcuni degli effetti possono manifestarsi attraverso comportamenti autodistruttivi, alcuni semplicemente attraverso maggiore stress; si pensi a cosa si può sentire ad essere un lavoratore senza nemmeno un diploma superiore nella America del ventunesimo secolo. In ogni caso Geier ha sicuramente ragione: quello che stiamo osservando è una chiara dimostrazione che una elevata ineguaglianza uccide, oltre ad essere ingiusta.

 

 

 

A seguire presentiamo la traduzione dell’articolo del New York Times sull’andamento delle aspettative di vita per alcuni rilevanti gruppi sociali negli Stati Uniti.

 

 

Life Spans Shrink for Least-Educated Whites in the U.S.

By SABRINA TAVERNISE
Published: September 20, 2012

For generations of Americans, it was a given that children would live longer than their parents. But there is now mounting evidence that this enduring trend has reversed itself for the country’s least-educated whites, an increasingly troubled group whose life expectancy has fallen by four years since 1990.

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Researchers have long documented that the most educated Americans were making the biggest gains in life expectancy, but now they say mortality data show that life spans for some of the least educated Americans are actually contracting. Four studies in recent years identified modest declines, but a new one that looks separately at Americans lacking a high school diploma found disturbingly sharp drops in life expectancy for whites in this group. Experts not involved in the new research said its findings were persuasive.

The reasons for the decline remain unclear, but researchers offered possible explanations, including a spike in prescription drug overdoses among young whites, higher rates of smoking among less educated white women, rising obesity, and a steady increase in the number of the least educated Americans who lack health insurance.

The steepest declines were for white women without a high school diploma, who lost five years of life between 1990 and 2008, said S. Jay Olshansky, a public health professor at the University of Illinois at Chicago and the lead investigator on the study, published last month in Health Affairs. By 2008, life expectancy for black women without a high school diploma had surpassed that of white women of the same education level, the study found.

White men lacking a high school diploma lost three years of life. Life expectancy for both blacks and Hispanics of the same education level rose, the data showed. But blacks over all do not live as long as whites, while Hispanics live longer than both whites and blacks.

“We’re used to looking at groups and complaining that their mortality rates haven’t improved fast enough, but to actually go backward is deeply troubling,” said John G. Haaga, head of the Population and Social Processes Branch of the National Institute on Aging, who was not involved in the new study.

The five-year decline for white women rivals the catastrophic seven-year drop for Russian men in the years after the collapse of the Soviet Union, said Michael Marmot, director of the Institute of Health Equity in London.

The decline among the least educated non-Hispanic whites, who make up a shrinking share of the population, widened an already troubling gap. The latest estimate shows life expectancy for white women without a high school diploma was 73.5 years, compared with 83.9 years for white women with a college degree or more. For white men, the gap was even bigger: 67.5 years for the least educated white men compared with 80.4 for those with a college degree or better.

The dropping life expectancies have helped weigh down the United States in international life expectancy rankings, particularly for women. In 2010, American women fell to 41st place, down from 14th place in 1985, in the United Nations rankings. Among developed countries, American women sank from the middle of the pack in 1970 to last place in 2010, according to the Human Mortality Database.

The slump is so vexing that it became the subject of an inquiry by the National Academy of Sciences, which published a report on it last year.

“There’s this enormous issue of why,” said David Cutler, an economics professor at Harvard who was an author of a 2008 paper that found modest declines in life expectancy for less educated white women from 1981 to 2000. “It’s very puzzling and we don’t have a great explanation.”

And it is yet another sign of distress in one of the country’s most vulnerable groups during a period when major social changes are transforming life for less educated whites. Childbirth outside marriage has soared, increasing pressures on women who are more likely to be single parents. Those who do marry tend to choose mates with similar education levels, concentrating the disadvantage.

Inklings of this decline have been accumulating since 2008. Professor Cutler’s paper, published in Health Affairs, found a decline in life expectancy of about a year for less educated white women from 1990 to 2000. Three other studies, by Ahmedin Jemal, a researcher at the American Cancer Society; Jennifer Karas Montez, a Robert Wood Johnson Foundation Health and Society Scholar at Harvard; and Richard Miech, a professor at the University of Colorado Denver, found increases in mortality rates (the ratio of deaths to a population) for the least educated Americans.

Professor Olshansky’s study, financed by the MacArthur Foundation Research Network on an Aging Society, found by far the biggest decline in life expectancy for the least educated non-Hispanic whites, in large part because he isolated those without a high school diploma, a group usually combined with high school graduates. Non-Hispanic whites currently make up 63 percent of the population of the United States.

Researchers said they were baffled by the magnitude of the drop. Some cautioned that the results could be overstated because Americans without a high school diploma — about 12 percent of the population, down from about 22 percent in 1990, according to the Census Bureau — were a shrinking group that was now more likely to be disadvantaged in ways besides education, compared with past generations.

Professor Olshansky agreed that the group was now smaller, but said the magnitude of the drop in life expectancy was still a measure of deterioration. “The good news is that there are fewer people in this group,” he said. “The bad news is that those who are in it are dying more quickly.”

Researchers, including some involved in the earlier studies that found more modest declines in life expectancy, said that Professor Olshansky’s methodology was sound and that the findings reinforced evidence of a troubling pattern that has emerged for those at the bottom of the education ladder, particularly white women.

“Something is going on in the lives of disadvantaged white women that is leading to some really alarming trends in life expectancy,” said Ms. Montez of Harvard.

Researchers offered theories for the drop in life expectancy, but cautioned that none could fully explain it.

James Jackson, director of the Institute of Social Research at the University of Michigan and an author of the new study, said white women with low levels of education may exhibit more risky behavior than that of previous generations.

Overdoses from prescription drugs have spiked since 1990, disproportionately affecting whites, particularly women. Professor Miech, of the University of Colorado, noted the rise in a 2011 paper in the American Sociological Review, arguing that it was among the biggest changes for whites in recent decades and that it appeared to have offset gains for less educated people in the rate of heart attacks.

Ms. Montez, who studies women’s health, said that smoking was a big part of declines in life expectancy for less educated women. Smoking rates have increased among women without a high school diploma, both white and black, she said. But for men of the same education level, they have declined.

This group also has less access to health care than before. The share of working-age adults with less than a high school diploma who did not have health insurance rose to 43 percent in 2006, up from 35 percent in 1993, according to Mr. Jemal at the American Cancer Society. Just 10 percent of those with a college degree were uninsured last year, the Census Bureau reported.

The shift should be seen against the backdrop of sweeping changes in the American economy and in women’s lives, said Lisa Berkman, director of the Harvard Center for Population and Development Studies. The overwhelming majority of women now work, while fertility has remained higher than in European countries. For women in low-wage jobs, which are often less flexible, this could take a toll on health, a topic that Professor Berkman has a grant from the National Institute on Aging to study.

 

Negli Stati Uniti la durata della vita si restringe per i bianchi meno istruiti.Di Sabrina Tavernise20 settembre 2012

Per generazioni di americani era scontato che i figli sarebbero vissuti più a lungo dei loro genitori. Ma oggi c’è la prova crescente che questa tendenza duratura ha subito una inversione per i bianchi meno istruiti, un gruppo sociale in crescente difficoltà le cui aspettative di vita sono diminuite di quattro anni a partire dal 1990.

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I ricercatori da tempo hanno documentato che gli Americani più istruiti stavano realizzando i maggiori guadagni nelle aspettative di vita, ma ora affermano che i dati sulla mortalità mostrano che i periodi di vita per alcuni americani meno istruiti stanno effettivamente contraendosi. Quattro studi negli anni recenti avevano individuato modesti decrementi, ma uno nuovo che esamina separatamente gli americani privi di diploma di scuola superiore ha scoperto allarmanti brusche cadute nelle aspettative di vita per i bianchi di questo gruppo. Esperti non coinvolti nella nuova ricerca affermano che le sue scoperte sarebbero persuasive.

Le ragioni del declino restano non chiare, ma i ricercatori offrono possibili spiegazioni, includendo un picco di eccessive prescrizioni di farmaci tra i bianchi giovani,  più elevati tassi di fumatori tra le donne bianche meno istruite, una crescente obesità ed un costante incremento nel numero degli americani meno istruiti che mancano di assicurazione sanitaria.

I declini più vistosi sono stati per le donne bianche sprovviste di diploma di scuola superiore, che hanno perso cinque anni di vita tra il 1990 ed il 2008, ha riferito Jay Olshansky, docente di sanità pubblica all’Università dell’Illinois a Chicago e ricercatore capo dello studio, pubblicato il mese scorso in Health Affairs. Lo studio ha scoperto che, con il 2008, le aspettative di vita per le donne nere sprovviste di diploma superiore hanno sorpassato quello delle donne bianche con lo stesso livello di istruzione.

Gli uomini bianchi sprovvisti di diploma di scuola superiore hanno perso tre anni di vita. I dati mostrano che le aspettative di vita sia per i neri che per gli ispanici con lo stesso livello di istruzione sono cresciute. Ma i neri non vivono altrettanto a lungo dei bianchi, mentre gli ispanici vivono più a lungo dei bianchi e dei neri.

“Eravamo abituati ad osservare i gruppi ed a lamentarci che i loro tassi di mortalità non stavano migliorando abbastanza velocemente, ma regredire effettivamente  è profondamente allarmante”, ha detto John G. Haaga, che dirige il Settore della Popolazione e dei Processi Sociali dell’ Istituto Nazionale sull’Invecchiamento e che non era coinvolto nel nuovo studio.

La diminuzione di cinque anni fa il paio con la catastrofica caduta di sette anni per gli uomini russi negli anni successivi al collasso dell’Unione Sovietica, ha detto Michael Marmot, direttore dell’Istituto  per la Giustizia nella Salute di Londra.

Il declino tra i meno istruiti bianchi non ispanici, che assembla una quota di popolazione in restrizione, ha allargato una differenza che era già preoccupante. Le ultime stime mostrano che l’aspettativa di vita per le donne bianche senza diploma di scuola superiore era di 73,5 anni, a confronto con gli 83,5 anni per le donne bianche con una laurea o con istruzione anche superiore. Per gli uomini bianchi, il differenziale era persino maggiore: 67,5 anni per gli uomini bianchi meno istruiti a confronto di 80,4 anni di quelli con una laurea o più ancora.

Le aspettative di vita calanti hanno contribuito a pesare negativamente sulla posizione degli Stati Uniti nelle graduatorie internazionali della aspettative di vita, in particolare per le donne. Le donne americane sono cadute dalla quarta posizione alla quattordicesima nel 1985, nella graduatoria delle Nazioni Unite. Secondo Human Mortality Database, tra i paesi sviluppati, le donne americane sono crollate dalla metà del gruppo negli anni ’70 all’ultimo posto nel 2010.

Il crollo fu così imbarazzante che divenne oggetto di una inchiesta da parte della Accademia Nazionale delle Scienze, che pubblicò a tale proposito una ricerca l’anno passato.

“C’è questa enorme questione delle ragioni di tutto ciò”, ha detto David Cutler, docente di economia ad Harvard che era stato autore di un saggio nel 2008 che aveva scoperto modesti decrementi nelle aspettative di vita per le donne bianche meno istruite dal 1981 al 2000. “E’ molto complesso e non abbiamo grandi spiegazioni”.

Si tratta tuttavia di un altro segnale di pericolo in uno dei gruppi sociali più vulnerabili del paese durante un periodo nel quale importanti cambiamenti sociali stanno trasformando la vita per i bianchi meno istruiti. La nascita di figli fuori del matrimonio è molto cresciuta, aumentando la pressione sulle donne che più probabilmente sono genitrici singole. Coloro che si sposano tendono a scegliere compagni con livelli di educazione simili, concentrando lo svantaggio.

Sospetti di questo declino si venivano accumulando dal 2008. Il saggio del professor Cutler, pubblicato in Health Affairs, scoprì il declino della aspettativa di vita di circa un anno per le donne bianche meno istruite, dal 1990 al 2000. Tre altri studi, a cura di Ahmedin Jemal, ricercatore della American Cancer Society; Jennifer Karas Montez, studiosa di questioni sanitarie e sociali della Robert Wood Johnson Foundation ad Harvard, e Richard Miech, docente alla Università del Colorado a Denver, scoprirono incrementi nei tassi di mortalità (la percentuale dei decessi sulla popolazione) per gli americani meno istruiti.

Lo studio del professor Olshansky, finanziato dalla MacArthur Foundation Research Network on Aging Society, ha scoperto il declino di gran lunga più grande nelle aspettative di vita per i bianchi non ispanici con minore istruzione, in gran parte perché ha isolato quelli senza diploma di scuola superiore, un gruppo che solitamente viene aggregato ai diplomati della scuola superiore. I bianchi non ispanici attualmente rappresentano il 63 per cento della popolazione degli Stati Uniti.

I ricercatori hanno affermato di essere rimasti sconcertati dalla dimensione della caduta. Alcuni hanno avvertito che i risultati potrebbero essere sovrastimati perché gli americani sprovvisti di un diploma di scuola superiore – circa il 12 per cento della popolazione, in diminuzione da circa il 22 per cento del 1990, secondo l’Ufficio del Censimento – erano un gruppo in restrizione che era più probabile risultasse ad oggi svantaggiato in modi ulteriori oltre all’istruzione, a confronto con le generazioni passate.

Il professor Olshansky ha convenuto che quel gruppo fosse oggi più piccolo, ma ha detto che la dimensione della caduta della aspettativa di vita era tuttavia una misura del peggioramento. “La buona notizia è che ci sono meno  persone in questo gruppo”, ha detto. “La cattiva notizia è che quelli che ne fanno parte muoiono più rapidamente”.

Ricercatori, inclusi alcuni coinvolti nei primi studi che avevano scoperto decrementi più modesti nella aspettativa di vita, hanno affermato che la metodologia del professor Olshansky è stata corretta e che le scoperte rafforzano la prova di un modello che affligge le persone che sono sul fondo della scala dell’istruzione, in particolare le donne bianche.

“Sta proseguendo qualcosa nella vita delle donne bianche svantaggiate che sta conducendo a tendenze allarmanti nelle aspettative di vita”, ha detto la signora Montez di Harvard.

I ricercatori offrono teorie per la caduta nella aspettativa di vita, ma mettono in guardia dal fatto che nessuna potrebbe pienamente spiegarla.

James Jackson, direttore dell’Istituto di Ricerche Sociali dell’Università del Michigan ed uno degli autori del nuovo studio, ha detto che le donne bianche con bassi livelli di istruzione possono manifestare comportamenti più rischiosi che non nelle precedenti generazioni.

Eccessi nella prescrizione di farmaci hanno toccato il picco a partire dal 1990, interessando in modo sproporzionato i bianchi, soprattutto le donne. Il professor Miech, dell’Università del Colorado, notò quella crescita in un saggio del 2011 sulla American Sociological Review, sostenendo che essa era tra i cambiamenti più rilevanti tra i bianchi negli ultimi decenni e che sembrava aver comportato i compenso vantaggi per le persone meno istruite quanto alla percentuale di attacchi cardiaci.

La signora Montez, che studia la salute delle donne, ha affermato che il fumo era una gran parte (della spiegazione) della diminuzione della aspettativa di vita tra le donne meno istruite. Le percentuali di fumatrici, ha detto, sono cresciute tra le donne sprovviste di  diploma di scuola superiore, sia bianche che nere. Ma per gli uomini dello stesso livello di istruzione sono diminuite.

Questo gruppo ha anche minore accesso alla assistenza sanitaria che in passato. Secondo Jemal, della American Cancer Society, la percentuale di adulti in età lavorativa con istruzione inferiore al diploma di scuola superiore che non avevano l’assicurazione era salita al 43 per cento nel 2006, dal 35 per cento nel 1993. Il Census Bureau dava conto che soltanto il 10 per cento di coloro che possedevano una laurea l’anno passato non erano assicurati.

Lisa Berkman, direttrice del Center for Population and Development Studies di Harvard, ha affermato che il mutamento dovrebbe essere considerato a fronte dello scenario delle trasformazioni di carattere generale nell’economia americana e nella vita delle donne. Oggi la schiacciante maggioranza delle donne lavora, mentre la fertilità è rimasta più elevata rispetto ai paesi europei. Per le donne in posti di lavoro con bassi salari, lavori che sono spesso meno flessibili, questo potrebbe avere un costo in termini di salute, argomento per il quale la professoressa Berkman ha un progetto sovvenzionato di ricerca presso il National Institute of Aging.

 

 

 

 

September 22, 2012, 11:27 am

Self-contradictory Fed Bashing

David Glasner continues to be unhappy with the Bernanke/QE bashers, this time going after claims that the Fed’s monetary policy was too easy before the crisis.

Much of this discussion is couched in terms of the Taylor Rule, which John Taylor originally suggested — a rule that sets the Fed funds rate based on inflation and either unemployment or some measure of the output gap. This was a clever idea, and has proved useful as a rule of thumb for both description and prediction. But a funny thing happened on the way to the crisis: Taylor and others have elevated this rule to sacred status — and not only that: they have insisted that the original coefficients Taylor suggested, which he basically pulled out of, um, thin air, are sacrosanct.

 

Surely this is silly. The right question should be whether, given the actual state of the economy in the naughties, the Fed should — given what it knew at the time — have raised rates faster. Inflation wasn’t out of control:

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So why raise rates?

Well, the retrospective answer is that there was a damaging housing bubble. But there are two things you should know. First, there was widespread denial that there was a housing bubble. Second, the very same people who accuse the Fed of having been too loose then accuse it now of targeting asset prices, trying to boost the stock market rather than focusing on the real economy. (Because high unemployment apparently isn’t a sufficient reason).

See the problem? The only reason for the Fed to have tightened in the naughties would have been concern about asset prices — which is the same kind of concern that is apparently dastardly now.

I don’t think any of this makes sense. I think it’s just about looking for reasons to oppose easing now.

 

22 settembre 2012Attacchi incongrui alla Fed.David Glasner continua ad essere inquieto con coloro che attaccano Bernanke e la “Quantitative Easing” [11], che questa volta fanno seguito alle affermazioni per la quali la politica monetaria della Fed fu anche troppo facile prima della crisi.Gran parte di questa discussione è espressa nei termini della cosiddetta Regola di Taylor [12] , che venne suggerita originariamente da John Taylor – una regola che definisce i tassi dei finanziamenti della Fed sulla base dell’inflazione e sia della disoccupazione che di altre misure del differenziale di produzione. Questa fu un’idea intelligente, che si mostrò utile come regola empirica sia per l’analisi della situazione che per le previsioni. Ma dinanzi alle crisi accadde una cosa curiosa: Taylor ed altri avevano promosso questa regola ad una funzione sacrale – e non solo quello: avevano insistito che i coefficienti originari indicati da Taylor, quelli che fondamentalmente lui aveva tirato fuori, diciamo così, dal nulla, erano sacrosanti.

Questo sicuramente non ha senso. La domanda giusta dovrebbe essere se, date le effettive condizioni dell’economia nei primi  anni duemila, la Fed avrebbe dovuto – considerato quello che essa conosceva a quel tempo – innalzare i tassi più rapidamente. L’inflazione non era fuori controllo:

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Perché dunque innalzare i tassi?

Ebbene, la risposta retrospettiva è che c’era una dannosa bolla immobiliare. Ma c’erano due cose che si dovrebbero sapere. La prima, c’era un diniego generalizzato che si fosse in presenza di una bolla immobiliare. La seconda, proprio le stesse persone che accusano la Fed di essere stata troppo lassista, ora la accusano di stabilire obbiettivi per i prezzi degli assets [13], cercando di spingere  il mercato azionario piuttosto che concentrarsi sull’economia reale (perché a quanto pare l’alta disoccupazione non è una ragione sufficiente).

Capite il problema? La sola ragione per la Fed per aver fatto politiche restrittive nei primi anni duemila sarebbe stata la preoccupazione per i prezzi degli assets finanziari – che è lo stesso genere di preoccupazione che oggi sembra considerata miserabile.

Penso che niente di questo abbia senso. Penso che abbia solo a che fare con il cercare ragioni qualsiasi per opporsi alla ‘facilitazione’ in questo momento.

 

 

 

 

 

 

 

September 23, 2012, 10:50 am

Expectations and the Confidence Fairy

Some readers have asked whether there isn’t an inconsistency between my view that the Fed can promote economic recovery by changing expectations about future policy, and my ridicule of austerity proponents who invoke “confidence” as a reason to believe that austerity will actually be expansionary. But there isn’t really any inconsistency; it’s an orders of magnitude thing.

What the expansionary austerity types are claiming is that the indirect effect of austerity on confidence will outweigh the large direct depressing effect of cutting government spending now. That’s a very tall order. Consider a very simple New Keynesian model, like the one I used in my old Japan paper (pdf). This model assumes infinitely lived consumers with free access to capital markets, assumptions that would seem to be very favorable to the notion that changes in expected future policy matter. Yet even there, a perceived permanent fall in government spending will at best have zero effect on output; if there’s any notion that the cuts are temporary, they’ll be contractionary. Add more realism, and the odds of expansionary austerity get even worse.

 

By contrast, expectations-based monetary policy has no direct effect on the economy today, so any positives from expectations make it favorable over all. You don’t have to believe that the effects are really big to believe that they might be there.

Now, there is room for skepticism over the effectiveness of “credibly promising to be irresponsible” — which is why from the beginning of this crisis I’ve always favored using fiscal policy as the main answer, with unconventional monetary policy as a supplement. But the Fed should be doing what it can — and finally, it seems to be moving in that direction.

 

23 settembre 2012Le aspettative e la fata turchina della fiducia [14]Alcuni lettori hanno chiesto se non ci sia  incoerenza tra la mia opinione secondo la quale la Fed può promuovere la ripresa dell’economia attraverso un cambiamento nelle aspettative sulla politica futura, e la mia ironia su coloro che propongono l’austerità invocando “fiducia”, come una giustificazione per credere che l’austerità sarà per davvero espansiva. Ma in realtà non c’è alcuna incoerenza; è solo una questione di ordine di grandezza.Quello che gli individui della austerità espansiva sostengono è che l’effetto diretto dell’austerità sulla fiducia avrà maggior peso che non l’ampio effetto direttamente depressivo del taglio della spesa pubblica sul momento. In questo caso la dimensione è del tutto elevata. Si consideri un semplicissimo modello neokeynesiano, come quello che io adoperai nel mio vecchio studio sul Giappone (disponibile in pdf). Questo modello assume un numero illimitato di consumatori con libero accesso ai mercati dei capitali, assunti che sembrerebbero essere molto favorevoli all’idea che i cambiamenti nella politica attesa per il futuro abbiano importanza. Tuttavia persino in quel caso, la percezione di una caduta prolungata nella spesa pubblica avrà nel migliore dei casi un effetto nullo sulla produzione; se c’è una qualche idea che i tagli siano provvisori, avranno un effetto di contrazione. Si aggiunga un po’ di realismo, e le probabilità di una austerità espansiva saranno anche più basse.

Di contro, le aspettative basate sulla politica monetaria non hanno un effetto diretto sull’economia odierna, cosicché ogni fattore di positività nelle aspettative opera complessivamente in senso favorevole. Non si deve credere che gli effetti siano davvero grandi per credere che in qualche modo possano esserci.

Ora, si può essere scettici sulla efficacia del “promettere credibilmente di essere irresponsabili [15]” – e questa è la ragione per la quale sin dall’inizio di questa crisi sono sempre stato a favore dell’utilizzo della politica della finanza pubblica come risposta principale, con una politica monetaria non convenzionale come complemento. Ma la Fed dovrebbe fare quello che è possibile – e finalmente sembra si stia muovendo in quella direzione.

 

 

 

 

 

September 25, 2012, 8:37 am

Coulda Been Worse

Josh Lehner does something I’ve been meaning to do: he compares US economic performance since the financial crisis with other episodes of major financial crisis. And guess what? We actually look better than most (sorry about the small print):

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This comparison actually tells us quite a lot.

First of all, it makes immediate nonsense of the talking point that Obama must be doing terrible damage to our economy by threatening universal health care, or looking at businessmen funny, or something. Listening not just to Republican politicians but to a fair number of credentialed economists, you’d think that our protracted economic weakness is a puzzle to be explained – and that it somehow must reflect the alleged leftist tilt of the current administration. In fact, however, protracted weakness is normal after a big financial crisis, and if anything we’re doing better than average, probably thanks to fiscal and monetary stimulus.

 

That said, we should have done even better: if stimulus works, and the evidence says that it does, we should have done more, and made the slump even shorter and shallower.

In this context, look at Japan. People always ask whether we’ll do as badly as Japan; so far, at least, we’re doing far worse. I think you can make a good case that Japan was highly effective in its use of fiscal stimulus to limit the damage from financial crisis; where it failed was in not pursuing expansionary monetary policy during the good years to lift itself out of deflation.

So thanks to Josh Lehner for this. The truth about our crisis is not what everyone says.

 

25 settembre 2012Poteva andar peggioJosh Lehener fa qualcosa che avevo intenzione di fare: confronta la prestazione economica degli Stati Uniti dal momento della crisi finanziaria con altri importanti episodi di crisi finanziaria.  Indovinate un po’? Effettivamente sembra che siamo nella migliore condizione (spiacente per la grafica piccola):z 7

Questo paragone, in realtà, ci dice un po’ di cose.

In primo luogo, esso rende immediatamente insensato tutto quel parlare del danno incredibile fatto da Obama alla nostra economia minacciando una assistenza sanitaria di tipo universale, oppure guardando storto gli uomini d’affari, o robe del genere. Ascoltando non solo gli uomini politici repubblicani, ma anche un discreto numero di economisti accreditati, potreste pensare che la nostra prolungata debolezza economica sia un mistero che deve essere spiegato – e che in qualche modo debba riflettere una pretesa inclinazione di sinistra della Amministrazione attuale. Di fatto, tuttavia, una prolungata debolezza è naturale dopo una grande crisi finanziaria, e semmai stiamo facendo meglio che nella media degli altri casi, probabilmente grazie alle misure di sostegno della finanza pubblica e monetarie.

Ciò detto, avremmo dovuto fare anche meglio: se lo stimolo funziona, e le prove dicono che funziona, avremmo dovuto fare di più, ed avremmo reso la crisi anche più corta e meno pesante.

In questo contesto, di guardi al Giappone. La gente si chiede sempre se andremo altrettanto male che in Giappone; almeno sino a questo punto, stiamo andando un bel po’ peggio. Penso si possa considerare un buon esempio del fatto che il Giappone è stato efficace nel suo utilizzo dello stimolo della finanza pubblica per limitare il danno proveniente dalla crisi finanziaria; dove esso fallì fu nel non perseguire una politica monetaria espansiva durante gli anni buoni al fine di tirarsi fuori dalla deflazione.

Dunque, grazie per questo a Josh Lehener. La verità sulla crisi è diversa da quello che si racconta.

 

 

 

 

 

 

 

 

September 26, 2012, 4:54 am

Euro Update: The Perils of Pointless Pain

 

So, I’m in jet lag city, which means that it’s time for a euro update. (I’ve been pretty focused on the US election, since it is, after all, my country; but still keeping an eye on the other side of the pond).

The basic story of the euro crisis remains the same: it’s essentially a balance of payments crisis, misinterpreted as a fiscal crisis, and the key question is whether internal devaluation is really workable.

What? OK: the roots of the euro crisis lie not in government profligacy but in huge capital flows from the core (mainly Germany) to the periphery during the good years. These capital flows fueled a peripheral boom, and sharply rising wages and prices in the GIPSI countries relative to Germany:

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Then the music stopped.

The combination of deeply depressed peripheral economies (which meant surging budget deficits) and fears of a euro crackup turned this into an attack on peripheral-government bonds. But the root remains the balance of payments/cost problem. And any resolution must involve getting costs and prices back in line.

This is the context in which you have to see Mario Draghi’s actions. Twice now — first with the LTRO last fall, then with the plan to buy sovereign debt, he has stepped in to limit runaway bond yields, short-circuiting a possible financial “death spiral” of falling bond prices, collapsing banks, and high-speed capital flight. Here are bond yields (monthly averages, with the most recent data standing in for September):

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Good for him. But you still need “internal devaluation”: a sharp fall in costs and prices relative to the core. And that’s a slow, painful process.

Where does austerity fit in to this story? Mostly it doesn’t. Shaving an extra couple of points off the structural deficit will make very little difference to long-run solvency, nor will it do much to accelerate the pace of internal devaluation. It will, however, depress employment even further and inflict a lot of direct suffering too through cuts in social programs.

Why do it, then? Partly it’s because Europe is still operating on the false theory that this is essentially a fiscal issue; partly it’s to assuage the Germans, who remain convinced that those lazy Southern Europeans are getting away with something. In effect, the policy is to inflict pain for the sake of inflicting pain.

Which brings us to the question: can this go on? When do the people of the afflicted economies say that they can bear no more?

The news from Spain, with vast protests and talk of secession, suggests that this moment may be approaching fast. Also, while Greece has long since ceased to be the epicenter, things seem to be breaking down there too.

I really do think Draghi has done very well. But he can’t make internal devaluation work on his own, and he can’t save Europe if its leaders continue to think that gratuitous infliction of pain is sound policy.

 

26 settembre 2012Aggiornamento sull’euro: I pericoli di una sofferenza senza scopo.E’ come se vivessi in un città con la sindrome da fuso orario [16], il che significa che è tempo che torni ad occuparmi dell’euro (mi ero piuttosto concentrato sulle elezioni americane, dato che, dopo tutto, è il mio paese; ma continuando con un occhio a seguire l’altra parte dello stagno).La storia di fondo della crisi dell’euro rimane la stessa: è essenzialmente una crisi da bilancia di pagamenti, male interpretata come crisi fiscale [17], e la domanda chiave è se la svalutazione interna possa effettivamente funzionare.

Cosa sto dicendo? Ebbene, si: le radici della crisi dell’euro non stanno nella dissolutezza dei Governi ma in vasti flussi di capitali dal centro (soprattutto dalla Germania) alla periferia durante gli anni buoni. Questi flussi di capitali hanno acceso un boom nella periferia, facendo crescere bruscamente salari e prezzi nei paesi GIPSI rispetto alla Germania:

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Poi la musica si è interrotta.

La combinazione di economie periferiche profondamente depresse (il che significa deficit di bilancio in salita) e di paure di un collasso dell’euro si è risolta in un attacco ai bonds degli stati periferici. Ma alla radice resta il problema della bilancia dei pagamenti. Ed ogni soluzione non può non includere il rimettere costi e prezzi in linea.

Questo è il contesto nel quale si devono osservare gli atti di Mario Draghi.  In due occasioni, sinora – la prima con il LTRO [18] dello scorso autunno, poi con il programma per acquistare debito sovrano, egli si è mosso per limitare i rendimenti fuori controllo dei bonds, cortocircuitando una possibile “spirale finanziaria fatale” di prezzi dei bonds in caduta, collassi bancari e vertiginose fughe di capitali. Ed ecco i rendimenti dei bonds (medie mensili, con i dati più recenti che si fermano a settembre):

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Un buon risultato, dal suo punto di vista. Ma c’è ancora bisogno di “svalutazione interna”: una caduta considerevole dei prezzi e dei costi in rapporto al centro (ovvero, alla Germania). E questo è un processo lento e penoso.

Cosa ha a che fare l’austerità con questa storia? In gran parte, non ha niente che fare. Eliminare in via straordinaria due punti di deficit strutturale produrrà una modesta differenza nella solvibilità di lungo periodo, e non accelererà granché il passo della svalutazione interna. Tuttavia deprimerà l’occupazione ancora maggiormente e provocherà peraltro una quantità di sofferenze dirette attraverso tagli ai programmi sociali.

Perché farlo, dunque? In parte perché l’Europa è ancora alle prese con la falsa teoria secondo la quale si tratta fondamentalmente di una crisi fiscale; in parte per rassicurare i tedeschi, che restano convinti che quei vagabondi degli europei del Sud se la stiano cavando con poco. In effetti, è una politica  del farsi male per il gusto di farsi male.

I che ci riporta alla domanda: può andare avanti  in questo modo? Può andare avanti così, nel momento in cui i popoli delle economie in sofferenza dicono di non poterne più?

Le notizie dalla Spagna, con le ampie proteste e le voci di secessione, ci dicono che questo momento può avvicinarsi rapidamente. Per di più, se la Grecia da un po’ sembra non essere più l’epicentro, anche là le cose sembrano vice al collasso.

Io penso che Draghi abbia davvero agito benissimo. Ma non può fare il lavoro delle svalutazioni interne per suo conto, e non può salvare l’Europa se i suoi dirigenti pensano che farsi del male gratuitamente sia una politica salutare.

 

 

 

 

 

 

September 27, 2012, 9:03 am

Notes On Internal Devaluation (Wonkish)

Still in jet-lag city. Talking to people, and also reading what comes across the threshold, it occurs to me that there’s widespread misunderstanding of what a more or less Keynesian view of Europe’s problems actually implies. People seem to think that it means that (a) internal devaluation can never work (b) any sign of recovery, even a partial rebound, proves Keynes/Krugman wrong (this is a critical part of Baltic boosterism, where the partial recovery of Latvia and Estonia is supposed to be some kind of incredible triumph).

But none of this is right.

Let’s look at a sample of more or less orthodox sticky-price open-economy macro — in this case, Menzie Chinn’s lecture notes (pdf). Menzie actually analyzes the process of internal devaluation, though not by that name, and offers us the following figure and caption:

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So over time gradual deflation (or deflation relative to trading partners) increases competitiveness, leading to recovery toward full employment; this implies a period of above-normal growth and, implicitly, above normal growth in exports as well. So if you see these things it isn’t a refutation of the approach, it’s actually what the model predicts.

The point, however, is that it may take a long time — and there’s massive pain along the way.

And to enlarge on a point I made yesterday, what, exactly, is the purpose of imposing harsh fiscal austerity as this process unfolds? I guess it could slightly accelerate the adjustment by driving unemployment even higher; but if the biggest problem is actually one of maintaining social and political cohesion, which seems to be the case, it’s actually counterproductive even for the creditors.

 

27 settembre 2012Note sulla svalutazione interna (per esperti)Ancora nella città con la sindrome da fuso orario [19]. Parlando con la gente, ed anche leggendo quello che si trova per caso, mi accorgo che c’è una larga incomprensione di quello che un punto di vista keynesiano sui problemi dell’Europa effettivamente comporta. Le persone sembrano pensare che: (a) la svalutazione interna non può mai funzionare; (b) ogni segno di ripresa, anche di un parziale recupero, prova che Keynes/Krugman si sbagliano (questo è l’aspetto critico degli esaltatori dei paesi Baltici, dove la parziale ripresa della Lettonia e della Estonia viene considerata una sorta di incredibile trionfo).Ma niente di questo è giusto.

Si veda un esempio di più o meno ortodossa teoria delle economie aperte sulla rigidità dei prezzi – in questo caso, le note delle lezioni di Menzie Chinn (disponibili in pdf): Menzie analizza effettivamente il processo della svalutazione interna, anche se non sotto quel nome, ed offre il seguente diagramma e la seguente didascalia:

z 10

Correzione in condizioni diTassi di cambio fissi.La curva dell’offerta aggregatasi sposta in basso nel tempo, portando

ad una diminuzione nel livello

dei prezzi, ad una reale svalutazione

e ad una crescita del prodotto.

Il processo termina quando

Il prodotto è tornato al suo

Livello naturale. [20]

 

 

Dunque, con il tempo la graduale deflazione (o la deflazione relativa rispetto ai partners commerciali) accresce la competitività, conducendo alla ripresa verso la piena occupazione; questo implica un periodo di crescita sopra la norma ed, implicitamente, di crescita delle esportazioni altrettanto sopra la norma. Se guardate queste cose esse non sono una confutazione dell’approccio (keynesiano), in effetti sono quello che il modello prevede.

Il punto, tuttavia, è che tutto questo richiede tempi lunghi – ed una massiccia dose di sofferenza nel percorso.

Ed ampliando sul tema che avevo introdotto ieri, quale è, esattamente, lo scopo della imposizione di una severa austerità fiscale, quale questo processo illustra? Suppongo che esso potrebbe leggermente accelerare la correzione spingendo ad una disoccupazione persino più elevata; ma se il problema più grande è effettivamente quello del mantenimento della coesione sociale e politica, come sembra nel caso nostro, effettivamente è controproducente anche per i creditori.

 

 

 

 

 

 

 

September 27, 2012, 10:35 am

How Capital Went Into the GIPSIs

A correspondent asks a good question: when I say that lots of money flowed into Spain and other peripheral economies during the bubble years, what kind of capital flow are we talking about?

In brief, you should think of it as largely taking the form of bank-to-bank lending. E.g., German Landesbanken buying covered bonds issued by Spanish cajas, with the cajas in turn using the money to finance real estate purchases. Other forms of cross-border investment, like direct investment by corporations, were a fairly minor feature. That’s also why the flip side of those capital flows was a sharp rise in Spanish private-sector debt.

I’d like to post a good chart, but I haven’t found a clean presentation of the data. If anyone knows how to do this, let me know! But the basic story seems clear.

And by the way, this makes it quite clear that to the extent that you want to talk about irresponsible behavior, it was really a collaborative, trans-European project. German bankers knew what the Spanish banks were doing, and in fact took on quite a bit of the risk directly by accepting real estate as collateral.

 

27 settembre 2012Come I capitali si mossero verso I paesi GIPSIUn corrispondente avanza una domanda giusta: quando dico che grandi quantità di denaro sono fluite in Spagna ed in altre economie periferiche durante gli anni della bolla, di che genere di flussi di capitali sto parlando?In breve, si dovrebbe considerare ciò come avesse in gran parte preso la forma di prestiti da banca a banca. Ad esempio, le Landesbanken tedesche che acquistano bonds garantiti emesse dalle Casse spagnole, con la Casse che a loro volta utilizzano il denaro per finanziare acquisti immobiliari. Alte forme di investimenti transnazionali, come gli investimenti diretti da parte di imprese, hanno avuto un ruolo assai minore. E quella è anche la ragione per la quale il rovescio della medaglia di quei flussi di capitali è stato un brusco rialzo del debito del settore privato.

Avrei voluto pubblicare un buon diagramma, ma non ho trovato una presentazione chiara dei dati. Se qualcuno sa come farlo, me lo dica! Ma la storia di fondo sembra chiara.

E, per inciso, questo chiarisce abbastanza che nella misura nella quale si vuole parlare di condotte irresponsabili, queste furono effettivamente un progetto di collaborazione trans-europea. I banchieri tedeschi sapevano cosa stavano facendo le banche spagnole, e di fatto si presero direttamente una parte piuttosto significativa di rischio accettando l’immobiliare come garanzia collaterale.

 

 

 

 

September 27, 2012, 10:47 am

Same As It Ever Was

FT Alphaville went trawling through the New York Times archives to look at what people were saying about monetary policy in 1929-33, and produced a wonderful piece that’s both deeply reassuring and deeply frustrating.

The thing that’s both reassuring and frustrating is how much it sounds just like the discussions and debates we have today.

OK, the reassuring part: as a card-carrying model-building economist, my justification for existence relies on the belief that the issues and fundamental stories in economics are fairly stable over time. Not completely stable — I don’t think you want to apply modern Keynesian theory to the Roman Empire under Diocletian — but stable enough that, say, major financial crises generations apart share many of the same features, that a liquidity trap in the 1930s is recognizably the same kind of animal as a liquidity trap in the 21st century.

An alternative view would be that everything depends on the specifics, that our modern service-dominated economy, with globalized manufacturing and the Internet and all that, is nothing like the economy of our grandfathers, and all the rules are different. And over long enough stretches that is true — as I said, Diocletian’s economy, or indeed any economy dominated by agriculture, probably was completely different. But Keynes’s and FDR’s economy, it turns out, was enough like ours that the same stylized models still apply.

Now the disturbing part: since we’ve seen this before, since we have models that are good enough to make sense of both the past and the present, it’s a huge failure of economics as a practical discipline that we’re hashing over the same debates our grandfathers had (and making many of the same mistakes). Some of this reflects the refusal of policy makers to listen to what we know; but regular readers won’t be surprised when I say that a lot of it reflects the deliberate forgetting of many economists, and the resulting lack of any clear professional guidance.

And so, having refused to learn from history, we are indeed doomed to repeat it.

 

27 settembre 2012Lo stesso che è sempre statoFT Alphaville [21]è andato a setacciare negli archivi del New York Times per guardare cosa la gente dicesse della politica monetaria negli anni 1929-33, ed ha prodotto un bellissimo articolo che è insieme profondamente rassicurante e profondamente frustrante.La cosa che è sia rassicurante che frustrante è quanto tutto ciò assomigli alle discussioni ed ai dibattiti che abbiamo oggi.

Dunque cominciamo dalla parte rassicurante: come economista patentato nella costruzione di modelli, la mia ragione di esistenza risiede nel convincimento che, in economia, le tematiche e le storie principali sono abbastanza stabili nel tempo. Non completamente stabile – non penso che vogliate applicare la teorie keynesiana all’Impero Romano sotto Diocleziano – ma abbastanza stabile, dimodoché, ad esempio, le importanti crisi finanziarie, a prescindere dalle generazioni, condividono molti degli stessi tratti, o che una trappola di liquidità nel 1930 è riconoscibilmente lo stesso genere di animale di una trappola di liquidità nel 21° secolo.

Un punto di vista alternativo sarebbe quello per il quale ogni cosa dipende dai suoi aspetti specifici, che la nostra moderna economia dominata dai servizi, con i settore manifatturiero globalizzato ed Internet e tutto il resto, non ha niente a che fare con l’economia dei nostri nonni, e che tutte le regole sono diverse. E, per periodi sufficientemente lontani questo è vero  – come ho detto, l’economia di Diocleziano, o in effetti ogni economia dominata dall’agricoltura, probabilmente sono completamente diverse. Ma l’economia di Keynes e di Franklin Delano Roosevelt, si scopre, era abbastanza simile alla nostra, al punto che funzionano ancora gli stessi modelli standardizzati.

Ed ora, la parte preoccupante: dal momento che avevamo conosciuto tutto questo in precedenza, dal momento che esistono modelli sufficientemente corretti, tali da dar conto sia del passato che del presente,  è un fallimento grave dell’economia come disciplina empirica che ci si stia ancora macerando nelle stesse discussioni dei nostri nonni (e che si stiano ancora facendo gli stessi errori). In parte questo riflette il rifiuto degli operatori della politica ad ascoltare le cose che si conoscono; ma i lettori affezionati non saranno sorpresi se dico che in gran parte esso riflette anche la deliberata dimenticanza di molti economisti, e la conseguente assenza di una qualche chiara guida da parte dei professionisti.

E così, avendo rifiutato di imparare dalla storia, in sostanza siamo costretti a ripeterla.

 

 

 

 

September 27, 2012, 12:03 pm

Not The Election They Were Expecting

A brief, mostly subjective note: This really isn’t looking like the election anyone expected. Obviously it’s not the election Romney and the Republicans expected and wanted; but it’s also looking very different from what Democrats expected.

What Romney & Co. expected was a simple rejection of Obama because of the weak economy. As Greg Sargent often reminds us, this isn’t how it has played at all. On one side, voters tend to react to recent trends, not the absolute level — and the economy has gotten better in some ways over the past year, though obviously not by a lot. On the other, people do remember the crisis of 2008, which they still blame on Bush, and remain willing to cut Obama substantial slack.

But as the polls move strongly in Obama’s direction (yes, I know, it’s all a liberal conspiracy that somehow even includes Fox News), it’s clear at least to me that there’s more going on.

The conventional wisdom — which I too bought into — was that Democrats were going to support Obama, but grudgingly and without much enthusiasm. There had been too many disappointments; the golden aura of 2008 was long gone. Meanwhile, Republicans would show their usual unity and discipline, and at best it would be Obama by a nose.

Instead, the Republicans appear to be in a shambles — while the Democrats seem incredibly united, and increasingly, dare I say it, enthusiastic. (Mark Blumenthal sees this in the polls, but it’s also just the impression you get.)

How did that happen? Partly it’s because this has become such an ideological election — much more so than 2008. The GOP has made it clear that it has a very different vision of what America should be than that of Democrats, and Democrats have rallied around their cause. Among other things, while we weren’t looking, social issues became a source of Democratic strength, not weakness — partly because the country has changed, partly because the Democrats have finally worked up the nerve to stand squarely for things like reproductive rights.

And let me add a speculation: I suspect that in the end Obamacare is turning out to be a big plus, even though it has always had ambivalent polling. The fact is that Obama can point to a big achievement that will survive if he is reelected, perish if he isn’t; health insurance for 50 million or so Americans (30 million from the ACA, another 20 who would lose coverage if Romney/Ryan Medicaid cuts happen) is enough to cure people of the notion that it doesn’t matter who wins.

All of this in turn has an implication that Republicans won’t like — assuming that Rasmussen doesn’t have a special insight into the truth denied to all other pollsters, and that Obama does in fact win with a solid margin. The right is already set up to blame poor Mitt, claiming that he lost because he wasn’t conservative enough. But that’s not what we’re seeing; it looks as if voters are rejecting the right’s whole package, not just the messenger.

As I said, not the election anyone was expecting — but a happy surprise for some, and a nasty shock for others.

 

27 settembreLe elezioni che non ci si aspettavaUna breve nota, molto soggettiva: queste non sembrano davvero le elezioni che qualcuno si aspettava. Ovviamente non sono le elezioni che si aspettavano e volevano Romney ed i Repubblicani; ma sembrano anche assai diverse da quello che si aspettavano i Democratici.Quello che Romney e compagnia si aspettavano era un semplice rigetto di Obama a causa dell’economia debole. Come spesso Greg Sargent [22] ci ricorda, le cosa non sono andate affatto in questo modo. Da una parte, gli elettori tendono a reagire alle tendenze recenti più che ai dati assoluti – e l’economia per alcuni aspetti è migliorata nell’ultimo anno,  sebbene evidentemente non di molto. Per altro verso, la gente si ricorda eccome la crisi del 2008, della quale dà ancora la colpa a Bush, e resta disponibile a concedere una tregua sostanziale ad Obama.

Ma nel mentre i sondaggi si spostano con evidenza a favore di Obama (si, lo so, si tratta di una cospirazione dei liberals, che in qualche modo coinvolge anche Fox News), è chiaro per me che qualcosa di più sta succedendo.

Il senso comune – che anch’io avevo preso sul serio – era che i Democratici avrebbero continuato a sostenere Obama, ma mugugnando e senza molto entusiasmo. C’erano state troppe delusioni: l’atmosfera aurea del 2008 se n’era andata da un pezzo. Nel frattempo, i Repubblicani avrebbero mostrato la loro tradizionale unità e disciplina, e nel migliore dei casi Obama avrebbe prevalso per un soffio.

Invece, i Repubblicani sembrano essere nella confusione – mentre i Democratici sembrano essere incredibilmente uniti, e, oserei dire, crescentemente entusiasti (Mark Blumenthal vede questo nei sondaggi, ed è proprio l’impressione che si ha).

Come è successo? In parte perché queste sono diventate elezioni ideologiche – molto di più che nel 2008. Il Partito Repubblicano  ha reso chiaro di avere una visione diversa di quello che l’America dovrebbe essere rispetto ai democratici, ed i democratici  si sono stretti attorno ai loro valori. Tra le altre cose, ne mentre non ce ne accorgevamo, i temi sociali sono diventati una fonte di forza per i democratici, non di debolezza – in parte perché il paese è cambiato, in parte perché i Democratici alla fine hanno trovato il coraggio di prendere francamente posizione su cose come i diritti alla procreazione consapevole [23].

E consentitemi di aggiungere una congettura: alla fine ho il sospetto che la riforma della assistenza di Obama verrà fuori essere un gran vantaggio, anche se essa ha sempre avuto esiti ambivalenti nei sondaggi. Il fatto è che Obama può indicare un grande risultato che resterà se egli sarà eletto e scomparirà nel caso contrario; la assicurazione sanitaria per  50 milioni di americani  o giù di lì (30 milioni che derivano dalla legge, altri 20 che perderebbero la copertura assicurativa se passano i tagli di Romney/Ryan a Medicaid) è sufficiente a guarire la gente dall’idea che non ha importanza chi vince.

Tutto questo a sua volta ha una implicazione che i repubblicani non gradiranno – assumendo che Rasmussen [24] non abbia uno speciale accesso alla verità negato agli altri sondaggisti, e che Obama possa davvero vincere con un solido margine. La destra è già impegnata a dare la colpa al povero Mitt, sostenendo che egli sta perdendo perché non è abbastanza conservatore. Ma non è questo a cui stiamo assistendo: sembra che gli elettori stiano rigettando l’intero pacchetto della destra, non solo il messaggero.

Come ho detto, non sono proprio  le elezioni che qualcuno si aspettava – ma una felice sorpresa per alcuni, e un brutto scherzo per gli altri.

 

 

 

September 28, 2012, 6:50 am

Debt Is a Drug (And So Is Austerity)

 

A commenter tells me that there is a term of art in the substance use literature, “generational forgetting”, that seems relevant to our economic troubles. And it’s true, e.g. here (pdf):

Adult norms against youth substance use also can be eroded by “generational forgetting”. When prevention initiatives have enough success to greatly decrease youth use of a substance, problems stemming from such use that were self-evident during the times of greatest use of the substance may be forgotten as new cohorts of youth move into pre-teen and teen years.

That’s perfect: as memory of bad things fades, a new generation is tempted to repeat an earlier generation’s mistakes.

The most obvious application is to Minsky’s theory of financial instability. An economic crisis alerts both officials and the private sector to the dangers of excessive leverage; the resulting regime of public regulation and private caution brings a long era of stability. But eventually the personal and institutional memory of the dangers of debt fades, leading to deregulation and leveraging up — setting the stage for the next deleveraging crisis.

But the same thing applies to public policy in response to depression, in the seemingly opposite direction. The Great Depression taught policy makers the hard way that tight money and fiscal austerity were really bad ideas in the face of a deeply depressed economy; but several generations on all that was forgotten except by the economic historians, and policy makers were ready to resurrect the Treasury View, get all worked up about the dangers of inflation despite the absence of actual inflation, and in general to repeat their grandfathers’ mistakes in full.

There have been a fair number of finance types saying things like “government stimulus is heroin”. Actually, they’re wrong; it’s austerity in the face of depression that’s just like heroin, a dangerous drug that resurfaces at intervals because the next generation has forgotten the damage it does.

 

28 settembre 2012Il debito è una droga (ma lo è altrettanto l’austerità)Un commentatore mi dice che c’è un termine specifico nella letteratura sull’uso di stupefacenti, “dimenticanza generazionale”, che sembra adatto ai nostri guai economici. Ed è vero, ad esempio a questo proposito (connessione in pdf [25]):“Le norme per adulti contro l’uso di sostanze da parte dei giovani possono anche essere minate da “dimenticanza generazionale”. Quando le iniziative sulla prevenzione hanno abbastanza successo nel far decrescere in modo rilevante l’uso da parte dei giovani delle sostanze, i problemi derivanti da tale uso che erano ovvi durante i tempi dell’uso maggiore degli stupefacenti possono essere dimenticati, allorché nuove coorti di giovani  entrano negli anni preadolescenziali ed adolescenziali”.

E’ perfetto: come svanisce la memoria della cose cattive, una nuova generazione è tentata di ripetere gli errori  della generazione precedente.

La applicazione più ovvia è alla teoria della instabilità finanziaria di Minsky. Una crisi economica mette in guardia sia le autorità che il settore privato contro i rischi di un rapporto di indebitamento eccessivo; il regime che ne risulta di regole pubbliche e di cautele private porta un lungo periodo di stabilità. Ma alla fine la memoria personale ed istituzionale dei pericoli del debito svanisce, portando alla deregolamentazione ed all’aumento dell’indebitamento – preparando la successiva crisi da improvvisa riduzione del rapporto di indebitamento.

Ma la stessa cosa si applica alla politica pubblica in risposta alle depressione, apparentemente nella direzione opposta. La Grande Depressione insegnò agli operatori politici che la restrizione monetaria e l’austerità fiscale erano davvero cattive idee di fronte ad una economia depressa; ma passate alcune generazioni, tutto quello venne dimenticato ad eccezione che dagli storici dell’economia, e gli operatori politici furono pronti a riesumare il “Punto di Vista del Tesoro” [26], mettendosi in agitazione sui rischi di inflazione nonostante l’assenza di una effettiva inflazione, e in generale ripetendo in pieno gli errori dei loro nonni .

C’è stato un discreto numero di individui del mondo finanziario che hanno detto cose come “il sostegno pubblico dello Stato è come l’eroina”. In effetti, avevano torto: è l’austerità di fronte alla recessione che è proprio come l’eroina, una droga pericolosa che ritorna ad intervalli, perché la generazione successiva ha dimenticato i danni  che produce.

 

 

 

 

September 28, 2012, 7:02 am

Internal Devaluation and the Road to Wigan Pier

Greg Ip, in correspondence, directs me to Chapter 3 of the latest IMF World Economic Outlook, which among other things contains an analysis of a case that bears directly on the attempts of euro area countries to restore economic health through fiscal austerity and internal devaluation: Britain’s return to the gold standard after World War I.

As the report says, Britain demonstrated a fairly awesome commitment to austerity:

To achieve its objectives the U.K. government implemented a policy mix of severe fiscal austerity and tight monetary policy. The primary surplus was kept near 7 percent of GDP throughout the 1920s.This was accomplished through large expenditure decreases, courtesy of the “Geddes axe,” and a continuation of the higher tax levels introduced during the war. On the monetary front, the Bank of England raised interest rates to 7 percent in 1920 to support the return to the prewar parity, which—coupled with the ensuing deflation—delivered extraordinarily high real rates.

Sad to say, however, the confidence fairy never arrived. Britain suffered prolonged economic stagnation even before the onset of the Great Depression:

z 12

And it didn’t even succeed in reducing the debt/GDP ratio, because deflation and slow growth outweighed the effects of austerity.

Not a good omen for Europe.

 

28 settembre 2012La svalutazione interna e la “Strada per Wigan Pier” [27] Greg Ip, tramite corrispondenza, mi indica il Capitolo terzo dell’ultima edizione di  “Prospettive economiche del mondo” del FMI, la quale tra le altre cose contiene una analisi di un caso che ha una relazione diretta con i tentativi  di ripristinare una condizione di salute nell’economia attraverso l’austerità della finanza pubblica e la svalutazione interna: il ritorno dell’Inghilterra al gold standard dopo la Prima Guerra Mondiale.

Come dice il rapporto, l’Inghilterra diede prova di una dedizione abbastanza fantastica alla austerità:

“Per ottenere i suoi obbiettivi il Governo britannico sviluppò un politica combinata di severa austerità delle finanze pubbliche e di restrizione monetaria. L’avanzo primario fu mantenuto vicino al 7 per cento del PIL per tutti gli anni ’20. Questo fu possibile attraverso forti diminuzioni delle spese, grazie alla “scure di Geddes [28]”, e ad una prosecuzione degli alti livelli della tassazione introdotti durante le guerra. Sul fronte monetario, la Banca di Inghilterra nel 1920 innalzò i tassi di interesse  al 7 per cento per sostenere il ritorno alla parità prebellica, la qual cosa – accoppiata con la conseguente deflazione –  provocò tassi di interesse reali straordinariamente alti”.

Dispiace dirlo, ciononostante la fata turchina della fiducia [29] non fece mai la sua comparsa. L’Inghilterra soffrì di una prolungata stagnazione anche prima dell’inizio della Grande Depressione:

z 12

E tutto ciò non ebbe neppure successo nella riduzione del rapporto tra il debito ed il PIL, giacché la deflazione e la lenta crescita bilanciarono gli effetti dell’austerità.

Non un buon presagio per l’Europa.

 

 

 

 

 

October 1, 2012, 10:03 am

Euro Counterfactuals (Wonkish)

Via The Irish Economy, a new paper (pdf) from the IMF looks at how, exactly, massive current imbalances emerged within Europe, with Germany running huge surpluses and the GIPSIs running huge deficits.

The paper shows that there were indeed huge capital flows from the European core to the periphery, in Spain largely taking the form of lending to banks, presumably by other banks:

z 13

The surprising result in the paper is that much of the rise in imbalances within the euro area involved trade with non-euro nations. Germany sharply increased exports to Asia and Eastern Europe, which had strong demand for German durable manufactures. Meanwhile, southern Europe saw a sharp increase in imports from low-wage countries.

There are two questions this result raises. First, what does it say about the causes of euro imbalances? Second, what does it say about the adjustment now required?

On the first question, should we say that external factors rather than those core-periphery capital flows were responsible for the huge imbalances? I don’t think so. If Spain hadn’t had those capital inflows it wouldn’t have had an economic boom, in fact it would have suffered mild weakness due to those rising imports from Asia, and its wages would have grown less than those in Germany, not more. (And of course if it had still had its own currency it would have seen that currency depreciate). So in a macroeconomic sense I think you still want to say that the excess confidence engendered by the euro caused the imbalances within Europe.

On the second, should we say that internal devaluation is less urgent because external factors had a role in causing the original imbalances? On the contrary, internal devaluation becomes even more necessary – and the size of the relative wage change bigger – if the euro is to survive. Think about it: if secular shifts in trade patterns are responsible, in a proximate sense, for part of Spain’s move into trade deficit and Germany’s move into surplus since 1999, what this says is that even if you get relative wages back to 1999 levels, Spain will still be in deficit and Germany in surplus – so you need to go beyond that point.

Food for thought – and for even more europessimism.

 

1 0ttobre 2012L’euro al di là delle apparenze  (per esperti) 

Tramite The Irish Economy, un nuovo saggio (disponibile in pdf) da parte del FMI studia con, con esattezza, massicci sbilanci correnti sono emersi all’interno dell’Europa, con la Germania che gestiva ampi surplus ed i paesi GIPSI ampi deficit.

Il saggio mostra che c’erano in effetti vasti flussi di capitali dal centro dell’Europa alla periferia, che in Spagna prendevano largamente la forma di prestiti alle banche, presumibilmente da altre banche [30]:

z 13

Il risultato sorprendente nel saggio è che gran pare della crescita degli sbilanci all’interno dell’area euro riguardava commerci con nazioni non-euro. La Germania aveva incrementato bruscamente le esportazioni nell’Asia e nell’Europa Orientale, che aveva una forte domanda per beni durevoli manifatturieri tedeschi. Nel frattempo, l’Europa meridionale conosceva un forte incremento da paesi con bassi salari.

Ci sono due domande che questi risultati pongono. La prima, cosa ci dice questo sulle cause degli squilibri dell’euro? La seconda, cosa ci dice sulla correzione che è ora richiesta?

Sulla prima domanda, dovremmo dire che fattori esterni piuttosto che quelli centro-periferia sono stati responsabili dei forti sbilanci? Io non lo penso. Se la Spagna non avesse avuto quei flussi di capitali non avrebbe avuto un boom economico, di fatto avrebbe sofferto una leggera debolezza derivante da quelle importazioni crescenti dall’Asia, ed i suoi salari sarebbero cresciuti  meno di quelli in Germania, non di più (e, naturalmente, se essa avesse avuto ancora la propria valuta la avrebbe vista svalutarsi). Dunque, in senso macroeconomico, penso che si debba dire che l’eccesso di fiducia provocato dall’euro ha provocato gli squilibri all’interno dell’Europa.

Sulla secondo domanda,  dovremmo dire che la svalutazione interna è meno urgente perché fattori esterni hanno avuto un ruolo nel provocare gli squilibri originali? Al contrario, la svalutazione interna diventa persino più necessaria – e la dimensione del mutamento del salario relativo anche più grande – se l’euro deve sopravvivere. Si ragioni in questo modo: se spostamenti secolari  nell’organizzazione commerciale sono responsabili, approssimativamente, di una parte dello spostamento della Spagna nell’area del deficit commerciale e dello spostamento della Germania nell’area del surplus, a partire dal 1999, questo ci dice che se anche si ottiene che i salari relativi tornino ai livelli del 1999, la Spagna sarà ancora in deficit e la Germania in surplus – dunque c’è necessità di andare oltre quel punto.

Materiale per una riflessione – ed anche per maggiore europessimismo.

 

 

 

October 2, 2012, 3:11 am

Flimflam Fever Goes VSP

 

Way back in 2010 I took a real look at Paul Ryan’s much-praised plan, and quickly determined that it was essentially a fraud. I pronounced him a flimflam man. And according to my sources, the Very Serious People of Washington were greatly annoyed. They had decided that Ryan was a Brave Truth-Teller; you weren’t supposed to question that premise. Indeed, months later Ryan received a “Fiscy” award for fiscal responsibility.

So you’ll forgive me if my eyes popped a bit on seeing VSP Central, aka the Washington Post, publishing an editorial titled, yes, Paul Ryan’s budget flimflam, accusing him of faking it and “hiding behind a flimsy scaffolding of pseudo-wonkiness.” Quite.

Look, I’m glad to see this sinking in. As Jonathan Chait says,

Paul Ryan’s selection as Mitt Romney’s vice-presidential candidate is subjecting him to all manner of strange new indignities, such as questions about public policy that are different than those that his own press staff would have written.

And the results aren’t pretty.

But can I suggest in future that if I say that somebody is a fraud, the VSPs at least consider the possibility that I know what I’m talking about?

 

2 ottobre 2012La febbre della fandonia prende le Persone Molto Serie [31]Nel passato 2010 diedi proprio un’occhiata al tanto elogiato piano di Paul Ryan, e in breve stabilii che era essenzialmente un imbroglio. Lo definì ‘l’uomo della fandonia’. E, secondo le mie fonti, le Persone Molto Serie a Washington di indispettirono molto. Avevano stabilito che Ryan era un Coraggioso Amante della Verità; non si doveva ipotizzare di mettere in forse quella premessa. In effetti mesi dopo Ryan ricevette un premio “Fiscy”  [32] per ‘responsabilità fiscale’ [33].Potete capire che i miei occhi siano schizzati dalla orbite nel vedere la Centrale delle Persone Molto Serie, anche nota come Washington Post, che pubblicava un editoriale dal titolo, proprio così, “La fandonia del bilancio di Paul Ryan”, nel quale lo accusava di truccare le carte e di “nascondersi dietro una fragile impalcatura di pseudo specialismi”. Proprio così.

Si badi, sono contento che questo sia stato compreso. Come dice Jonathan Chait:

“La scelta di Paul Ryan come candidato Vicepresidente di Mitt Romney lo sta sottoponendo ad ogni sorta di nuovi oltraggi, come i temi relativi alla politica  istituzionale  che sono diversi da quelli che sarebbero stati scritti dal suo proprio ufficio stampa”.

Ed i risultati non sono carini.

Ma posso suggerire per il futuro che se io dico che qualcuno è un imbroglione, le Persone Molto Serie almeno considerino la possibilità che io so di cosa sto parlando?

 

 

 

 

 

October 2, 2012, 3:23 am

Bowlesing Toward Betrayal

So, is my timing good or not? Right after I warn about the risk that Democrats, including the president, might betray the mandate they seem likely to get for preserving the safety net, we learn that Senate leaders are at work on a plan based around, well, you guessed it:

If those efforts failed, another plan would take effect, probably a close derivative of the proposal by President Obama’s fiscal commission led by Erskine B. Bowles, the Clinton White House chief of staff, and former Senator Alan K. Simpson of Wyoming, a Republican. Those recommendations included changes to Social Security, broad cuts in federal programs and actions that would lower tax rates over all but eliminate or pare enough deductions and credits to yield as much as $2 trillion in additional revenue.

 

Just to say, this would be politically stupid as well as a betrayal of the electorate. If you don’t think Republicans would turn around and accuse Democrats of cutting Social Security — probably even before the ink was dry — you’ve been living under a rock.

 

2 ottobre 2012Rotolando [34] verso il tradimento Dunque, è buona o no la mia tempistica? Appena dopo aver messo in guardia dal rischio che i Democratici, incluso il Presidente, potevano tradire il mandato che pare probabile essi ottengano per preservare le reti della sicurezza sociale, leggiamo che i dirigenti del Senato sono al lavoro su un piano basato, grosso modo, ebbene, ve lo immaginate …“Se quegli sforzi sono falliti, un altro piano potrebbe entrare in funzione, probabilmente un parente stretto della proposta di Commissione sui temi della finanza pubblica del Presidente Obama diretta da Erskine B. Bowles, il coordinatore dello staff della Casa Bianca ai tempi di Clinton, ed il passato Senatore Repubblicano del Wyoming, Alan K. Simpson. Quelle raccomandazioni includevano cambiamenti nel sistema della Previdenza Sociale, ampi tagli nei programmi federali ed azioni che avrebbero abbassato dappertutto le aliquote fiscali, ma eliminato o ridotto deduzioni e crediti di imposta in modo da provocare qualcosa come 2 mila miliardi di dollari di entrate aggiuntive”.

E’ appena il caso di dirlo, questo sarebbe politicamente stupido ed anche un tradimento dell’elettorato. Se non si capisce che i repubblicani farebbero una giravolta   ed accuserebbero i Democratici di tagli alle pensioni – probabilmente anche prima che i Democratici abbiano messo nero su bianco –  vuol dire che si vive sotto una pietra.

 

 

 

October 3, 2012, 2:16 am

The Economic Consequences of Mr. Rajoy

OK, it’s not really him, it’s the whole European situation. But I’m still obsessing over the third chapter of the new IMF World Economic Outlook, with its discussion of the case of Britain’s return to the gold standard — the case that inspired Keynes to write his scathing “The Economic Consequences of Mr. Churchill”.

Modern estimates (pdf) suggest that Britain returned to the gold standard with a currency overvalued by around 20 percent; it also did so with a large debt from World War I. It proceeded to pursue a policy of harsh fiscal austerity — primary surpluses around 7 percent of GDP — and internal devaluation through deflation. As the IMF shows, it not only suffered prolonged stagnation, it failed even to make a dent in the debt overhang:

z 14

So, how do European debtors — and Spain in particular — compare? Too well for comfort.

Estimating overvaluation is trickier than it should be; among other things, the unit labor cost numbers you see are problematic, because they’re “whole economy” rather than private sector. This means that sharp cuts in public sector wages are counted as a rise in competitiveness, when they really aren’t.

So at this point I prefer just plain labor costs in the private sector, which look like this:

z 15

This suggests something like a 15 percent overvaluation overall — same ballpark as Britain in the 1920s, but maybe a bit smaller.

This is not good. History suggests that unless Spain gets serious help from a broader euro boom, and in particular some inflation in creditor countries, it faces a near-impossible task.

 

3 ottobre 2012Le conseguenze economiche del Sig. RajoyVa bene, non lui in particolare, è l’intera situazione europea. Ma io sono ancora colpito dal terzo capitolo delle nuove Prospettive Economiche Mondiali  del FMI, con il dibattito sull’esempio del ritorno della Gran Bretagna al gold standard – il caso che ispirò a Keynes   la scrittura del suo caustico “Le conseguenze economiche del Sig. Churchill”.Stime odierne (disponibili in pdf) indicano che la Gran Bretagna tornò al gold standard con una moneta sopravvalutata di circa il 20 per cento: inoltre fece ciò con un ampio debito derivante dalla Guerra Mondiale. Essa si decise a perseguire una politica di aspra austerità delle finanze pubbliche – con surplus primari attorno al 7 per cento del PIL – ed una svalutazione interna attraverso la deflazione. Come il FMI mostra, non solo soffrì di una prolungata stagnazione, non riuscì neppure a spostare di una virgola la sua sovraesposizione debitoria:

z 14

Come, dunque, sono comparabili i debitori europei – e la Spagna in particolare? Anche troppo bene, per consolarsi.

Stimare una sopravvalutazione  è più difficile di quello che dovrebbe essere; tra le altre cose, i numeri sui costi per unità lavorativa che si osservano sono problematici, perché riguardano l’intera economia e non il solo settore privato. Questo significa che aspri tagli salariali nel settore pubblico vengono messi nel conto di una crescita della competitività, mentre in realtà non sono tali.

Dunque, a questo punto preferisco proprio i semplici costi nel settore privato, che appaiono in questo modo:

z 15

Questo suggerisce un 15 per cento di sopravvalutazione generale – la stessa stima della Gran Bretagna degli anni ’20, semmai forse un po’ più piccola.

Non è una buona situazione. La storia suggerisce che senza che la Spagna ottenga un aiuto da una più generale espansione europea, ed in particolare da una certa inflazione nei paesi creditori, essa ha a che fare con un compito quasi impossile.

 

 

 

 

 

October 4, 2012, 3:36 am

Romney’s Sick Joke

OK, so Obama did a terrible job in the debate, and Romney did well. But in the end, this isn’t or shouldn’t be about theater criticism, it should be about substance. And the fact is that everything Obama said was basically true, while much of what Romney said was either outright false or so misleading as to be the moral equivalent of a lie.

Above all, there’s this:

MR. ROMNEY: Let — well, actually — actually it’s — it’s — it’s a lengthy description, but number one, pre-existing conditions are covered under my plan.

No, they aren’t. Romney’s advisers have conceded as much in the past; last night they did it again.

I guess you could say that Romney’s claim wasn’t exactly a lie, since some people with preexisting conditions would retain coverage. But as I said, it’s the moral equivalent of a lie; if you think he promised something real, you’re the butt of a sick joke.

And we’re talking about a lot of people left out in the cold — 89 million, to be precise.

Furthermore, all of this should be taken in the context of Romney’s plan not just to repeal Obamacare but to drastically cut Medicaid.

So enough with the theater criticism; Romney needs to be held accountable for dishonesty on a huge scale.

 

4 ottobre 2012Il gioco sporco’ di RomneyE’ vero, dunque Obama è andato malissimo nel dibattito, mentre Romney è andato bene. Ma alla fine, non è o non dovrebbe essere una faccenda di critica teatrale, dovrebbe essere una faccenda di sostanza. E il fatto è che ogni cosa detta da Obama era fondamentalmente veritiera, mentre molto di quello che ha detto Romney era del tutto falso o talmente fuorviante  da essere moralmente equivalente ad una bugia.Soprattutto, si è trattato di questo:

ROMNEY – Consentitemi …  bene, in effetti … in effetti è …  è …  una descrizione prolissa, ma numero uno, i precedenti seri problemi di salute  sono coperti  dalle assicurazioni nel mio programma”.

No, non lo sono. I consiglieri di Romney lo hanno abbondantemente riconosciuto in passato; la scorsa notte l’hanno riconosciuto ancora una volta.

Suppongo che si potrebbe sostenere che la promessa di Romney non sia esattamente una bugia, dal momento che alcune persone con precedenti seri problemi di salute conserverebbero la copertura. Ma, come ho detto, è moralmente equivalente ad una bugia; se pensate che egli abbia promesso qualcosa di reale, vi fate prendere in giro.

E stiamo parlando di un bel po’ di gente che sarebbe lasciata fuori al freddo – 89 milioni di persone, per essere precisi.

Oltre a ciò, tutto questo verrebbe deciso nel contesto di un piano non solo per abrogare la riforma sanitaria di Obama, ma anche per tagliare drasticamente Medicaid.

Dunque, basta con la critica teatrale; Romney deve essere considerato responsabile di disonestà a tutto tondo.

 

 

 

 

 

October 5, 2012, 5:31 am

Britain’s Gap Trap

And now for something completely different — actually just a quick note. The always interesting Izabella Kaminska points us to a study suggesting that Britain’s output gap — the difference between real GDP and the economy’s capacity — is much bigger than the official estimates. This is actually a theme I’ve heard from a number of people.

Why might we think this? The official estimates assume that Britain’s productive capacity — not just the actual level of output, but the economy’s potential — took a huge hit from the financial crisis. It’s never been clear why this should be so.

And here’s the thing: if British capacity is a lot bigger than estimated, everything people say about fiscal policy, in particular, is wrong. The structural budget deficit is much smaller than claimed, as is the need for adjustment. The case for austerity is also weaker, and the costs of austerity in keeping the economy depressed are much larger.

More about this when I have time, maybe later today.

 

5 ottobre 2012La trappola del deficit ingleseEd ora qualcosa di completamente diverso – di fatt soltanto una breve nota. La sempre interessante Izabella Kaminska ci rinvia ad uno studio che indica che il deficit di produzione inglese – la differenza tra il PIL effettivo e la capacità produttiva dell’economia – è molto più grande delle stime ufficiali. Questo è effettivamente un argomento che ho sentito da numerose persone.Perché dovremmo pensare in questo modo? Le stime ufficiali considerano che la capacità produttiva dell’Inghilterra – non solo il livello attuale della produzione, ma il potenziale dell’economia – ha preso un gran colpo dalla crisi finanziaria. Non è mai stato chiaro perché dovrebbero essere andate in questo modo.

Ed ecco il punto: se la capacità produttiva inglese è di un bel po’ più grande di quanto stimato, tutto quello che la gente dice, in particolare sulla politica finanziaria pubblica, è sbagliato. Il deficit strutturale di bilancio è molto più piccolo di quanto si è sostenuto, come la necessità di una sua correzione. L’argomento per l’austerità è anch’esso più debole, ed i costi dell’austerità nel mantenere l’economia depressa sono più larghi.

Dirò su questo quando avrò tempo, forse oggi più tardi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

October 5, 2012, 9:55 am

Wages, Prices, Depressions, Deficits (Wonkish)

I mentioned the piece by Capital Economics arguing that policy makers in Britain are greatly understating the output gap, the amount of excess capacity in the economy, which is leading to badly skewed policies. This actually raises a whole set of related issues, with bearing on the US as well. So here’s a longish, wonkish discussion.

 

 

So: the starting point here is the official estimate by the Office of Budget Responsibility that Britain right now has an output gap of less than 3 percent. This is a remarkable assertion, when you bear in mind that real GDP remains well below its level pre-crisis, and that we used to think that Britain’s long-run growth rate was around 2.5 percent. As the CE guys say, simple trend projection would indicate a shortfall of 14 percent; how did that become less than 3?

 

Part of the answer is the assertion that the UK economy was operating well above sustainable levels in 2007, even though there were none of the usual signs of overheating. Beyond that, however, is the claim that the financial crisis somehow reduced potential output by a huge amount. As CE says, there is no plausible story about how that might have happened.

But, say the small-gap people, if Britain is deeply depressed relative to potential, we should be seeing deflation, whereas there’s actually inflation. Is this a decisive argument?

Well, the great bulk of UK inflation these past few years reflects one-off factors: VAT increases, commodity prices, and import prices. Domestically generated inflation is low, and headline inflation is declining too.

 

But that’s not deflation; shouldn’t we be seeing that right now? Indeed, standard textbook Phillips curves do say that if you’re below the natural rate of output, you should have falling inflation eventually turning into accelerating deflation.

 

Yet there are very good reasons to believe that these standard Phillips curves break down at low inflation, because nominal wage cuts are always and everywhere very hard to demand or accept.

A side observation: I’ve always wondered about the numbers one often sees for U.S. average wages in the 1930s, which show a sharp decline in the early part of the Depression. Has wage stickiness been exaggerated? My thought was always that this might be a misleading number, because average earnings might have fallen due to greatly reduced overtime and such rather than through big cuts in basic wages. And it turns out that there is a really early NBER study on just that question; sure enough, the fall in basic wage rates was much less than the fall in average earnings. (Advocates of internal devaluation take heed: even in the Great Depression, US wages fell only about 7 percent before rising again):

z 16

 

Oh, by the way: the failure of wages to fall more was a good thing, not a bad thing.

Back to the main argument: as the CE report says, if you have a false view that excess capacity necessarily leads to accelerating deflation, you can all too easily come to believe that a deeply depressed economy represents a “new normal” that must be adjusted to:

 

If the Phillips Curve is horizontal over wide ranges of the inflation/unemployment/spare capacity relationship, but policymakers believe that a stable inflation rate means that the economy is operating at its potential, this raises the risk that they will persistently allow the economy to operate below its potential. After all, the conventional signal that this is the case – falling inflation – will not be flashing.

 

In Britain, this translates both into complacency about monetary and fiscal policy in the short run, and into excessive alarm about the long-run fiscal picture. If you like, Cameron/Osborne are imposing harsh cuts to deal with a fiscal crisis that exists only in their minds, while failing to address a current crisis of inadequate demand that falls into their statistical blind spot.

 

But it’s not just British policy that gets messed up. In America, monetary hawks like James Bullard look at stable inflation and conclude that the Fed is doing fine, failing to appreciate the likely possibility that we have depression-type stability with a massive output gap.

And the preponderance of evidence is that we do indeed have massive output gaps, on both sides of the pond. It’s a huge failure of both intellect and will that we allow these gaps to persist.

 

5 ottobre 2012Salari, prezzi, depression, deficit (per esperti) Ho fatto riferimento all’articolo su Capital Economics secondo il quale gli operatori politici in Inghilterra stanno grandemente esagerando il gap di produzione, la quantità dell’eccesso di produttività nell’economia, che sta portando a scelte che vanno seriamente nel verso sbagliato. In questo modo si solleva un intero armamentario di questioni connesse, che sono pertinenti anche alla situazione americana. Ecco dunque una trattazione un po’ lunghina e ‘tecnica’.

Dunque: il punto di partenza in questo caso è la stima ufficiale dell’ Office of Budget Responsability secondo il quale l’Inghilterra in questo momento ha un deficit di produzione di meno del 3 per cento. Questo è un giudizio rilevante, quando si tenga a mente che il PIL reale è ben al di sotto del suo livello pre-crisi, e che eravamo abituati a pensare che il tasso di crescita di lungo periodo dell’Inghilterra fosse attorno al 2,5 per cento. Come dicono quelli di Capital Economics, una semplice proiezione della tendenza indicherebbe una caduta del 14 per cento; come è successo che essa è diventata inferiore al 3 per cento?

In parte la risposta sta nella considerazione che l’economia inglese stava operando ben al di sopra dei livelli sostenibili nel 2007, pur non essendoci nessuno dei segni consueti di surriscaldamento. Oltre a ciò, tuttavia, c’è la affermazione per la quale la crisi finanziaria in qualche modo ha ridotto il prodotto potenziale di una considerevole quantità. (Ma) come dice  Capital Economics, questo non è un racconto plausibile su come potrebbe essere accaduto.  

Eppure, dicono i sostenitori del piccolo gap, se l’Inghilterra fosse profondamente depressa rispetto al suo potenziale, dovremmo essere in presenza di una deflazione, mentre effettivamente c’è inflazione. Si tratta di un argomento decisivo?

Ebbene, il grande incremento dell’inflazione britannica negli ultimissimi anni riflette fattori eccezionali: gli incrementi dell’IVA, delle materie prime e dei prezzi delle importazioni. L’inflazione generata all’interno è bassa, e l’inflazione sostanziale [35] è addirittura in declino.

Ma quella non è deflazione; non dovremmo vedere deflazione in questo momento? In effetti, le normali curve di Phillips [36]sui libri di testo dicono proprio che se si è al di sotto del tasso naturale di produzione, si dovrebbe avere una caduta dell’inflazione che alla fine si trasforma in una deflazione crescente.

Tuttavia vi sono buone ragioni per credere che queste normali curve di Phillips vengano meno con la bassa inflazione, perché i tagli ai salari nominali sono sempre e dappertutto assai difficili da chiedere od accettare.

Una osservazione collegata: mi sono sempre sorpreso dei dati che spesso si vedono sui salari medi statunitensi negli anni ’30, che mostrano un brusco declino nella prima parte della Depressione. E’ stata esagerata la rigidità dei salari? La mia opinione è che spesso quei dati potrebbero essere fuorvianti, perché i guadagni medi potrebbero essere caduti a seguito della grande riduzione del lavoro straordinario, piuttosto che attraverso grandi tagli ai salari di base. Ora si scopre che c’è uno studio di molto tempo fa del NBER [37] proprio su quella questione: è abbastanza certo che la caduta dei salari di base sia stata molto inferiore della caduta dei guadagni medi (i sostenitori della svalutazione interna ci prestino attenzione: persino nella Grande Depressione i salari negli Stati Uniti diminuirono soltanto del 7 per cento, prima di salire nuovamente):

z 16

E, tra parentesi, il fatto che i salari non diminuirono maggiormente fu una buona cosa, non una cosa cattiva.

Tornando all’argomento principale: come dice il rapporto di Capital Economics, se si ha l’opinione infondata secondo la quale un eccesso di capacità produttiva conduce ad una deflazione accelerata, anche troppo facilmente si arriva a credere che una economia profondamente depressa deve essere la “nuova norma” alla quale ci si deve adattare:

“Se la Curva di Phillips è orizzontale sulle ampie serie di relazioni tra inflazione/disoccupazione/capacità produttiva residua, ma gli operatori politici credono che un tasso di inflazione stabile significhi che l’economia sta operando al suo potenziale, questo fa crescere il rischio che essi permettano all’economia  di operare al di sotto del suo potenziale. Dopo tutto, il segnale convenzionale che la situazione sia questa – l’inflazione calante – non si accenderà”.

 

In Inghilterra, questo si traduce sia nel compiacersi nel breve periodo di una politica monetaria e della finanza pubblica, sia in un eccessivo allarme sul quadro della finanza pubblica nel lungo periodo. Se preferite, Cameron/Osborne stanno imponendo aspri tagli per fronteggiare una crisi della finanza pubblica [38], nel mentre non riescono ad affrontare una crisi effettiva di domanda inadeguata che casca nei punti morti delle loro statistiche.

Ma non è solo la politica britannica che va fuori strada. In America, i falchi monetari come James Bullard osservano una inflazione stabile e concludono che la Fed sta facendo bene, senza cogliere la probabile possibilità che si sia dentro una stabilità di tipo depressivo con un massiccio deficit di produzione.

E la prova prevalente è che invece siamo in presenza di massicci deficit di produzione, su entrambe le sponde dell’Oceano. Il fatto che si permetta a questi deficit di persistere costituisce una considerevole fallimento sia dell’intelligenza che della volontà.

 

 

 

 

 

 

 

October 5, 2012, 12:24 pm

Democrat Derangement Syndrome

Well, anyway, they — Republicans, I mean — can’t handle the truth.

Today’s full-scale freakout over a decent jobs report is a sight to behold. Spare me the false equivalence: yes, you occasionally find people on the left claiming that the numbers have been faked or the truth hidden, but not leading figures in the media and major-league plutocrats. (Next time people try to portray Jack Welch as an icon of success, a man we should listen to, remember this moment)

What you need to realize is this isn’t unique to Obama. As Atrios often points out, anyone who really remembers the Clinton era also remembers that this went on all the time: Bill’s a drug smuggler, Hillary murdered Vince Foster, etc.. And then as now, it wasn’t just fringe figures doing this sort of thing; it was the WSJ editorial page, Rush Limbaugh, Congressmen in good standing within the GOP.

For the record, it’s ridiculous to imagine that the Obama administration could arrange (on short notice, no less) to cook the jobs numbers. The sheer logistics would be impossible, plus these are civil servants who have to live under both parties.

I guess there’s a bit of continuity here with the inflation truthers, a group that similarly includes people who unaccountably continue to be treated as respectable.

The thing is, although such antics are funny in a way, they’re also menacing. By attacking anyone who presents awkward facts, the right exerts an intimidating effect. It won’t get the BLS to retract today’s jobs report, but it might bully news organizations into avoiding objective economic analysis, and maybe even into blurring their reporting right now.

So this is crazy and stupid; but it’s also scary.

 

5 ottobre 2012La sindrome  del disordine democratico 

Ebbene, in ogni caso, loro – i Repubblicani, intendo – non sanno affrontare la realtà.

 

La completa crisi di nervi odierna conseguente ad un decente rapporto sui posti di lavoro è roba da non credere [39]. Risparmiatemi la falsa equazione: è vero, occasionalmente si trovano persone a sinistra che sostengono che i dati sono stati falsati e al verità nascosta, ma non figure di dirigenti sui media o plutocrati di prima categoria (la prossima volta che la gente cercherà di presentare Jack Welch come un’icona del successo, come un uomo a cui dare ascolto, ricordatevi di questo passaggio [40]).

Quello che si deve capire è che questa situazione non è un caso unico a carico di Obama. Come Atrios [41] spesso mette in evidenza, chiunque ricordi l’epoca di Clinton, ricorderà pure che questo continuò per tutto il tempo: un caso di traffico di droga di Bill, Hillary che aveva assassinato Vince Foster [42] etc. Ed allora come ora non erano figure marginali che facevano cose del genere: era la pagina degli editoriali del Wall Street Journal, Rush Limbaugh, congressisti di chiara fama all’interno del Partito Repubblicano.

Per la cronaca, è ridicolo immaginare che la Amministrazione Obama potrebbe organizzare(per di più con scarso preavviso) la manipolazione dei dati sui posti di lavoro. La pura e semplice logistica sarebbe impossibile, in più questi sono funzionari pubblici che devono vivere sotto entrambi i partiti.

 

Suppongo che in questo caso ci sia un po’ di continuità con i cosiddetti scettici dell’inflazione, un gruppo che in modo simile raccoglie persone che inspiegabilmente continuano ad essere trattate come rispettabili.

Il punto è che, sebbene queste pagliacciate siano in qualche modo comiche, essi stanno anche minacciando. Attaccando chiunque presenti fatti sgradevoli, la destra ottiene un effetto intimidatorio. Non si otterrà che il Bureau of Labor Statistics ritratti il suo rapporto odierno, ma si potrebbe intimorire altre organizzazioni  costringendole ad evitare analisi economiche oggettive, e persino ad offuscare i loro resoconti d’ora innanzi.

Dunque queste è stupido e pazzesco, ma è anche allarmante.

 

 

 

October 6, 2012, 1:29 am

Constant-demography Employment (Wonkish But Relevant)

 

These days everyone knows that the unemployment rate is a problematic measure, because it can fall not because more people are working but simply because fewer people are looking for work. (This isn’t what happened in September, but it has been an issue in the recent past). An alternative is therefore to count employment rather than unemployment; one simple measure is the employment-population ratio, which suggests no improvement for years:

 

But this measure too has problems; it’s the fraction of people 16 and over at work, which means that the denominator includes a rapidly growing number of seniors, who presumably don’t want to keep working. How can we correct for this demographic bias?

One answer, which I’ve used before, is to focus on prime-age adults, between 25 and 54; Calculated Risk did this yesterday, and pointed out that there has been some real improvement over the past year. This is a good quick-and-dirty approach. But it can lead to (false) accusations of cherry-picking, and it also throws out information.

So here’s an arguably better measure: constant-demography employment, which shows what would have happened to the employment-population ratio if the age structure of the population had stayed constant.

For my calculation, I’ve divided the population into three age groups, 16-24, 25-54, and 55 plus, for which employment-population ratios are available in the BLS databases. I’ve then taken a weighted average of these ratios, where the weights are the 2007 shares of each group in the civilian noninstitutional population. And here’s what you get:

 

Aha. So there is real if modest improvement over the past year. Also, the September numbers looks not like an aberration but like a return to trend from what looks like noise in the data over the previous couple of months.

This story is, by the way, broadly consistent with the payroll data, from a different survey, which also suggest employment growing somewhat faster than population.

So contra Romney, this is a real recovery. Modest, but real. Unless, of course, you believe that there’s a conspiracy of socialist statisticians

 

6 ottobre 2012Occupazione a demografia costante (per “sgobboni” [43] ma rilevante)  

In questi giorni tutti sanno che il tasso di disoccupazione è una misura assai problematica, giacché esso può diminuire non perché un numero maggiore di persone sia al lavoro, ma semplicemente perché un numero minore lo sta cercando (questo non è quello che è accaduto in settembre, ma è stato un tema del recente passato). Pertanto, una alternativa è misurare l’occupazione anziché la disoccupazione; una misura semplice è il rapporto occupazione-popolazione, che non mostra alcun miglioramento da anni:

 

 

 

Ma anche questa misura ha dei problemi: essa riguarda la quota di popolazione di sedici anni e più al lavoro, il che significa che il denominatore include un numero rapidamente crescente di anziani, che presumibilmente non vogliono continuare a lavorare. Come si può correggere questa deformazione demografica?

Una risposta, che ho utilizzato in precedenza, e quella di concentrarci sugli adulti in “primaria” [44] età lavorativa, tra i 25 ed i 54 anni; Calculated Risk [45]lo ha fatto ieri, ed ha messo in evidenza che c’è stato qualche reale miglioramento nel corso dell’ultimo anno. Questo è un buon approccio, un po’ sbrigativo. Ma esso può condurre alla accusa (non vera) di manipolazione dei dati, e anch’esso sciupa l’informazione.

 

Ecco dunque una misurazione probabilmente migliore: l’occupazione a demografia costante, la quale mostra cosa sarebbe successo al rapporto occupazione-popolazione  se la struttura dell’età della popolazione fosse rimasta costante.

 

Per il mio calcolo, ho diviso la popolazione in tre gruppi – 16/24, 25/54 ed oltre i 55 anni – per i quali i rapporti occupazione/popolazione sono disponibili presso i database del Bureau of Labor Statistics, Ho poi fatto una media ponderata di questi rapporti, dove i pesi sono le porzioni che nel 2007 ciascun gruppo aveva della popolazione civile non istituzionalizzata [46]. Ed ecco quello che si ottiene:

 

 

 

Ah. C’è così un modesto ma reale miglioramento nel corso dell’ultimo anno. Inoltre, i dati di settembre non sembrano un’aberrazione ma un ritorno ad una tendenza dalla quale l’ultimo paio di mesi sembra essere stato un fenomeno secondario.

 

Questa storia, per inciso, è in generale coerente con i dati sui libri paga di un diverso sondaggio, il quale anche suggerisce un crescita dell’occupazione in qualche modo più rapida di quella della popolazione.

 

Dunque, diversamente da quello che sostiene Romney, questa è una ripresa reale. Modesta ma reale. A meno che, ovviamente,   non crediate ci sia una cospirazione di statistici socialisti ….

 

 

 

 

October 7, 2012, 11:21 am

The Payroll Data

Another quick note, this time on what the payroll data say. Again, you want to focus on somewhat longer-term trends, not monthly numbers. Over the past year the employer survey says that we’ve added 1.8 million jobs, or 150,000 a month:

 

And this number is likely to be revised up.

This is substantially more than the number of jobs we need to keep up with population growth, which is currently something like 90,000 a month. (The number used to be higher, but baby boomers are getting old — the same thing that affects the household survey.)

So the two survey are saying the same thing: job growth fast enough to make gradual progress on the employment front. Not fast enough; it will take years to restore full employment, and we should, um, end this depression now. But the progress is real.

 

7 ottobre 2012I dati dei libri paga 

Un’altra rapida nota, questa volta su quello che dicono i dati sui libri paga. Ancora, se si vuole concentrarsi su qualcosa si simile al più lungo termine, lasciamo da parte i dati mensili. Nel corso dell’anno passato l’indagine sugli imprenditori dice che i posti di lavoro sono aumentati di 1 milione e 800 mila; ovvero di 150.000 al mese:

 

 

Ed è probabile che questo numero venga rivisto verso l’alto.

Questo è sostanzialmente di più del numero di posti di lavoro di cui abbiamo bisogno per tenere il passo con la popolazione, il quale attualmente è circa 90.000 al mese (il numero di solito era superiore, ma i baby boomers stanno invecchiando – la stessa circostanza che influenza l’indagine sulle famiglie).

 

Dunque, le due indagini ci dicono la stessa cosa: i posti di lavoro crescono a sufficienza da costituire un progresso graduale sul fronte dell’occupazione. Non sufficientemente rapidi; ci vorranno anni per ripristinare una condizione di piena occupazione, e dovremmo, in effetti, interrompere questa depressione adesso [47]. Ma il progresso è reale.

 

 

 

 

 

October 8, 2012, 9:14 am

Fact-checking Financial Recessions

That’s the title of a new piece by Taylor (the good one) and Schularick; it basically confirms Ken Rogoff’s dictum that we’re suffering from a “garden-variety severe financial crisis”. Here’s the picture:

 

This should not be taken as a reason to believe that we couldn’t and shouldn’t be doing better; experience in this crisis has been overwhelmingly supportive of a Keynesian view in which the problem is inadequate demand, and in which fiscal policy (with an assist from unconventional monetary policy) could have greatly ameliorated the pain. But there’s nothing to suggest that the policies of the Obama administration have made it worse; on the contrary, they’ve almost surely made it less bad than it might have been.

And of course I had all this information in hand when Mary Matalin tried to tell me, out of her deep knowledge of economic history, that this is the worst ever.

 

8 ottobre 2012Le recessioni finanziarie alla prova dei fatti 

E’ questo il titolo dell’ultimo saggio di Taylor (quello buono) e Schularick [48]; esso fondamentalmente conferma il detto di Ken Rogoff secondo il quale stiamo soffrendo una “grave crisi finanziaria insignificante”. Questo è il diagramma [49]:

 

 

 

Questa non dovrebbe essere considerata come una ragione per credere che non si dovrebbe far meglio; l’esperienza di questa crisi è stata assolutamente di supporto al punto di vista keynesiano, secondo il quale il problema è una inadeguata domanda, e nel quale una politica della finanza pubblica (con il sostegno di politica monetaria non convenzionale) potrebbe aver migliorato grandemente le sofferenze. Ma non c’è niente che suggerisce che le politiche della Amministrazione Obama abbiano reso la crisi peggiori; al contrario esse l’hanno resa quasi sicuramente meno cattiva di quanto avrebbe potuto essere.

E naturalmente avevo tutte queste informazioni in mano quando Mary Matalin [50], dalla sua profonda conoscenza della storia dell’economia, mi ha detto che questa crisi era la peggiore che ci fosse mai stata.

 

 

 

 

 

October 9, 2012, 7:27 am

A Tragic Vindication

I’m sorry to say that I’m on the road again, this time at the World Knowledge Forum in Seoul. Here’s a preview of my presentation:

Or, maybe not. Anyway, blogging may be limited. But I did want to weigh in on the just-released first chapter of the new IMF World Economic Outlook (pdf), which contains among things a meditation on multipliers. Basically, the Fund looks at the severity of the downturns in countries practicing severe fiscal austerity and says, gee, maybe fiscal policy has a big impact after all.

 

OK, I’m being a bit unfair. Olivier Blanchard, the chief economist of the Fund, who co-wrote the relevant box, has always been of the view that fiscal policy has serious impacts. But there was a widespread determination in the immediate aftermath of the financial crisis to dismiss the notion that in a liquidity trap there are large impact of fiscal policy, positive or negative. Those of us who argued that we were now in a very Keynesian world were definitely marginalized in practical policy debates.

But we were right — a fact demonstrated not so much by stimulus as by anti-stimulus, which has had all the negative effects traditional Keynesian macro said it would.

Unfortunately, a large part of the political spectrum remains determined not to learn that lesson.

 

9 ottobre 2012Una tragica ammissione 

Mi dispiace ma sono di nuovo in giro, questa volta per il World Knowledge Forum a Seul. E qua c’è una anteprima della mio discorso di presentazione.

 

Beh, forse no [51]. In ogni modo, la mia attività sul blog può essere limitata. Ma volevo intervenire sull’appena pubblicato primo capitolo del nuovo World Economic Outlook del FMI (disponibile in pdf), che contiene tra varie cose un riflessione sui moltiplicatori [52]. Fondamentalmente, il Fondo osserva la gravità delle flessioni in quei paesi che praticano severe politiche di austerità nelle finanze pubbliche o afferma che, accidenti!, forse la politica della spesa pubblica ha un grande impatto, dopo tutto.

E’ vero, sono un po’ ingiusto. Olivier Blanchard, il capo degli economisti del Fondo,  che ha partecipato alla redazione di quell’importante campione, è sempre stato dell’opinione che la politica della finanza pubblica ha impatti rilevanti. Ma c’era un volontà generale, immediatamente all’indomani della crisi finanziaria, a liquidare l’idea che in una trappola di liquidità ci sono ampi impatti delle politiche della spesa pubblica, positivi o negativi. Quelli tra di noi che in quel momento sostennero che eravamo davvero in un mondo keynesiano vennero definitivamente posti ai margini nei dibattiti di politica pratica.

 

Eppure avevamo ragione – un fatto dimostrato non tanto dalle politiche di sostegno, quanto da quelle opposte di anti-stimolo, che hanno avuto tutti i tradizionali effetti negativi che la macroeconomia keynesiana diceva avrebbero avuto.

Sfortunatamente, una larga parte dello spettro della politica resta determinata a non imparare da quella lezione.

 

 

 

 

 

 

 

 

October 9, 2012, 5:09 pm

Deleveraging Shocks and the Multiplier (Sort of Wonkish)

Jonathan Portes — who will be my teammate in a debate on fiscal policy in London next week — weighs in on the IMF’s multiplier mea culpa. He confirms that policy makers in many places were working with the assumption of a multiplier on fiscal contraction much less than 1, whereas experience now suggests that it’s actually more than 1.

What I thought might be worth pointing out is that the logic for a biggish multiplier and the logic of the crisis itself are very closely linked: times like these, the aftermath of a credit bubble, are precisely when you expect fiscal multipliers to be large. And that in turn says, once again, that fatalism — or worse yet, demands for fiscal retrenchment — in the aftermath of such a bubble are deeply destructive.

 

So, the simple but surely broadly correct story of the mess we’re in is that we had a period of excessive complacency about leverage, which came to a sudden end. Household debt in particular surged, then was suddenly perceived as excessive:

 

The crucial thing from a macroeconomic point of view is that leveraging and deleveraging are not symmetric in their effects. Leveraging up, other things equal, leads to high aggregate demand — but this can be and is in practice offset by the central bank, which can always raise rates. Deleveraging, on the other hand, can’t be offset equally easily; the central bank can cut rates, but only to zero, and unconventional monetary policy is both controversial and an iffy proposition (which doesn’t mean that it shouldn’t be tried).

 

So a large leveraging/deleveraging cycle is likely to be followed by a persistent shortfall in aggregate demand that can’t be cured using ordinary monetary policy; what I consider depression economics.

Now, the same thing that makes deleveraging so hard to handle also makes the fiscal multiplier larger than it is in normal times. Normally, expansionary fiscal policy is offset by monetary tightening, contractionary policy by monetary loosening. Hence the lowish multiplier estimates based on recent history. But if deleveraging has pushed you into a liquidity trap, there are no offsets.

So how big would you expect the multiplier to be under these conditions? Bigger than one.

 

Start by provisionally assuming a frictionless world in which consumers have perfect foresight and perfect access to capital markets. In that case the multiplier should be exactly 1, with consumer demand neither rising nor falling in the face of a change in government purchases (so that the change in purchases translates one-for-one into a change in GDP). Why? Well, a rise in government spending does mean higher expected future taxes — but it also means higher incomes right now, and those two effects should exactly cancel each other.

 

Now add in realistic frictions, notably households that are liquidity-constrained and/or use rules of thumb based on current income to make spending decisions. (By the way, as Gauti Eggertsson and I have pointed out, once you’re using a debt/deleveraging model you are already in effect assuming that many households face liquidity constraints). These frictions will mean that a rise or fall in current income due to fiscal policy will lead to at least some movement of consumption in the same direction. So we get a multiplier bigger than 1.

 

But, you say, confidence! OK, if people believe that a movement in government spending now presages even bigger moves in the future, you could reverse this conclusion. But there is no reason at all to believe this when it comes to fiscal stimulus, which has proved completely temporary; and it’s a highly dubious proposition for austerity imposed in response to a fiscal panic, too.

 

So there really was no good reason to be surprised by large fiscal multipliers. They were a predictable consequence of the kind of crisis we’re in; and the unjustified assumption of small multipliers has helped make the crisis worse.

 

 

 

 

9 ottobre 2012Gli shocks da riduzione dei rapporti di indebitamento ed il moltiplicatore [53](per esperti)Jonathan Portes – che sarà mio partner in un dibattito sulla politica della finanza pubblica a Londra la settimana prossima – interviene a proposito del ‘mea culpa’ del FMI sul moltiplicatore [54]. Egli conferma che gli operatori politici in molti luoghi stavano lavorando sull’assunto di un moltiplicatore sulla contrazione della finanza pubblica assai inferiore ad 1, mentre l’esperienza oggi ci indica che esso è effettivamente superiore ad uno.

Quello che ho pensato meriterebbe di essere messo in evidenza è che la logica per un moltiplicatore un po’ più grande e la logica della crisi stessa sono strettamente connesse: tempi come questi, all’indomani di una bolla da credito, sono precisamente quelli nei quali ci si aspetta che i moltiplicatori della finanza pubblica siano ampi. E questo a sua volta ci dice che il fatalismo – o peggio ancora la richiesta di restrizioni della finanza pubblica – all’indomani di tale bolla sono profondamente distruttive.

 

Dunque, il semplice ma in generale sicuramente corretto racconto del disastro in cui siamo è che abbiamo avuto un periodo di eccessivo compiacimento  nell’aumento dell’indebitamento [55], che è giunto ad una improvvisa interruzione. Il debito delle famiglie, in particolare, era salito in alto, e successivamente è stato all’improvviso percepito come eccessivo:

 

 

La cosa cruciale da un punto di vista macroeconomico è che l’aumento dell’indebitamente e la riduzione dell’indebitamento non sono simmetrici nei loro effetti. Aumentare il rapporto di indebitamento, ferme le altre circostanze, conduce ad un’alta domanda aggregata – ma questo può essere bilanciato, e in pratica lo è, dalla banca centrale, che può sempre innalzare i tassi. Di contro, ridurre il rapporto di indebitamento non può essere bilanciato in egual modo con facilità; la banca centrale può tagliare i tassi, ma solo fino a zero, e una politica monetaria non convenzionale, oltre ad essere controversa, è una faccenda che presenta molte incertezze (il che non significa che non dovrebbe essere tentata).

Dunque un vasto ciclo economico di indebitamento/riduzione del rapporto di indebitamento è probabile che sia seguito da una prolungata caduta nella domanda aggregata che non può essere curata con l’utilizzo di una normale politica monetaria; che è quello che io considero un’economia della depressione.

Ora, la stessa circostanza che rende la riduzione dell’indebitamento così difficile da gestire, rende anche il moltiplicatore della spesa pubblica [56] più ampio di quanto non sia in tempi normali.  Normalmente, una politica della finanza pubblica espansiva è bilanciata da una restrizione monetaria, una politica restrittiva da un allentamento monetario. Di qua le stime del moltiplicatore un po’ bassine che si basano sulla storia recente. Ma se la riduzione dell’indebitamento vi ha spinto in una trappola di liquidità, non ci sono bilanciamenti.

Dunque, quanto ci si dovrebbe aspettare che sia grande il moltiplicatore sotto queste condizioni? (Ci si deve aspettare che sia) maggiore di uno [57].

 

Si parta con l’assumere provvisoriamente un mondo senza attriti, nel quale i consumatori abbiano una previsione perfetta ed un accesso perfetto al mercato dei capitali. In quel caso il moltiplicatore dovrebbe essere esattamente 1, con una domanda di consumi che non sale né scende a fronte di un mutamento negli acquisti da parte delle pubbliche amministrazioni (cosicché il mutamento degli acquisti si trasferisce ‘uno-ad-uno’ nel mutamento del PIL). Perché? Ebbene, un aumento nella spesa pubblica significa certamente una aspettativa di maggiori tasse future – ma significa anche un più alto reddito in questo momento, e questi due effetti dovrebbero precisamente annullarsi l’uno con l’altro.

Ora si aggiungano alcune frizioni realistiche, specialmente le famiglie che hanno limiti di liquidità e/o per le regole d’uso approssimative che si basano sul reddito attuale per prendere decisioni di spesa (tra parentesi, come Gauti Eggertsson ed io abbiamo sottolineato, una volta che si stia usando un modello basato sul debito e sulla riduzione del rapporto di indebitamento si sta già in effetti ipotizzando che molte famiglie stiano facendo i conti con limiti di liquidità).  Queste frizioni significheranno che una crescita o una riduzione del reddito attuale dovuta alla politica finanziaria pubblica porterà come minimo a qualche movimento di consumo nella stessa direzione. Ed è così che abbiamo un moltiplicatore superiore ad 1.

Ma, come si sa, c’è la questione della fiducia! E’ vero, se le persone ritengono che un movimento nella spesa pubblica oggi comporti movimenti più grandi nel futuro,  dovreste invertire questa conclusione. Ma non c’è affatto ragione per credere questo, quando si perviene a politiche di sostegno con la spesa pubblica che si sono dimostrate assolutamente temporanee. Inoltre esso è un concetto assai dubbio anche per una austerità che venga imposta come risposta ad una sorta di panico delle finanze pubbliche.

 

Dunque, non c’è realmente alcuna buona ragione per essere sorpresi da rilevanti moltiplicatori della spesa pubblica. Essi erano una conseguenza prevedibile della crisi nella quale siamo; e l’assunto ingiustificato di modesti moltiplicatori ha contribuito a rendere la crisi peggiore.

 

 

Considerato il notevole interesse del rapporto recente del FMI – al quale Krugman fa riferimento nel post precedente – pubblichiamo sullo stesso tema un contributo anche più circostanziato di Jonathan Portes. Jonathan Portes è un economista britannico, ricercatore presso il NIESR e già consulente economico del Governo laburista di Brown.


 

 

 

 

Tuesday, 9 October 2012

What explains poor growth in the UK? The IMF thinks it’s fiscal policy

By Jonathan Portes

 

 

 

For the UK, and indeed other advanced economies, the most important point in today’s IMF World Economic Outlook is not that it further explodes the myth – repeated again yesterday by the Chancellor – that low interest rates reflect policy “credibility” rather than economic weakness, or that it again emphasises that the UK and others could and should loosen fiscal policy in the face of that weakness. The IMF said all this about the UK back in July, as I explained then. Rather, it is that the Fund has radically revised its opinion about just how damaging the impacts of premature fiscal consolidation have been in the UK and elsewhere.

Back in July, the Fund said that fiscal consolidation had knocked about 2.5% off UK economic growth. This estimate was based on an assumption that the “fiscal multiplier” – the reduction in GDP growth resulting from a reduction in the government’s structural budget deficit – was about 0.5. This estimate was quite similar to that coming out of macroeconomic models like ours at NIESR. It was somewhat larger than the impact estimated by the Office of Budget Responsibility. But it was much smaller that the impacts that many of the most credible macroeconomists – Brad Delong and Paul Krugman in the United States, Martin Wolf and Simon Wren-Lewis here – thought likely. [See Krugman here, for example]. It was also significantly smaller than Dawn Holland here at NIESR and colleagues at LSE suggest in the analysis here.

Now, in a commendable display of self-criticism, the Fund has gone back and reanalysed the forecasts that it made (as well as those made by the OECD and EU). Its conclusion:

“In line with these assumptions, earlier analysis by the IMF staff suggests that, on average, fiscal multipliers were near 0.5 in advanced economies during the three decades leading up to 2009. If the multipliers underlying the growth forecasts were about 0.5, as this informal evidence suggests, our results indicate that multipliers have actually been in the 0.9 to 1.7 range since the Great Recession. This finding is consistent with research suggesting that in today’s environment of substantial economic slack, monetary policy constrained by the zero lower bound, and synchronized fiscal adjustment across numerous economies, multipliers may be well above 1″

 

That is, the Fund is saying: “Delong et. al. were right; we were wrong”. They even have a helpful chart, showing that the bigger the fiscal consolidation, the worse growth has been relative to IMF forecasts – implying that the Fund was drastically underestimating the negative impact of fiscal consolidation.

Why does this matter? Everyone agrees growth since 2010 in the UK has been very disappointing. But there has been much debate about why – was it cutting the deficit too quickly, was it the spike in inflation resulting from commodity price rises, was it the impact on confidence from the eurozone? Here at NIESR, we have taken the view that it was a combination of all of these – fiscal policy mistakes made a large contribution, but the other factors mattered too. However, others – notably the OBR, as well as Chris Giles in the FT – have argued that fiscal policy didn’t explain much of the weakness in growth. The IMF have now definitively sided with those who think that tightening fiscal policy quickly and sharply had a very large and negative impact.

Once again, the Fund deserve praise for going back, looking at their forecasts, analysing what went wrong, and saying very clearly “We thought the impact of fiscal consolidation on growth would be relatively small. We got it wrong. ” Will our government, and those of the eurozone, do the same?

 

Martedì 9 ottobre 2012Come si spiega la crescita modesta dell’Inghilterra? Il FMI pensa che dipenda dalla politica della finanza pubblica 

 

 

 

 

 

 

Per l’Inghilterra, e in effetti per altre economie avanzate, l’aspetto più importante del World Economic Outlook del FMI non è che esso mandi ulteriormente in frantumi il mito – ancora ieri ribadito dal Cancelliere – secondo il quale i bassi tassi di interesse riflettono la “credibilità” della politica piuttosto che la debolezza dell’economia, o che esso sottolinei che l’Inghilterra e gli altri potrebbero e dovrebbero allentare la politica della finanza pubblica di fronte a quella debolezza. Il FMI aveva detto tutto questo a proposito dell’Inghilterra nel luglio passato, come spiegai a suo tempo. Piuttosto, esso consiste nel fatto che il Fondo ha radicalmente rivisto la sua opinione  a proposito di quanto siano stati dannosi gli impatti di un prematuro consolidamento delle finanze pubbliche, in Inghilterra come altrove.

 

Nel luglio scorso, il Fondo affermò che il consolidamento delle finanze pubbliche aveva smontato circa il 2,5 della crescita economica inglese. Questa stima era basata sull’assunto che il “moltiplicatore fiscale” – la riduzione del PIL conseguente alla riduzione del deficit strutturale del bilancio dello Stato – era di circa lo 0,5 per cento. Questa stima era abbastanza simile a quella che veniva fuori da modelli macroeconomici quali i nostri al NIESR [58].  Essa era un po’ maggiore dell’impatto stimato dall’ Office of Budget Responsability. Ma era molto più piccola degli impatti che i più credibili macroeconomisti – Brad DeLong e Paul Krugman negli Stati Uniti, Martin Wolf e Simon Wren-Lewis qua, ritenevano probabile (si veda, ad esempio, questa connessione con Paul Krugman). Era anche significativamente più piccola di quanto Dawn Holland presso il NIESR ed altri colleghi della London School od Economics indicavano nella analisi in questo link.

 

 

 

 

Ora, con una encomiabile prova di autocritica, il Fondo è tornato indietro ed ha rianalizzato le previsioni che aveva fatto (così come quelle che avevano fatto la OCSE e l’UE). Le sue conclusioni:

 

 

 

“In linea con questi assunti, la precedente analisi dello staff del FMI suggerisce che, in media, i moltiplicatori fiscali per le economie avanzate fossero vicini allo 0,5 nei tre decenni precedenti il 2009. Se il moltiplicatori impliciti nelle previsioni di crescita erano attorno allo 0,5, come questa prova informale suggerisce, i nostri risultati indicano che i moltiplicatori sono effettivamente stati dall’avvio della Grande Recessione nel range tra lo 0,9 e l’1,7. Questa scoperta è coerente con la ricerca secondo la quale nel contesto odierno di una sostanziale stagnazione economica, di una politica monetaria costretta dal limite inferiore di zero [59] e di correzioni fiscali sincronizzate in molte economie, i moltiplicatori potrebbero  ben essere superiori all’unità”.

 

 

 

Ovvero, il Fondo sta dicendo: “DeLong e gli altri avevano ragione, noi avevamo torto”. Essi mostrano persino un utile diagramma, che mostra come più grande è stato il consolidamento delle finanze pubbliche, peggiore è stata la crescita in relazione alle previsioni del FMI – il che implica che il Fondo stesse drasticamente sottostimando l’impatto negativo del consolidamento delle finanze pubbliche.

 

 

Perché questo è importante? Sono tutti d’accordo che la crescita in Inghilterra dopo il 2010 sia stata assai deludente. Ma c’è stata molto dibattito sui motivi – è stato il taglio del deficit troppo rapido, è stato il picco di inflazione derivante dalla crescita del prezzo delle materie prime, è stato l’impatto sulla fiducia della situazione nella zona euro? Qua al NIESR la nostra opinione è stata che si trattasse di una combinazione di tutti questi fattori – gli errori di politica finanziaria hanno dato un grande contributo, ma avevano avuto il loro peso anche gli altri fattori. Tuttavia altri, oltre il caso di Chris Giles sul Financial Times – hanno sostenuto che la politica finanziaria pubblica non era una grande spiegazione della debolezza dell’economia. Il FMI ora si schiera con coloro i quali pensavano che la politica di una rapida e severa restrizione finanziaria abbia avuto un impatto vasto e negativo.

 

Ancora una volta il Fondo merita un elogio per essere tornato sui suoi passi, osservando le sue previsioni, analizzando cosa non aveva funzionato e dicendo molto chiaramente “Avevamo pensato che l’impatto del consolidamento delle finanze pubbliche sarebbe stato relativamente modesto. Ora comprendiamo di aver sbagliato”. Faranno lo stesso il nostro Governo e gli altri Governi dell’eurozona?

 

 

 

 

October 11, 2012, 4:45 am

The IMF and the GOP

Econowonks are still buzzing about the new IMF World Economic Outlook, which offered grim warnings about the world economy, and also argued forcefully if discreetly that a big reason for the worsening outlook is that policy makers have gotten the basic economics wrong.

 

Of particular interest is the discussion in Chapter 1 (pdf) on fiscal multipliers. I and others have been arguing for a while that the experience of austerity in the eurozone clearly suggests pretty big Keynesian effects. Here, for example, is what a scatterplot of fiscal consolidation (from the IMF Fiscal Monitor) and growth (including an estimate for next year, from the World Economic Outlook) looks like:

 

But, you might object, maybe the causation runs the other way; maybe countries in trouble are forced into fiscal consolidation, so it’s not the austerity what did it. But the IMF has an answer to that: it looks at forecast errors versus austerity. Part of the reason for doing this is to figure out why things are going so much worse than expected; but there’s also the fact that the forecasts already included the known problems of the economies in question, so that you’re more or less getting an estimate of the impact of austerity over and above the known problems (and the initially assumed effect of austerity, which was supposed to be small). It looks like this:

 

As it says, this indicates that the contractionary effects of fiscal consolidation are substantially bigger than policy makers were assuming.

So one thing I haven’t seen pointed out is that this directly contradicts current GOP doctrine. To the extent that the GOP has a theory of recession-fighting, other than the view that the animal spirits of job creators will soar once that evil Obama is gone, it was embodied in the Joint Economic Committee manifesto Spend Less, Owe Less, Grow the Economy (pdf), which declared that

In the short term, fiscal consolidation programs that rely predominately or entirely on spending reductions have expansionary “non-Keynesian” effects that may offset the contractionary Keynesian reduction in aggregate demand.

In some cases, “non-Keynesian” effects may be strong enough to make fiscal consolidation programs expansionary in the short term.

Tell that to the Greeks.

The reality is that everything that has happened economically since the turn away from stimulus to austerity, from interest rates to inflation to output, has refuted the doctrine the GOP is pushing. Since there has of course been no concession of error, this does not bode well for the US economy if Romney wins.

 

11 ottobre 2012Il FMI e il Partito Repubblicano 

Gli esperti di economia stanno ancora ronzando attorno al World Economic Outlook del FMI, che ha avanzato spiacevoli avvertimenti sull’economia mondiale, ed ha anche sostenuto, con forza ancorché con discrezione, che un grande motivo del peggioramento delle prospettive sia costituito dal fatto che gli operatori politici hanno sbagliato nei giudizi economici di fondo.

 

Di particolare interesse è il dibattito sul Capitolo I (disponibile in pdf) sui moltiplicatori della finanza pubblica. Io ed altri venivamo sostenendo da un bel po’ che l’esperienza dell’austerità nell’eurozona indicasse chiaramente effetti keynesiani piuttosto grandi. Ecco, ad esempio, come appare un grafico a dispersione [60] del consolidamento della finanza pubblica (da Fiscal Monitor, del FMI) e della crescita (inclusa una stima per l’anno prossimo, a cura di World Economic Outlook ):

 

 

Ma, potreste obiettare, forse la causa proviene da un’altra ragione; forse i paesi in difficoltà sono costretti al consolidamento della finanza pubblica, e dunque non è l’austerità che le ha provocate. Ma il FMI ha una risposta per questo: esso osserva gli errori delle prospettive, a fronte dell’austerità. In parte, la ragione per fare questo è immaginare la ragione per la quale le cose stanno andando così peggio di quanto si prevedesse;  ma c’è anche il fatto che le previsioni già includevano i noti problemi delle economie in questione, cosicché è come se aveste più o meno una stima dell’impatto dell’austerità su ed oltre quei noti problemi (e più ed oltre l’effetto assunto sin dall’inizio dell’austerità, che si supponeva fosse piccolo). Ecco come appare [61]:

 

 

 

Come dice il Fondo, questo significa che gli effetti di contrazione del consolidamento delle finanze pubbliche sono sostanzialmente più grandi di quello che gli operatori politici avevano assunto.

Dunque, una cosa che non ho visto sottolineare è che questo direttamente contraddice l’attuale dottrina del Partito Repubblicano. Nella misura in cui il Partito Repubblicano ha una teoria per combattere le recessioni, a parte l’opinione per la quale gli spiriti animali dei ‘creatori di lavoro’ andranno alle stelle una volta che il diavolo Obama se ne sarà andato, essa è incarnata nel manifesto della Commissione Economica Congiunta [62], dal titolo “Spendere meno, fare meno debiti, far crescere l’economia”  (disponibili in pdf), che dichiarava:

Nel breve termine, i programmi di consolidamento della finanza pubblica che si fondano per intero o in modo predominante si riduzioni della spesa pubblica hanno effetti espansivi “non keynesiani” che possono bilanciare la riduzione keynesiana con effetti contrattivi sulla domanda aggregata.

In alcuni casi, effetti “non keynesiani” possono essere abbastanza forti da rendere i programmi di consolidamento della finanza pubblica espansivi nel  breve termine”.

 

Andatelo a dire ai Greci.

 

La verità è che ogni cosa che è accaduta nell’economia dal momento che si è passati dalle misure di sostegno all’austerità, dai tassi di interesse all’inflazione alla produzione, ha contraddetto la dottrina che il Partito Repubblicano sta sostenendo. Dal momento che, ovviamente, non c’è stata alcuna ammissione di errore, questo non è un buon presagio per l’economia americana se Romney vince.

 

 

 

 

 

 

 

October 11, 2012, 7:52 pm

A Global 1937

Back in 2009, when there was (briefly) a policy consensus in favor of active fiscal policy to fight the slump, there were many warnings to the effect that we must not repeat the infamous mistake of 1937, in which FDR was persuaded to focus on balancing the budget while the economy was still weak, terminating the recovery from 1933 and sending America into the second leg of the Great Depression.

And what policy makers proceeded to do was, of course, to repeat the mistake of 1937.

The new IMF World Economic Outlook is, in effect, an extensively documented exercise in hand-wringing over the consequences of this repeat of bad history. Kudos to the Fund for having the courage to say this, which means bucking some powerful players as well as admitting that its own analysis was flawed.

There is, however, one point I think is getting skewed in the discussion of the IMF’s new concern over premature austerity. Much of the discussion seems to focus on the question of relaxing the demands on debtor countries — which is certainly a crucial issue for the eurozone. However, the global 1937 we’re now experiencing isn’t just about forced austerity in Spain, Greece, etc.. It’s also — and I think mainly — about unforced austerity in countries that remain able to borrow very cheaply.

Let’s look at estimates of the cyclically adjusted budget deficit from the IMF’s Fiscal Monitor, measured as a percentage of potential GDP. I don’t think you want to take these numbers as gospel — for Britain, at least, there’s a very good case that the IMF is greatly understating potential output and hence overstating the structural deficit, and I suspect that this is true to a lesser extent for the US. But in any case the point is that even cheap-money countries facing no pressure either from the market or from external forces to engage in immediate austerity are nonetheless engaged in sharp fiscal contraction:

 

This is taking place in an environment in which the private sector is still deleveraging ferociously from the debt binge of the previous decade; so we’re creating a situation in which both the private sector and the public sector are trying to slash spending relative to income. And whaddya know, the world economy is sputtering.

The truly amazing thing is that this calamitous error is not, for the most part, the result of special interests, or an unwillingness to make hard choices. On the contrary, it’s being driven by Very Serious People who pride themselves on their willingness to make hard choices (which, naturally, involve inflicting pain on other people). In fact, I’d argue that the desire to make hard choices, or at least to be seen as doing so, is the reason the VSPs chose to ignore the extensive and, we now know, completely accurate warnings from some economists of what would happen if they gave in to their austerity obsession.

FT Alphaville says that I’m feeling a bit “smuggish” about all this; well, I’m only human. But truly, this is a terrible thing to behold.

 

11 ottobre 2012Un 1937 globale 

Nel passato 2009, quando si ebbe una breve consenso politico a favore di una politica attiva della spesa pubblica per combattere la recessione, ci furono molti ammonimenti  perché non si ripetesse il famigerato errore del 1937, quando Franklin Delano Roosevelt venne persuaso a concentrarsi sugli equilibri di bilancio mentre l’economia era ancora debole, interrompendo la ripresa iniziata nel 2003 e spedendo l’America dentro la seconda tappa della Grande Depressione.

E quello che gli uomini politici hanno continuato a fare, naturalmente, è stato ripetere l’errore del 1937.

Il nuovo World Economic Outlook è, in effetti, è un esercizio ampiamente documentato di preoccupazione sulle conseguenze di questo ripetersi di una pessima storia. Applausi al Fondo per aver avuto il coraggio di dirlo, il che significa anche essersi opposti a qualche potente soggetto [63] ammettendo che la stessa analisi del FMI aveva seri difetti.

C’è, tuttavia, un punto che io penso sia un po’ distorto nel dibattito sulla nuova preoccupazione del FMI per la prematura [64]austerità. Gran parte del dibattito sembra concentrarsi sul tema dell’attenuare le richieste verso i paesi debitori – che è certamente una questione centrale per l’eurozona. Tuttavia, il “1937 globale” che stiamo sperimentando non riguarda soltanto l’austerità nella Spagna, nella Grecia e così via. Riguarda anche – e io penso principalmente – l’austerità non necessaria in paesi che restano nelle condizioni di indebitarsi in modi molto economici.

Si guardi alle stime sui deficit di bilancio ciclicamente corretti del Fiscal Monitor del FMI, misurate come percentuale del PIL potenziale. Non penso che si vorrà prendere questi numeri come vangelo – per l’Inghilterra, almeno, c’è una ragione molto buona per la quale il FMI starebbe grandemente sottostimando la produzione potenziale  e di conseguenza sovrastimando il deficit strutturale, ed io sospetto che questo sia vero in minor misura per gli Stati Uniti. Ma in ogni caso il punto è che persino i paesi che possono indebitarsi economicamente, non avendo alcuna pressione né dal mercato né da forze esterne per impegnarsi adesso nella austerità, nondimeno sono impegnato in una brusca contrazione della finanza pubblica:

 

 

 

Questo avviene in un contesto nel quale il settore privato sta ancora ferocemente riducendo il rapporto di indebitamento rispetto alla baldoria del debito del passato decennio; si sta dunque creando una situazione nella quale sia il settore privato che quello pubblico stanno cercando si abbattere la spesa rispetto al reddito. Come ci si può immaginare, l’economia mondiale batte i colpi.

 

La cosa davvero terrificante è che questo errore esiziale non è, per la maggior parte, il risultato di interessi speciali, o di una non volontà di fare scelte difficili. Al contrario, esso viene guidato dalle Persone Molto Serie che si inorgogliscono della loro volontà di fare scelte difficili (il che, naturalmente, si risolve nel provocare sofferenze ad altri). Nei fatti, direi che il desiderio di fare scelte dure, o almeno di farlo apparire, è la ragione per la quale le Persone Molto Serie scelgono di ignorare i vasti e, come ora sappiamo, del tutto scrupolosi ammonimenti di qualche economista su quello che accadrebbe se essi cedessero alla loro ossessione di austerità.

 

FT Alphaville afferma che io sarei piuttosto compiaciuto per tutto questo: ebbene, sono un uomo anch’io. Ma è veramente uno spettacolo terribile.

 

 

 

October 12, 2012, 2:36 am

Voucher Denial

So, I was airborne during the VP debate, which means no theater criticism. But I do have the transcript. And I thought it was interesting that Ryan was the first to use the word “voucher”, as a preemptive strike to try to stop Biden from using it to characterize his plan.

 

Indeed, the official line seems to be that you’re a liar if you call a plan under which people receive a fixed sum to spend on insurance, as opposed to simply getting insurance, a voucher scheme.

Among the lying liars, then, is the guy who, back in 2009, described the Ryan plan as “converting Medicare into defined contribution sort of voucher system”. Oh, wait: that was Paul Ryan.

We’ve seen this movie before. For decades the right pushed for Social Security privatization — their own term for it. The Cato Institute even had a Project on Social Security Privatization. Then they found that the term polled badly, and tried to pretend that only evil liberals accused them of favoring such a terrible thing (Cato even tried, incompetently, to purge its web site of all references to the program’s previous name).

So here we go again. Oh, and Ryan also, in the course of the debate, endorsed .. Social Security privatization.

 

12 ottobre 2012Il diniego del voucher 

Dunque, ero in volo durante il dibattito dei candidate alla vicepresidenza, il che significa che non ho critiche teatrali da avanzare. Ho però la trascrizione. Ed ho pensato che fosse interessante il fatto che Ryan sia stato il primo ad usare la parola “voucher”, come una mossa preventiva per cercar di impedire a Biden di utilizzarla per descrivere il suo piano.

In effetti sembra che la linea ufficiale sia che, se si chiama ‘modello voucher’ un piano per il quale le persone ricevono una somma definita da spendere in assicurazioni, all’opposto dell’ottenere semplicemente il diritto alla assicurazione, si sia bugiardi.

 

Tra i bugiardi incalliti, dunque, c’è quell’individuo che, nel passato 2009, descrisse il piano di Ryan come “una conversione di Medicare in una specie di sistema di vouchers a  contributo fisso”. Ma, aspettate un attimo: quell’individuo era Paul Ryan !

 

Abbiamo visto questa scena in precedenza. Per decenni la destra ha spinto per la privatizzazione della Previdenza Sociale – il termine che usavano essi stessi. Il Cato Institute aveva addirittura un “Progetto per la Privatizzazione della Previdenza Sociale”. Poi scoprirono che quella espressione funzionava male nei sondaggi, e cercarono di far finta che soltanto i diabolici liberal li avessero accusati di una cosa così tremenda (Cato Institute provò persino, in modo del tutto inetto, a cancellare dal suo sito web tutti i riferimenti al precedente nome del suo programma).

Siamo ancora lì. E, si badi, Ryan ha anche, nel corso del dibattito, appoggiato l’dea della …. Privatizzazione della Previdenza Sociale.

 

 

 

October 12, 2012, 1:40 pm

Smuggish Thoughts (Self-indulgent)

Things I shouldn’t be wasting my time (or yours) on. But I’ve been thinking in odd moments about my professional state of my mind, and thought I’d share a bit. (I know, too much information).

A starting point: It is a truth not universally acknowledged that it’s possible to be a highly successful academic and still have a somewhat fragile sense of self-worth. You get your papers published, you get tenure, maybe you win some prizes; all this says that your colleagues believe that your stuff is right, that you really do know something about your subject. But do you really? Or are you just good at self-marketing?

Some, maybe many, academics don’t care; they’ve carved out a nice career and life, so it’s all good. But if you are truly serious about your work as opposed to your career, the question of whether your knowledge is real is always with you.

As you’ve already guessed, I’m talking to some extent about myself. I’ve always been very serious about my work, I’ve always tried to be more than a mere careerist. I’ve had a wonderful career, getting all the major gongs, yet as late as 2008 it was still possible for that small self-doubting voice in my head to whisper that being a facile modeler and a pretty good writer might not mean that I really knew how the world works.

And then the crisis came – a crisis that was very much up my alley. I got obsessed with Japan in the 1990s, and I think can fairly claim to have started the whole modern liquidity-trap literature. I approached the Japan problem the way I approach just about all economic problems, building a stylized, minimalist model  that seemed to make sense of the available facts and yielded strong conclusions. But does this style of analysis work in the real world?

Well, events provided an acid test. If you believed in the little models I and others were using, you made some very striking predictions about how the world would work post-crisis – predictions that were very much at odds with what other people were saying. You predicted that trillion-dollar deficits would not drive up interest rates; that tripling the monetary base would not be inflationary; that cuts in government spending, rather than helping the economy by increasing confidence, would hurt by depressing demand, with bigger effects than in normal, non-liquidity trap times.

And the people on the other side of these issues weren’t just academics, they were major-league policy makers and famous investors.

And guess what: the models seem to work. It appears that I wasn’t just a successful self-marketer, that I really did and do know something.

So that’s great – except that it turns out that one form of anxiety has just been replaced with another. It’s great to have confirmation that you weren’t just playing career games; it is, however, not just frustrating but terrifying to watch decision-makers ignore all the hard-won evidence and knowledge, and repeat the mistakes of the 1930s. The good news is that I’m not Sammy Glick; the bad news is that I’m Cassandra.

Oh well.

 

12 ottobre 2012Pensieri compiaciuti (auto-indulgenti) 

Cose sulle quali non dovrei sprecare il mio tempo (o il vostro). Ma in qualche occasionale momento ho pensato alla condizione professionale della mia mente, ed ho pensato che dovrei un po’ condividerla (lo so, troppa informazione).

 

Un punto di partenza: è una verità non universalmente riconosciuta che è possibile avere un importante successo accademico e purtuttavia avere una considerazione fragile del proprio valore. Potete pubblicare saggi, essere titolari di una cattedra, magari anche vincere qualche premio: tutto questo vi dice che i vostri colleghi credono che la vostra roba sia giusta, che sappiate realmente qualcosa della vostra materia. Ma è così in realtà? O siete soltanto bravi nell’autopromuovervi?

Alcuni, forse molti, accademici non se ne curano; si sono ritagliati una bella carriera ed una bella vita, dunque è tutto a posto. Ma se siete veramente seri col vostro lavoro  più che con la vostra carriera, la domanda se il vostro sapere è reale vi accompagna sempre.

 

Come avete già intuito, il mio discorso in qualche misura mi riguarda. Sono sempre stato serio col mio lavoro, ho sempre cercato di essere qualcosa di più che un carrierista. Ho avuto una carriera meravigliosa, ho ricevuto tutte le più importanti medaglie, eppure ancora nel 2008 era possibile che quella piccola voce dubbiosa nella mia testa sussurrasse che essere un abile creatore di modelli ed uno scrittore abbastanza buono non significava che io davvero conoscessi il funzionamento del mondo.

Poi venne la crisi – una crisi che avvenne davvero un buona misura sul mio percorso. Ero rimasto colpito dal Giappone nel corso degli anni ’90, e penso di poter onestamente sostenere di aver dato inizio alla letteratura moderna sulle trappole di liquidità. Mi misurai col problema del Giappone nello stesso modo nel quale mi misuro con tutti i problemi economici, costruendo un modello stilizzato e minimalista che sembrava dar senso ai fatti che si conoscevano e comportava forti conclusioni.

 

Ebbene, gli eventi furono la prova del fuoco. Se aveste creduto ai piccoli modelli che io ed altri venivamo usando, avreste formulato alcune previsioni davvero impressionanti su come il mondo avrebbe funzionato dopo la crisi – previsioni che erano del tutto opposte a quello che altre persone venivano dicendo. Avreste previsto che quei deficit da migliaia di miliardi di dollari non avrebbero alzato i tassi di interesse; che la triplicazione della basa monetaria non avrebbe avuto effetti inflazionistici; che i tagli nella spesa pubblica, piuttosto che aiutare l’economia accrescendo la fiducia, avrebbero fatto un danno deprimendo la domanda, con effetti più grandi che non nei tempi normali, non caratterizzati da trappole di liquidità.

E le persone che si collocavano all’opposto di queste tematiche non erano solo accademici, erano uomini politici di prima grandezza e famosi investitori.

E indovinate: i modelli sembrano funzionare. Pare che io non sia solo stato un autopromotore di successo, che realmente abbia fatto e capito qualcosa.

 

Questa, dunque, è una gran cosa – sennonché sembra che una forma di ansietà sia solo stata rimpiazzata con un’altra.  E’ una gran cosa avere la conferma che non stavate solo esercitandovi con giochi di carriera; tuttavia, è non solo frustrante ma terrificante guardare coloro che prendono decisioni nel mentre ignorano i fatti e le conoscenze acquisite con fatica, e ripetono gli errori degli anni ’30. La buona notizia è che non sono Sammy Glick [65]; la cattiva notizia è che sono una Cassandra.

 

Oh, Dio mio.

 

 

 

 

 

October 12, 2012, 8:45 pm

On The Non-burden of Debt

Brad DeLong takes on Nick Rowe over this bizarrely confused issue; in a moment I’ll try to offer a new way of explaining why the conventional presentation is all wrong.

First, however, let me suggest that the phrasing in terms of “future generations” can easily become a trap. It’s quite possible that debt can raise the consumption of one generation and reduce the consumption of the next generation during the period when members of both generations are still alive. Suppose that after the 2016 election President Santorum tries to buy senior support by giving every American over 65 a gift of newly printed government bonds; then the over-65 generation will be made richer, and everyone under 65 will be made poorer (duh).

 

But that’s not what people mean when they speak about the burden of the debt on future generations; what they mean is that America as a whole will be poorer, just as a family that runs up debt is poorer thereafter. Does this make any sense?

Well, let’s do a thought experiment that doesn’t, at least initially, seem to have anything to do with debt. Suppose that instead of gifting seniors with debt, President Santorum passes a constitutional amendment requiring that from now on, each American whose name begins with the letters A through K will receive $5,000 a year from the federal government, with the money to be raised through extra taxes. Does this make America as a whole poorer?

The obvious answer is not, at least not in any direct sense. We’re just making a transfer from one group (the L through Zs) to another; total income isn’t changed. Now, you could argue that there are indirect costs because raising taxes distorts incentives. But that’s a very different story.

OK, you can see what’s coming: a debt inherited from the past is, in effect, simply a rule requiring that one group of people — the people who didn’t inherit bonds from their parents — make a transfer to another group, the people who did. It has distributional effects, but it does not in any direct sense make the country poorer.

Really, this isn’t complicated — and the fact that everyone in public life gets it wrong doesn’t change the logic.

 

12 ottobre 2012Sul non-peso del debito 

Brad DeLong affronta Nick Rowe sulla sua singolarmente confusa questione: tra un momento proverò ad offrire un nuovo modo per spiegare perché la presentazione convenzionale sia del tutto sbagliata.

Tuttavia, in primo luogo consentitemi di suggerire che esprimersi in termini di  “future generazioni” possa facilmente diventare una trappola. E’ del tutto possibile che il debito possa accrescere i consumi di una generazione e ridurre i consumi della generazione successiva durante il periodo di tempo nel quale entrambe le generazioni sono in vita. Si supponga che dopo le elezioni del 2016 il Presidente Santorum cerchi di guadagnarsi il sostegno degli anziani dando a tutti gli americani sopra i 65 anni il regalo di obbligazioni sul debito nuove di zecca; di conseguenza la generazione sopra i 65 anni diventerà più ricca e tutti quelli sotto i 65 anni diventeranno più poveri (ma guarda un po’!)

 

Ma non è quello che le persone intendono quando parlano del peso del debito sulle future generazioni; quello che essi intendono è che l’America nel suo complesso diventerà più povera, proprio come quando una famiglia fa salire rapidamente il suo debito e successivamente si trova impoverita. Questo ha un qualche senso?

Ebbene, si faccia un esperimento logico che, almeno all’inizio, non sembra avere niente a che fare con il debito. Si supponga che invece di premiare gli anziani con obbligazioni sul debito, il Presidente Santorum faccia approvare un emendamento costituzionale  che prevede che da un certo momento in poi ogni americano il cui nome abbia inizio con le lettere dalla A alla K riceverà 5.000 dollari all’anno dal Governo Federale, con denari ottenuti attraverso tasse straordinarie. Questo rende l’America nel suo complesso più povera?

 

La risposta evidente è no, non almeno in senso diretto. Stiamo solo facendo un trasferimento da un gruppo (quelli dalla lettera L alla lettera Z) ad un altro; il reddito complessivo non è modificato. Ora, potreste sostenere che si sono costi indiretti, perché le tasse che aumentano distorcono gli incentivi. Ma questo sarebbe tutto un altro discorso.

Ebbene, potete rendervi conto di quello che ne consegue: un debito ereditato dal passato è, in effetti, semplicemente una regola che richiede che un gruppo di persone – le persone che non hanno ereditato obbligazioni dai loro genitori – facciano un trasferimento ad un altro gruppo, quello delle persone che le hanno avute. Questo ha effetti sulla distribuzione, ma non rende in alcun modo direttamente più povero il paese.

In realtà, non è una cosa complicata – e il fatto che tutti nella vita pubblica si sbaglino non cambia la logica.

 

 

 

 

Pubblichiamo di seguito il testo tradotto dell’articolo di Brad DeLong, sullo stesso tema di come il peso del debito effettivamente passa di generazione in generazione.


 

The Intergenerational Burden of the Debt: Nick Rowe Tempts Fate Weblogging…

 

 

 

By Brad DeLong

October 12, 2012

Nick Rowe:

Worthwhile Canadian Initiative: The burden of the (bad monetary policy) on future generations: You can try to kill zombie ideas. Or you can try to reframe them. I’m fed up with killing the “The national debt is not a burden on future generations because they will inherit (sic) the bonds as well as the debt so they will owe it to themselves” zombie. I already killed it a year ago…. [I]f you don’t believe in Ricardian Equivalence, and you think the old generation sells the bonds to the next generation, and then consumes the proceeds from that sale, then don’t say that the next generation “inherits” the bonds. They don’t inherit the bonds, they damned well pay for them. And if they pay for them, and at the same time pay taxes to pay interest and/or principal on the bonds they have already paid for, then that next generation is paying twice.

Oh God, I don’t want to have to argue this all over again! Can I just use the argument from authority? Please? My authority is Brad DeLong. Brad DeLong knows his macro. The very fact that Brad DeLong did not jump all over me last year when I said that Paul Krugman was wrong about the burden of the debt proves that Brad DeLong knows I am right. There is just no way he could have managed to stay silent if he had thought I was wrong!…

Well that is certainly tempting fate!

Especially because I have to do something on the plane from London to Tokyo, and watching “Prometheus” doesn’t seem attractive somehow…

Let’s move into an overlapping-generations model. It is true that the next generation has to buy the debt from the current generation, but the next generation also gets to sell the debt to the generation two generations forward. Thus the real wealth of any generation will be equal to (a) its Haig-Simons income, plus (b) any difference between the value of the real capital stock it buys and inherits from its predecessor and the value of the real capital stock it sells and bequeaths to its successor.

If we hold constant the value of the real capital stock the next generation sells and bequeaths to its successor–and I see no reason why we should not–then incurring a larger national debt in this generation will burden the next generation only if it means (a) a less productive economy–lower Haig-Simons income–in the next generation, or (b) a smaller real capital stock bequeathed and sold to the next generation. Assume–and I see no reason why we should not–that the influence of the present on future productivity comes through the capital stock, and we are reduced to one factor: the way the present burdens the future is by transferring a smaller real apical stock to it.

That is where Dean Baker is coming from. And that is a perfectly fine place to come from. So why doesn’t Nick Rowe appear to come from there?

I think he really does. In Nick Rowe’s world the next generation’s taxpayers are taxed to pay off the debt–and so they are losers. And in Nick Rowe’s world the next generation’s debt-holders are not gainers. They spend the debt-service payments they receive because bought the debt from the current generation. If they had not bought the debt they would have bought real capital instead, and would have financed their spending via dissaving. Thus the next generation’s taxpayers are losers, and the next generation’s debt-holders are not winners.

 

But, Dean Baker would correctly say, the reason that the next generation’s debt-holders are not winners is because they acquire debt instead of rather than in addition to real capital–that the current generation invests less in building up the capital stock. What causes the burden is not that government debt is issued, but rather that the issuance of government debt crowds out the formation of useful capital.

No crowding-out of investment, no burden of the debt on the future.

Thus the argument that issuing debt burdens future generations is really an argument that issuing debt right now crowds-out investment by shifting resources from forming capital to working for the government, or that holding debt in the near future crowds-out investment by making people feel wealthier and shifting resources from forming capital to producing consumption goods and services.

Those are fine arguments to make, and they have a lot of validity.

But, still, if you want to argue that issuing debt in a time of deficient aggregate demand burdens the future, you need to make that argument that there is crowding-out of investment–and you need to recognize that both forms of crowding out, both crowding out via expanded government purchases and crowding out via expanded consumption driven by wealth effects, are smaller and perhaps much smaller than at full employment.

Thus when Nick Rowe writes:

But what I really want to do in this post is reframe the question. Because, deep inside every zombie, there is something that wants to stay alive. If monetary policy were doing its job right, and getting Aggregate Demand where it ought to be, nobody would be arguing for bigger deficits to increase Aggregate Demand. Obviously…. [N]obody would have to argue for imposing a debt burden on future generations just to increase Aggregate Demand now. Which means that ultimately it’s bad monetary policy that is responsible for that burden of debt on future generations.

And the longer monetary policy stays bad, and the bigger the debt gets, the more worried I get about that future burden. With nominal interest rates near zero, and real interest rates sometimes negative, there is nothing to be worried about right now. But recovery will mean a rise in nominal and real interest rates. If recovery gets postponed much longer, I’m going to start to worry whether (e.g. Japan’s) fiscal authorities will be able to afford a recovery.

He should be writing something different: he should be writing: “bad monetary policy that leads to either government purchases or consumption crowding out of capital formation.”

Seems to me it would be much more productive right now to worry about how do we maintain normal levels of net investment in a high government debt post-interest rate normalization environment than to propose sending the economy back into recession in order to reduce government debt accumulation. Recession and high unemployment in the short- and medium-run are problems. Low investment in the medium- and long-run are problems. Government debt is a tool to avoid the first and a source of risk of the second. But it is better to keep your mind focused on the things that are real problems.

 

 L’onere intergenerazionale del debito (Nick Rowe sfida la sorte proprio mentre siamo sul blog ….) Di Brad DeLong

12 ottobre 2012

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nick Rowe [66] (da “Worthwhile Canadian Initiative”: “Il peso di una cattiva politica monetaria sulle generazioni future”) :

 

 

“Potete cercare di ammazzare le idee zombie. Oppure potete cercare di riformularle. Io sono ingrassato con l’idea zombie ‘Il debito nazionale non è un peso per le future generazioni perché esse erediteranno (sic) i bonds assieme al debito e quindi saranno debitrici di entrambi’. L’ho già ammazzata l’anno scorso … (Se) non credete nell’Equivalenza Ricardiana, e pensate che la vecchia generazione venda i bonds alla nuova, e poi consumi il ricavato di quella vendita, allora non dite che la generazione successiva ‘eredita’ le obbligazioni. Essi non ereditano le obbligazioni, ma disgraziatamente dovranno bel pagarle. E se le ripagano, e allo stesso tempo pagano le tasse per pagare gli interessi e/o il capitale sulle obbligazioni che hanno già pagato, allora la generazione successiva paga due volte.

 

 

Oddio, non ho intenzione di doverlo argomentare un’altra volta. Posso usare come argomento una fonte autorevole? Per piacere? La mia autorità è Brad DeLong. Brad DeLong conosce la sua macroeconomia. Il fatto che Brad DeLong non mi sia saltato addosso l’anno scorso quando dissi che Paul Krugman sbagliava sulla faccenda dell’onere del debito, è la prova che egli sa che ho ragione. Non c’era alcuna possibilità che tacesse se avesse pensato che avevo torto! …

 

Ebbene, questo è certamente un modo di sfidare il destino!

Specialmente perché devo pur fare qualcosa sull’aeroplano da Londra a Tokio, e guardare  “Prometheus” sembra tutt’altro che attraente …

 

 

Consentitemi di muovermi in un  modello di generazioni che si sovrappongono. E’ vero che la prossima generazione deve acquistare il debito dalla generazione attuale, ma la generazione successiva deve anche vendere il debito alla generazione ancora successiva. Dunque, la reale ricchezza di ogni generazione sarà eguale a: (a) il suo reddito ‘Haig-Simons’ [67]; più (b) qualsiasi differenza tra il valore dello stock di capitale reale che essa acquista ed eredita dai suoi predecessori ed il valore di capitale reale che essa vende e trasmette ai suoi successori.

Se noi teniamo costante il valore dello stock di capitale reale che la successiva generazione vende e trasmette ai suoi successori – e non vedo ragione per la quale non dovremmo farlo – allora accollarsi una più ampio debito in questa generazione appesantirà quella successiva solla alla condizione che questo significhi: (a) una economia meno produttiva – ovvero un reddito Haig-Simons più basso – nelle generazione successiva, oppure: (b) un più piccolo stock di capitale reale trasmesso e venduto alla generazione successiva. Se si assume – e non vedo ragione per la quale non dovremmo farlo – che l’influenza del presente sulla produttività futura deriva dallo stock di capitale, ci riduciamo ad un fattore:   il modo in cui il presente pesa sul futuro è nel trasferimento ad esso di uno stock di capitale [68] più piccolo.

Da qua Dean Baker [69] prende le mosse. E questo è un luogo perfettamente adatto per prendere le mosse. Perché dunque Nick Rowe non sembra prendere le mosse da lì?

 

 

In realtà, io penso che lo faccia. Nel mondo di Nick Rowe i contribuenti della generazione successiva sono tassati per pagare il debito – e dunque ci rimettono. E nel mondo di Nick Rowe i detentori di debito della generazione successiva non guadagnano. Essi spendono per il pagamento del servizio sul debito perché comprano quel debito dalla generazione attuale. Se essi non avessero acquistato il debito avrebbero al suo posto acquistato capitale reale, ed avrebbero finanziato la loro spesa spendendo di più di quanto guadagnato. Dunque la successiva generazione di contribuenti è una generazione di perdenti, così come la successiva generazione di detentori di debito non è una generazione di  vincenti.

Ma, direbbe correttamente Dean Baker, la ragione per la quale la successiva generazione di detentori del debito non è vincente è perché essa acquista debito al posto di capitale reale (o invece che in aggiunta ad esso) – ovvero che la attuale generazione investe di meno nell’accumulare lo stock di capitale. Quello che provoca l’onere non è il fatto che il Governo emetta debito, ma piuttosto che l’emissione del debito da parte del Governo ‘spiazzi’ [70]  la creazione di capitale utile.

Senza ‘spiazzamento’ degli investimenti non c’è alcun  peso del debito sul futuro.

 

Dunque, l’argomento secondo il quale l’emissione di titoli sul debito pesa sulle generazioni future in realtà è un argomento secondo il quale l’emissione del debito in questo momento spiazza l’investimento, spostando risorse dalla formazione di capitale al funzionamento della amministrazione pubblica, oppure che detenere obbligazioni sul debito nel prossimo futuro spiazzerà gli investimenti, facendo sentire le persone più ricche e spostando le risorse dalla formazione di capitale alla produzione di beni e servizi per il consumo.

Ci sono buoni argomenti da avanzare, che possono avere molto valore.

 

Ma, ancora, se volete sostenere che l’emissione del debito in un periodo di insufficiente domanda aggregata peserà sul futuro, avete bisogno dell’argomento sullo ‘spiazzamento’ degli investimenti – ed avete bisogno di riconoscere che entrambe le forme dello ‘spiazzamento’ – che esso avvenga attraverso acquisti da parte della pubblica amministrazione o attraverso una espansione dei consumi  guidata dagli effetti sulla ricchezza – sono più piccole e forse molto più piccole che non in una situazione di piena occupazione.

Quindi, quando Nick Rowe scrive:

 

“Ma quello che in realtà voglio fare con questo post è riformulare la domanda. Perché, nel profondo di ogni concetto zombie, c’è qualcosa che vuole continuare a vivere. Se la politica monetaria volesse fare correttamente il suo lavoro, e con una domanda aggregata come dovrebbe essere, nessuno sosterrebbe che deficit più grandi incrementano la domanda aggregata. Ovviamente … nessuno vorrebbe  pronunciarsi per  imporre un peso del debito sulle generazioni future soltanto per incrementare nel presente la domanda aggregata. La qualcosa in ultima analisi significa che una cattiva politica monetaria è l’unica responsabile per quell’onere del debito sulle generazioni future.

E più a lungo una politica monetaria resta cattiva, maggiore debito essa provoca, maggiormente preoccupato io divento a proposito dell’onere futuro. Con interessi nominali vicini allo zero, ed interessi reali talvolta negativi, non c’è niente di cui preoccuparsi in questo momento. Ma la ripresa comporterà una crescita nei tassi di interesse nominali e reali. Se la ripresa viene rinviata troppo a lungo, io comincio a preoccuparmi che (vedi l’esempio del Giappone) le autorità preposte alla finanza pubblica saranno capaci di permettersi una ripresa”.

Egli dovrebbe esprimersi diversamente: egli dovrebbe scrivere: “una cattiva politica monetaria che porta o ad acquisti della pubblica amministrazione o a consumi che spiazzano la formazione di capitale”.

 

Mi sembra che sarebbe più produttivo in questo momento preoccuparsi di come manteniamo per davvero livelli normali di investimento  netto nel contesto di una normalizzazione dei tassi di interesse effettivi [71]su un elevato debito pubblico, piuttosto  che proporre di rispedire l’economia nella recessione a fine di ridurre l’accumulazione del debito pubblico. La recessione e l’elevata disoccupazione, nel periodo breve e medio, sono problemi. I bassi investimenti sono problemi nel periodo medio e lungo. Il debito pubblico è uno strumento per evitare il primo ed è una fonte di rischio per il secondo.  Ma è meglio tenere la mente concentrata sulle cose che sono problemi reali.

 

 

 

 

 

October 13, 2012, 9:22 pm

Foreigners and the Burden of Debt

A number of comments on my non-burden of the debt post were along the lines of “But what if the debt is owed to foreigners?” OK, this takes a bit more thinking.

Another thought experiment: suppose that for some reason the Chinese and a bunch of domestic investors do an asset swap: the Chinese sell off $500 billion of Treasuries and buy an equal amount of, say, corporate bonds, while the domestic investors do the reverse. Has America become any richer (or any poorer)? Obviously not — as a nation we still owe the same amount to the rest of the world.

What this tells us is that when we’re trying to assess the burden or lack thereof of debt, foreign ownership of government debt doesn’t really matter. What does matter is our net international investment position, the value of the overseas assets owned by all domestic residents minus the value of all domestic assets owned by foreign residents..

Now, this ties right in with what Brad said about the burden of the debt: we’d all agree that deficits make us poorer if they crowd out investment spending — which they would if the economy were near full employment, but won’t if we’re deeply depressed. All we have to do is realize that net foreign investment — purchases minus sales of assets from and to foreigners — is also a form of investment. Or to put it a bit more simply, sure, budget deficits can make us poorer as a nation if they lead to bigger trade deficits.

So far, nothing like this has happened. Here’s the U.S. budget deficit (all levels of government) and the current account deficit, both as a percentage of GDP:

 

U.S. borrowing from abroad is way down, not up, in recent years.

Still, you could argue that a bigger budget deficit would, other things equal, lead to a bigger trade deficit — because it would expand the economy and lead to higher imports. (This is in contrast to business investment, which is almost surely crowded in, not out, by deficits under current conditions). So in this very limited sense you could tell a burden of deficits story. But surely it’s not what debt alarmists have in mind: “Hey, deficit spending could bring us back to prosperity, which might lead to more imports, so let’s not go there!”

 

The bottom line is that while foreign ownership of U.S. assets — not just government debt — is a complication, the common claim that deficits mean that we’re selling our birthright to the Chinese makes no sense at all.

 

13 ottobre 2012Gli stranieri e il peso del debito 

Un certo numero di commenti sul mio articolo sul ‘non-peso’ del debito sono stati sulla falsariga del “Ma cosa accade se le obbligazioni sul debito sono di proprietà di stranieri?”. Ebbene questo richiede un ragionamento un po’ più lungo.

Un altro esperimento del pensiero: si supponga che per qualche ragione i Cinesi ed un raggruppamento di investitori nazionali facciano uno scambio di assets: i Cinesi liquidano 500 miliardi di dollari di Buoni del Tesoro ed acquistano una somma identica, diciamo, di obbligazioni societarie. L’America è così diventata in qualche modo più ricca (o più povera)? Ovviamente no – come nazione siamo ancora debitori della stessa somma verso il resto del mondo.

Quello che questo ci dice è che quando cerchiamo di stimare il peso o la mancanza di peso del debito, la proprietà di stranieri di obbligazioni sul debito pubblico, in realtà, non conta. Quello che conta è la nostra posizione netta nell’investimento internazionale, il valore degli assets esteri di proprietà di residenti interni meno il valore di tutti gli assets nazionali di proprietà di residenti stranieri.

 

Ora, questo si collega esattamente con quello che ha detto Brad a proposito dell’onere del debito: noi potremmo essere d’accordo sul fatto che i deficit ci rendano più poveri se essi ‘spiazzassero’ la spesa per investimenti – la qualcosa avverrebbe se l’economia fosse prossima alla piena occupazione, ma che non accadrà se restiamo profondamente depressi. Dobbiamo tutti comprendere che l’investimento netto degli stranieri – gli acquisti meno le vendite degli assets da ed agli stranieri – è anch’esso una forma di investimento. O, per dirla più semplicemente, i deficit di bilancio possono renderci più poveri come nazione se essi portano a più grandi deficit commerciali.

Sinora, niente di questo è accaduto. Ecco il deficit del bilancio degli Stati Uniti (tutti i livelli della amministrazione pubblica) e il deficit della bilancia di conto corrente [72], entrambi come percentuali del PIL:

 

 

 

I prestiti dall’estero agli Stati Uniti sono in calo, non in crescita, negli anni recenti.

 

Eppure, si potrebbe sostenere che un maggiore deficit di bilancio, fermi gli altri fattori, dovrebbe portare ad un maggiore deficit commerciale – giacché porterebbe ad un’espansione dell’economia ed a importazioni più elevate (questo è in contrasti con gli investimenti di impresa, che quasi certamente, nelle attuali condizioni, trovano spazio, anziché essere spiazzati, dai deficit). Dunque, in questo senso molto delimitato si potrebbe parlare di una storia dei deficit come onere. Ma sicuramente non si tratta di quello che gli allarmisti del debito hanno in mente: “ Ehi, la spesa in deficit ci potrebbe riportare alla prosperità, il che potrebbe condurre a maggiori importazioni, dunque non andiamo in quella direzione!”

 

La morale della storia è che mentre la proprietà straniera degli assets degli Stati Uniti – non solo delle obbligazioni sul debito pubblico – è una complicazione, la diffusa pretesa che i deficit significano che stiamo vendendo la nostra primogenitura ai cinesi è priva di senso.

 

 

 

 

October 15, 2012, 5:28 am

Britain’s Rate Stuff

So, later today I’m participating in a debate at Parliament (sponsored by speakers of both Houses) on austerity versus expansion; not, as far as I know, open to the general public. Jonathan Portes is my teammate; Stephen King and Bridget Rosewall on the other side.

One thing I strongly suspect will come up will be the claim that low British borrowing costs reflect the credibility generated by austerity policies. So, as a reminder, rates in Britain and the US:

 

Every advanced country with monetary independence has seen very low borrowing costs, reflecting the expectation of low policy rates for many years to come. It’s the weak economies, stupid.

 

15 ottobre 2012La faccenda dei tassi in InghilterraDunque, oggi stesso tra un po’ parteciperò ad un dibattito in Parlamento (promosso dai Presidenti di entrambe le Camere) sulla austerità a confronto con l’espansione; non aperto al pubblico, per quanto ne so. Il mio partner sarà Jonathan Portes; dalla parte opposta Stephen King [73] e Bridget Rosewall [74].

 

Una cosa che ho il forte sospetto verrà fuori  sarà l’argomento secondo il quale i bassi costi dell’indebitamento britannico riflettano la credibilità generata dalle politiche di austerità. Così, come promemoria, questa è la situazione dei tassi in Inghilterra e negli Stati Uniti:

 

 

Ogni paese avanzato dotato di indipendenza monetaria conosce costi di indebitamento molto bassi. Che riflettono l’aspettativa di una bassa politica dei tassi per molti anni avvenire. Sono le economie deboli, stupidi! [75]

 

 

 

 

October 15, 2012, 5:32 am

Ways the Uninsured Die

A physician writes:

It’s true that EMTALA [the 1986 law requiring that emergency rooms treat you regardless of insurance status] requires a medical screening exam and stabilization of any emergency medical conditions. It does not, however, mandate admission to the hospital for treatment of conditions that are not currently emergent (e.g. cancer, kidney disease, and other more chronic conditions except related to certain complications). For example, if someone were to present to one of our emergency departments with some mild bloating and be found to have an abdominal mass, they may very well be discharged home for outpatient follow-up and treatment. If that person doesn’t have insurance, they will likely have difficulty obtaining that care.

 

I agree with your example of someone delaying care because they are uninsured (it happens with regularity), but thought another avenue to describe how uninsured people could die despite emergency care being mandated by EMTALA would be informative.

 

15 ottobre 2012I modi nei quali I non-assicurati muoiono 

Un medico scrive:

 

“E’ vero che la EMTALA [76] (la legge del 1986 che prescrive che le strutture di pronto soccorso devono trattarvi senza considerare la vostra condizione assicurativa) impone (per ogni paziente) una analisi medica e il superamento di qualsiasi condizione di emergenza sanitaria. Essa non costringe, tuttavia, ad ammettere negli ospedali (pazienti) per il trattamento di condizioni che non siano sul momento di emergenza (per esempio cancro, insufficienza renale, e molte altre condizioni croniche ad eccezione di alcune connesse con certe complicazioni). Per esempio, se qualcuno si dovesse presentare ad uno dei mostri dipartimenti di emergenza con qualche leggero rigonfiamento   e di scoprisse che ha una massa addominale, egli assai probabilmente verrebbe dimesso per controlli e trattamenti di tipo ambulatoriale. Se quella persona non avesse l’assicurazione, probabilmente avrebbe difficoltà a ricevere tali cure”.

 

Io concordo con il suo esempio del modo in cui alcuni rinviano le cure in quanto sono privi di assicurazione (avviene frequentemente), ma ho pensato che un’altra possibilità di descrivere in che modo le persone non assicurate potrebbero morire nonostante le cure di emergenza siano prescritte dalla legge del 1986 sarebbe stata utile.

 

 

 

 

 

October 16, 2012, 4:04 pm

Lies, Damned Lies, and Jobs

Aha. Via Greg Sargent, the Romney campaign is lying about its jobs plan.

I’m using the L-word advisedly. What I don’t mean is that I don’t believe Romney’s claims about what his policies would accomplish; I don’t, but that’s a separate issue, and people can disagree about such matters.

What I mean, instead, is that the campaign is claiming that Romney’s assertion that his plan would create 12 million jobs is backed by three economic studies — and none of the studies actually says what the campaign says it does. The (implausible) claim that tax cuts would add 7 million jobs was a 10-year estimate, not a 4-year estimate; the 3 million jobs figure for energy was a prediction of what would happen under current policy, not what Romney would add; the 2 million “get tough with China” estimate had nothing to do with what Romney is proposing.

 

So they’re just faking it — the same way they have with the “six studies” supposedly validating the tax plan, four of which aren’t studies and one of which actually validates the critics.

What’s amazing here is the contempt the campaign is showing for the voters and the media. Unfortunately, that contempt may be justified.

 

16 ottobre 2012Bugie, dannate bugie, e posti di lavoro.  

Ah. Apprendiamo tramite Greg Sargent che la campagna elettorale di Romney è una menzogna, a proposito dei posti di lavoro.

Sto usando il termine con cognizione di causa. Io non intendo dire che non credo ai proclami di Romney su quanto le sue politiche potranno realizzare; non lo credo, ma questa è una questione distinta, si può essere o non essere d’accordo su cose del genere.

Quello che intendo, invece, è che la propaganda elettorale sta sostenendo che l’asserzione di Romney secondo la quale il suo piano creerebbe 12 milioni di posi di lavoro è sorretta da tre ricerche economiche – e nessuna di quelle ricerche in effetti dice quello che la propaganda vorrebbe loro far dire. La pretesa (inverosimile) che gli sgravi fiscali aumenterebbero di 7 milioni i posti di lavoro era una stima su dieci anni e non su quattro; il numero di  tre milioni  di posti di lavoro dal settore dell’energia erano una previsione che doveva realizzarsi nella attuali condizioni, per la quale Romney non avrebbe aggiunto niente; la stima di due milioni che deriverebbero “dall’esser duri con l Cina” non ha niente a che fare con quanto Romney sta proponendo.

Dunque, stanno solo dicendo il falso – nello stesso modo nel quale dicono il falso a proposito dei “sei studi” che si suppone convalidino il piano fiscale, quattro dei quali non sono studi ed uno che di fatto convalida le critiche.

 

Quello che è incredibile è il disprezzo di questa propaganda nei confronti degli elettori e dei media. Sfortunatamente, è un disprezzo che può avere giustificazioni.

 

 

 

 

October 17, 2012, 7:14 am

Chicken Hawk Down

So, do we get to invoke Catch-22, and call him Mitt Binderminder? Especially because his story about seeking out women appears to be false?

Anyway, I’d like to throw in my two cents on Romney’s most easily demonstrated blunder, his claim that Obama waited two weeks before calling the Benghazi attack an act of terror. Maybe you have to remember the Bush administration to realize just how NOT accidental this blunder was; in at least two ways it went to the heart of the modern right-wing identity.

First, there’s the notion that posturing and talking tough is what it’s all about. Bush, you may recall, was hailed as a fighter against terrorism because he, well, gave tough-talking speeches. I mean, he stood on a mound of rubble and pledged to get Osama dead or alive. Somehow, for his devotees, this made him a hero even though he never got Osama either way, and in fact showed remarkably little interest in pursuing the people actually responsible for 9/11.

And conversely, remember that a large part of Romney’s campaign has been based on the false claim that Obama “apologized for America”. This supposed verbal weakness is supposed to trump the reality that Obama, you know, actually did get bin Laden.

So naturally Romney tried to go after Obama not for what he did or didn’t do, but for his supposed failure to talk tough enough.

But then how did Romney get it so wrong? And if you read the transcript, by the way, Obama was clearly enjoying this — it seems as if he knew what was coming:

MS. CROWLEY: Governor, if you want to reply just quickly to this, please.

MR. ROMNEY: Yeah, I — I certainly do. I certainly do. I — I think it’s interesting the president just said something which is that on the day after the attack, he went in the Rose Garden and said that this was an act of terror. You said in the Rose Garden the day after the attack it was an act of terror. It was not a spontaneous demonstration.

PRESIDENT OBAMA: Please proceed.

MR. ROMNEY: Is that what you’re saying?

PRESIDENT OBAMA: Please proceed, Governor.

MR. ROMNEY: I — I — I want to make sure we get that for the record, because it took the president 14 days before he called the attack in Benghazi an act of terror.

PRESIDENT OBAMA: Get the transcript.

MS. CROWLEY: It — he did in fact, sir.

So let me — let me call it an act of terrorism — (inaudible) —

PRESIDENT OBAMA: Can you say that a little louder, Candy? (Laughter, applause.)

MS. CROWLEY: He did call it an act of terror.

Amazing. But here’s where the second piece of the right-wing mentality comes in. They know, just know, that Democrats are wimps on national security. Hey, they care about the poor, they have some qualms about torture. So inside the right-wing bubble it’s just a known fact that Obama can’t have called terror by its true name.

And so Romney tried to exploit a not-great moment in Obama foreign policy, and ended up making a fool of himself.

 

17 ottobre 2012Sotto il falco, un pollo. 

Dunque, dobbiamo invocare un Catch-22 [77] e chiamarlo Mitt Binderminder [78]? In particolare, in considerazione del fatto che la sua storia sul cercare donne (per la Bain) sembra esser falsa?

In ogni caso, mi piacerebbe dire la mia sul più evidente errore marchiano di Romney, la sua affermazione secondo la quale Obama aveva atteso due settimane per definire l’attacco di Bengasi come un atto di terrorismo. Forse si deve ricordare la Amministrazione Bush per comprendere quanto non sia stato accidentale quello sbaglio; in almeno due sensi esso va al cuore della attuale identità della destra.

 

In primo luogo, c’è l’idea che atteggiarsi e parlare da duri sia tutto. Bush, come ricordate, veniva acclamato come un combattente contro il terrorismo perché, insomma, faceva discorsi duri. Voglio dire, egli si ergeva su una montagna di detriti e prometteva che avrebbe preso Osama, vivo o morto. In qualche modo, per i suoi fanatici, questo fece di lui un eroe, anche se egli non prese Osama i alcun modo, e nei fatti mostrò un interesse assai modesto nel perseguire gli individui realmente responsabili dell’11 settembre.

 

E, di contro, ricorderete che una larga parte della campagna elettorale di Romney è stata basata sulla falsa pretesa secondo la quale Obama “andava in giro a chiedere scusa per l’America”. Quella presunta debolezza verbale si pensava potesse prevalere sul dato di fatto che Obama, come sapete, Bin Laden l’aveva preso per davvero.

E’ stato dunque con naturalezza che Romney ha cercato di attaccare Obama non per quello che ha fatto o non ha fatto, bensì per il suo presunto difetto di non parlare con sufficiente durezza.

 

Ma allora come ha fatto Romney a fare uno sbaglio del genere? Per inciso, tenete anche conto che, se leggete il resoconto, Obama stava chiaramente godendo di quel che accadeva, come se sapesse in anticipo cosa stava accadendo:

Sig.na Crowley [79]: Governatore, se vuole replicare rapidamente a questo, prego.

 

Romney: Si – lo faccio certamente, certamente. Io penso sia interessante che il Presidente abbia appena detto qualcosa secondo la quale nel giorno dopo l’attacco, egli andò nel Rose Garden [80] e disse che questo era stato un atto di terrorismo. Lei disse nel Rose Garden, il giorno dopo, che l’attacco era stato un atto di terrore. Che non era stata una manifestazione spontanea.

 

Presidente Obama: Vada avanti, prego.

 

Romney: Quello è quanto lei disse?

 

Presidente Obama: Per favore, vada avanti, Governatore.

 

Romney: Io ….. io ….. voglio accertare quello che abbiamo compreso, per la cronaca, perché ci vollero 14 giorni al Presidente, prima che egli dicesse che l’attacco di Bengasi era stato un atto di terrorismo.

 

Presidente Obama: Prenda la trascrizione.

 

Sig.na Crowley: Esso …. Egli lo fece, signore. Mi permetta – mi permetta di definirlo un atto di terrorismo …( incomprensibile)  …

 

Presidente Obama: Può dirlo un po’ più forte, Candy? (Risate, applausi)

 

Sig.na Crowley: Lo chiamò un atto di terrorismo.

 

 

Incredibile. Ma ecco che arriva la seconda parte della mentalità della destra. Loro sanno, semplicemente sanno, che i Democratici sono dei vili in materia di sicurezza nazionale. Sapete, si preoccupano dei poveri, hanno degli scrupoli sulla tortura … Dunque, nel mondo fantastico della destra è semplicemente un fatto conosciuto che Obama non può avere chiamato il terrorismo col suo nome.

E così  Romney ha cercato di sfruttare un non grande momento nella politica estera di Obama e ha finito col rendersi sciocco.

 

 

 

October 17, 2012, 7:22 am

Itsy Bitsy Bain

OK, this is just bizarre. Romney in the debate:

 

And then let’s take the last one, championing small business. Our party has been focused on big business too long. I came through small business. I understand how hard it is to start a small business. That’s why everything I’ll do is designed to help small businesses grow and add jobs. I want to keep their taxes down on small business. I want regulators to see their job as encouraging small enterprise, not crushing it.

Now, as I understand it, Romney first went to work for Bain and Company, a management consultancy. Then he founded Bain Capital, the private-equity spinoff that took him from being rich — his starting point — to being incredibly rich.

This merits the claim, ” I came though small business”???

 

17 ottobre 2012La minuscola Bain 

Va bene, questo è soltanto bizzarro. Romney nel corso del dibattito:

“E poi consideriamo l’ultimo aspetto, a proposito di sostegno alla piccola impresa. Il nostro partito si è focalizzato troppo a lungo sulla grande impresa. Mi sono fatto le ossa nella piccola impresa. Capisco quanto sia difficile far partire una piccola impresa. Questa è la ragione per la quale tutto quello che farò sarà rivolto ad aiutare le piccole imprese a crescere ed a aumentare i posti di lavoro. Io voglio abbassare le tasse sulle piccole imprese. Voglio che quelli che fanno le regole facciano il loro lavoro per incoraggiare le piccole imprese, non per schiacciarle”.

Ora, da quanto ho capito, Romney in un primo tempo andò a lavorare alla Bain and Company, una società di consulenza nella gestone aziendale. Poi fondò la Bain Capital, la “private-equity” derivata che lo trasformò da ricco – come era in partenza – a incredibilmente ricco.

E questo merita la affermazione “Mi sono fatto le ossa nella piccola impresa” ???

 

 

 

 

 

 

October 17, 2012, 10:14 am

Financial Crisis Denialism

People have been asking me for a while to respond to John Taylor’s claim that financial-crisis-induced recessions aren’t characterized by slow recovery. It’s a very convenient claim for Romney/Ryan, of course, because if true it eliminates the best excuse for lackluster performance under Obama.

Well, Reinhart and Rogoff, who literally wrote the book on crises and their aftermath, have weighed in, and they’re not happy. They have two main complaints, both of which are completely valid.

The first is that looking at the rate of recovery from the trough is a very peculiar criterion — especially when, as Taylor does, you look only at the first year (!) of recovery. By this standard, the New Deal was a tremendous success story, because growth was fast in 1933-4. Never mind the fact that pre-crisis per capita GDP wasn’t restored for more than a decade. As R-R say, surely the relevant comparison is with the pre-crisis peak, especially given the fact that post-crisis economies often suffer periods of relapse (as is happening in Europe now).

The second is that Taylor is awfully free in designating recessions as the result of financial crisis. He counts 1973 and 1981 as financial crises, to which the only answer if you know your history is, what on earth is he talking about? These were both disinflation recessions, caused more or less deliberately by the Fed; the Fed pushed interest rates very high to calm prices, and a V-shaped recovery took place once the Fed decided we had suffered enough. This isn’t hindsight: the contrast between those kinds of recessions and the slump following the bursting of a housing bubble was the reason many of us predicted a long, slow recovery well in advance. (It’s been even slower than I predicted back then, but in early 2008 I didn’t realize how bad the debt overhang was).

 

Call this another example of how politicization is hurting economics. The proposition that financial crises change macroeconomic outcomes is surely one of the big things we’ve learned in recent years. Yet here we have well-known economists refusing to listen and throwing out misleading studies, which just happen to be convenient politically.

 

17 ottobre 2012Il negazionismo della crisi finanziariaE’ un po’ che le persone mi chiedono di rispondere alla affermazione di John Taylor [81], secondo la quale le recessioni provocate da crisi finanziarie non sono caratterizzate da una ripresa lenta. Si tratta di una affermazione assai comoda per Romney/Ryan, ovviamente, perché se fosse vera toglierebbe fondamento alla migliore giustificazione per i fiacchi risultati della amministrazione Obama.Ebbene, Reinhart e Rogoff, che scrissero effettivamente il libro sulle crisi e sulle loro conseguenze, sono intervenuti sulla questione [82], e non si sono affatto detti contenti. Hanno espresso due principali lamentele, entrambe del tutto valide.

La prima è che guardare ai ritmi della ripresa dai punti più bassi [83] è un criterio piuttosto curioso – specialmente se, come fa Taylor, si considera soltanto il primo anno (!) della ripresa. Con questo criterio, il New Deal sarebbe una stupefacente storia di successo, perché negli anni 1933-34 la ripresa fu rapida. Non cont(erebbe) il fatto che  il PIL procapite precedente alla crisi non venne ripristinato che dopo un decennio. Come Reinhart e Rogoff dicono, è sicuro che il confronto rilevante è con il picco  precedente alla crisi, specialmente considerato il fatto che dopo le crisi le economie spesso soffrono di periodi di ricaduta (come sta accadendo in Europa adesso).

La secondo è che Taylor è estremamente libero nell’individuare le recessioni come risultato di crisi finanziarie. Egli annovera il 1973 ed il 1981 come crisi finanziarie, alla qual cosa chi conosce la storia può solo rispondere di quale mai pianeta stia egli parlando? Quelle furono entrambe recessioni da disinflazione, provocate più o meno deliberatamente dalla Fed; la Fed spinse i tassi di interesse in alto per calmare i prezzi, e la ripresa a forma di V ebbe luogo una volta che la Fed aveva deciso che la sofferenza era stata sufficiente. Questo non è un ragionamento col senno di poi: il contrasto tra quelle recessioni e la crisi successiva all’esplosione di una bolla immobiliare era stata la ragione per la quale molti di noi avevano previsto molto in anticipo una crisi lunga e lenta (essa è stata persino più lenta di quanto avessi allora previsto,  ma agli inizi del 2008 non avevo compreso quanto fosse negativa la sovraesposizione del debito).

Si può considerare questo un altro esempio di quanto la politicizzazione fa male all’analisi economica. Il concetto secondo il quale le crisi finanziarie modificano i risultati macroeconomici è certamente una della grandi cose che si sono apprese negli anni recenti. Tuttavia, ecco che abbiamo ben noti economisti che si rifiutano di ascoltare e buttano lì studi  fuorvianti, che guarda caso sono solo  politicamente convenienti.

 

 

 

 

October 29, 2012, 5:20 pm

Cliff Confusions

While I have access, let me point you to an excellent post by Suzy Khimm making a point I should have made: the only reason to worry about the fiscal cliff is if you’re a Keynesian, who thinks that bringing down the budget deficit when the economy is already depressed makes the depression deeper. And the same logic actually says that we should not just avoid spending cuts, we should raise spending right now.

What Khimm doesn’t mention is that a lot of the Very Serious People don’t seem to get that. As Jon Chait pointed out, finance bigwigs published an utterly ludicrous letter claiming that the risk from the fiscal cliff is that interest rates might spike — which is completely off base. The only way I can make sense of that letter is cognitive dissonance — they’re so wedded to the notion that the danger is that the invisible bond vigilantes will scare off the confidence fairy that they can’t admit, even to themselves, that what’s really worrying them right now is straight Keynesian concerns.

And the supposed deficit hawks, who should be celebrating the prospect of such a big move in their direction, aren’t. Why? As Khimm suggests, this isn’t the deficit reduction they wanted — it was supposed to involve hurting the working class, not raising tax rates at the top (which were supposed to be cut!).

Call it a teachable moment.

 

29 ottobre 2012Confusioni sul precipizioOra che ho  accesso [84], fatemi indicare un eccellente post di Suzy Khimm che avanza un tema che avrei dovuto toccare: la solo ragione per preoccuparsi del rischio del “precipizio fiscale” [85] è quella di coloro che pensano, come i keynesiani,  che abbassando il deficit di bilancio quando l’economia è già depressa renda la depressione più profonda. E la stessa logica in effetti di dice che non solo si dovrebbero evitare i tagli alla spesa, ma nell’immediato si dovrebbe elevare la spesa pubblica.Quello che Khimm non ricorda è che una quantità di Persone Molto Serie non sembrano capirlo. Come ha sottolineato Jon Chait, i pezzi grossi della finanza hanno pubblicato una lettera completamente ridicola nella quale si sostiene che il rischio del “precipizio fiscale” possa essere quello di un picco dei tassi di interesse – il che è completamente privo di fondamento. L’unico modo nel quale posso trovare un senso in quella lettera è una sorta di dissonanza cognitiva [86] – essi sono così devoti all’idea che il pericolo sia quello che gli ‘invisibili guardiani dei bonds’ facciano fuggire la ‘fata turchina della fiducia’ [87] che non possono ammettere, persino con se stessi, che quello che in questo momento realmente li sta preoccupando siano schiette preoccupazioni keynesiane.

E non si vedono i presunti ‘falchi del deficit’, che dovrebbero salutare con soddisfazione la prospettiva di una grande mossa nella loro direzione. Perchè? Come Khimm suggerisce, questa non è la riduzione del deficit che vogliono – che si supponeva comportasse di colpire la classe lavoratrice, non si alzare le tasse sui più ricchi (che invece si voleva fossero tagliate!).

Diciamo che è un passaggio istruttivo

 

 

 

October 30, 2012, 10:10 am

Scoop Dupes

Well, we’re safe, comfortable — and trapped. I don’t know if you can drive across a downed power line that’s stretched right across your driveway, but I guess no point in trying. I hope PSE&G doesn’t take too many days to at least remove the line, never mind actually restoring power..

Limited blogging due to limited bandwidth (and don’t be surprised if comment moderation lags, since both here and at the Times conditions are, shall we say, not ideal). But I thought I’d weigh in on this post by Brad DeLong.

Brad has fun with Jonathan Martin of Politico, who thinks that liberals will be deeply disheartened to learn that Nate Silver “admits” that he’s mainly relying on public polls for his forecast. Of course, Nate has been clear about that all along — and what should he be doing? And look: the message from the polls is very clear: national surveys show a tight race or a slight Romney lead, but state polls — which are telling us about the electoral vote — show a clear if narrow Obama advantage in enough states to win the electoral college. Those polls would have to be off, systematically, by about 2 percent for Romney to win. So the odds are in Obama’s favor.

 

Oh, and don’t quote some poll or other that seems to say different. Polls have a margin of error (duh). This means that if there are a lot of polls, say of Ohio, sheer luck of the draw will produce a couple of polls seeming to tell a different story. That’s why all the serious analysts rely on poll averages, and stick to those averages rather than picking and choosing.

But Martin’s tweet also reveals a broader issue in reporting, which I’ve commented on before, I think (no time to search): the unhealthy cult of the inside scoop.

A lot of political journalism, and even reporting on policy issues, is dominated by the search for the “secret sauce”, as Martin puts it: the insider who knows What’s Really Going On. Background interviews with top officials are regarded as gold, and the desire to get those interviews often induces reporters to spin on demand.

But such inside scoops are rarely — I won’t say never, but rarely — worth a thing. My experience has been that careful analysis of publicly available information almost always trumps the insider approach.

This is sort of obviously true in election season: in a vast, diverse country, no amount of talking with big shots (who are pushing an agenda) — or for that matter hanging out at campaign events and trying to assess the mood — is a substitute for polls that collectively sample tens of thousands of voters.

It’s even more obviously true on economic matters, where top officials basically work from the same data everyone else has, and a smart economist is almost always a better guide than the Minister of Silly Walks.

Remarkably, it has even been true for national security. Reporters with top-level access got completely snookered by the lies about Iraq, while many ordinary concerned citizens, looking at what we actually seemed to know, figured out early on that the Bush administration was cooking up a false case for war.

Now obviously there are some personal stakes here. If the right way to assess an election is by parsing the polls, this elevates nerds from nowhere at the expense of political reporters who spend their lives cultivating contacts, and really aren’t comfortable with numbers. And no doubt my own tribalism makes me especially sympathetic to nerds like me.

But I don’t think that’s all there is to what I’m saying. The truth is that anyone who understands numbers and has access to polling data is in a position to make a very informed judgment about the state of the race; and nobody who doesn’t understand numbers is in a position to do the same, no matter who he knows.

 

30 ottobreCreduloni in esclusivaBene, ora siamo al sicuro,  comodi e …. in trappola [88]. Non so se si può viaggiare oltre una linea elettrica  abbattuta, che si è strappata proprio sul vostro vialetto di accesso,  ma penso non ci sia alcun punto nel quale provare. Spero che la PSE&G [89] non impieghi troppi giorni almeno per rimuovere la linea, a parte il vero e proprio ripristino dell’elettricità …Il blogging limitato è dovuto alle limitate dimensioni della banda (e non siate sorpresi se il commento resta in qualche misura indietro, dal momento che sia qua che al Times le condizioni sono, diremmo, non ideali). Ma ho pensato di dover intervenire su questo post di Brad DeLong.

Brad si diverte con Jonathan Martin di Politico, il quale pensa che i liberal saranno profondamente scoraggiati nel leggere che Nate Silver [90]“ammette” di stare fondamentalmente basandosi, per le sue previsioni, su sondaggi pubblici. Nate è stato chiaro su quel punto sin dall’inizio – e cosa dovrebbe fare? E guardate: il messaggio dai sondaggi è molto chiaro: le indagini sull’intera nazione mostrano una competizione ravvicinata o una leggera superiorità di Romney, ma i sondaggi sugli Stati – che ci dicono cosa si può prevedere  sul voto elettorale [91] – mostrano un chiaro ancorché  stretto vantaggio di Obama sufficiente a determinare la vittoria nel collegio elettorale. Questi ultimi sondaggi dovrebbero essere sistematicamente squilibrati di circa un 2 per cento a favore di Romney per una sua vittoria. Dunque, le probabilità sono a favore di Obama.

E non consideriamo alcuni sondaggi qua e là che sembrano dire cose diverse. I sondaggi hanno un margine di errore  (guarda un po’!). Questo significa che se ci sono molti sondaggi, ad esempio sull’Ohio, per mera casualità se ne produrranno un paio che sembrano raccontare un esito diverso. Quella è la ragione per la quale gli analisti seri si basano sulle medie dei sondaggi, e si affidano a quelle medie anziché sceglierne  o estrarne alcuni.

Ma il cinguettio di Martin  [92] mostra anche una tema più generale del giornalismo, sul quale penso mi ero intrattenuto in precedenza (ora non ho tempo per una ricerca): la morbosa mania della notizia in esclusiva per addetti ai lavori.

Una buona parte del giornalismo politico, ed anche dei servizi su temi politici, è dominato dalla ricerca dell’“ingrediente segreto”, come Martin lo definisce: l’addetto ai lavori che sa Quello che Realmente Sta Succedendo. Interviste sullo sfondo con importanti dirigenti  sono considerate come oro, ed il desiderio di avere quelle interviste spesso induce i cronisti a dare interpretazioni con le domande.

Ma tali notizie in esclusiva per addetti sono raramente – non voglio dire mai, ma raramente – meritevoli di alcunché. La mia esperienza è stata che analisi scrupolose sulle informazioni pubblicamente disponibili sono quasi sempre vincenti su approcci riservati.

Questa è in certo qual modo un’ovvietà in queste elezioni: in un paese grande e vario, nessun chiacchierata con persone importanti (persone che stanno dando impulso ad una agenda) – o che per una qualche aspetto bazzicano gli eventi della campagna elettorale e cercano di stimarne gli umori – è un sostituto di sondaggi che testano decine di migliaia di votanti.

E’ una ovvietà anche più grande sulle questioni economiche, dove i massimi dirigenti fondamentalmente operano sugli stessi dati che ognuno possiede, ed un intelligente economista è quasi sempre una guida migliore del Ministro dei Passi Sciocchi [93].

 

In modo rilevante, questo è stato persino vero per la sicurezza nazionale. Giornalisti con accesso ai livelli più elevati sono rimasti completamente fregati dalla bugie sull’Iraq, mentre molti ordinari preoccupati cittadini, guardando a quello che effettivamente sembrava potersi comprendere, intuirono subito che la Amministrazione Bush si era inventato un pretesto per la guerra.

Ora è evidente che qua ci sono alcune scommesse personali. Se il modo giusto per  valutare una elezione è attraverso la analisi dei sondaggi, questo accresce l’importanza di individui qualunque [94] a spese dei giornalisti di cose politiche che passano la vita a coltivare contatti, e non si trovano proprio a loro agio con le statistiche. E non c’è dubbio che il mio personale spirito di corpo mi rende particolarmente vicino a quegli individui qualunque, ai quali assomiglio.

Ma non penso che quello sia tutto quanto mi preme dire. La verità è che ognuno che capisca i dati ed abbia accesso ai risultati dei sondaggi è nella posizione di esprimere un giudizio assai fondato sullo stato della competizione; e nessuno di coloro che non comprendono  i dati  è nella condizione di fare lo stesso, a prescindere dalle persone che conosce.

 

 

 

 

 

 

October 31, 2012, 12:41 pm

Disasters and Politics

So, the good news is that we’re no longer trapped — the power line is still across our driveway, but the power is off. The bad news is that something — weather? — has made my fragile link to the web from home even iffier. I’m out right now, and able to blog, but only briefly.

So let me just take a moment to flag an issue others have been writing about: the weird Republican obsession with killing FEMA. Kevin Drum has the goods: they just keep doing it. George Bush the elder turned the agency into a dumping ground for hacks, with bad results; Clinton revived the agency; Bush the younger ruined it again; Obama revived it again; and Romney — with everyone still remembering Brownie and Katrina! — said that he wants to block-grant and privatize it. (And as far as I can tell, even TV news isn’t letting him Etch-A-Sketch the comment away).

There’s something pathological here. It’s really hard to think of a public service less likely to be suitable for privatization, and given the massive inequality of impacts by state, it really really isn’t block-grantable. Does the right somehow imagine that only Those People need disaster relief? Is the whole idea of helping people as opposed to hurting them just anathema?

 

It’s a bit of a mystery, calling more for psychological inquiry than policy analysis. But something is going on here.

 

31 ottobre 2012I disastri e la politicaDunque, la buona notizia è che non siamo più intrappolati – la linea elettrica è ancora abbattuta di traverso sul vialetto, ma l’elettricità funziona. La cattiva notizia è che qualcosa – il tempo? – ha reso la mia debole connessione al web persino più incerta. Ora mi collego bene, e posso usare il blog, ma solo brevemente.Consentitemi di prendere un momento per segnalare una questione sulla quale altri hanno scritto: la strana ossessione repubblicana per la liquidazione della FEMA [95]. Kevin Drum dice la cosa giusta: semplicemente i repubblicani continuano sulla loro linea. George Bush padre trasformò l’Agenzia in un ricettacolo per politicanti; Clinton la rimise in vita; Bush il giovane la distrusse nuovamente; Obama la ricostruì un’altra volta; e Romney – nel mentre tutti ancora ricordano Brownie [96]e Katrina – ha detto che egli intende finanziarla a fondo perduto e privatizzarla (e per quanto posso dire, persino il notiziario televisivo non gli sta consentendo di “cancellare”  quel commento).

In ciò c’è qualcosa di patologico. E’ veramente difficile pensare ad un servizio pubblico meno adatto ad una privatizzazione, e data la enorme ineguaglianza degli impatti a seconda degli Stati, si tratta di una funzione che davvero non è finanziabile a fondo perduto. In qualche modo la destra si immagina che solo Quelle Persone [97]abbiano bisogno di soccorsi nelle emergenze? E’ proprio un anatema l’intera idea di aiutare la gente, anziché di farle del male?

 

C’è qualcosa di misterioso, che chiede più una indagine psicologica che non un’analisi politica. Ma c’è qualcosa che va avanti su questo terreno.

 

 

 

 

 

 

 

November 2, 2012, 1:34 pm

Karl Rove’s Mission Accomplished

The estimable Rick Perlstein has a fascinating essay about the seamless continuum from direct-mail marketing scams to direct-mail right-wing fundraising, and from there to the whole character of modern movement conservatism. Go read. I didn’t know, for example, that heroes of direct-mail fundraising like Richard Viguerie ended up delivering hardly any of the money to political causes; somehow it ended up swallowed by overhead, otherwise known as the fundraisers themselves.

 

And although Perlstein doesn’t make this point, I suspect that his analysis explains one of the great mysteries of 2012: the failure of the great Rove/Citizens United juggernaut to materialize.

Remember how Rove and others were supposed to raise vast sums from billionaires and corporations, then totally saturate the country with GOP messaging, drowning out Obama’s message? Well, they certainly raised a lot of money, and ran a lot of ads. But in terms of actual number of ads the battle has been, if anything, an Obama advantage. And while we don’t know what will happen on Tuesday, state-level polls suggest both that Obama is a strong favorite and, much more surprising, that Democrats are overwhelmingly favored to hold the Senate in a year when the number of seats at risk was supposed to spell doom.

Some of this reflects the simple fact that money can’t help all that much when you have a lousy message. But it also looks as if the money was surprisingly badly spent. What happened?

Well, what if we’ve been misunderstanding Rove? We’ve been seeing him as a man dedicated to helping angry right-wing billionaires take over America. But maybe he’s best thought of instead as an entrepreneur in the business of selling his services to angry right-wing billionaires, who believe that he can help them take over America. It’s not the same thing.

And while Rove the crusader is looking — provisionally, of course, until the votes are in — like a failure, Rove the businessman has just had an amazing, banner year.

What’s more, this makes sense of the embarrassing Rove “we’re winning! trust me!” piece in the WSJ, especially notable because — as Sam Wang recalls — Rove so famously declared that he had THE MATH just before the GOP debacle in 2006. It’s hard to think of any good reason to pretend that Romney has it in the bag — unless that pretense gets you one last big slug of business before Election Day.

 

OK, this is just speculation. Maybe Rove is really a selfless true believer, his actions untainted by self-interest. Still, it’s kind of an interesting perspective.

 

2 novembre 2012La missione compiuta di Karl Rove

L’apprezzabile Rick  Perlstein pubblica un saggio affascinante sull’ininterrotto continuum, dagli imbrogli dal mercato delle spedizioni pubblicitarie alla raccolta di fondi elettorali da parte  della destra tramite spedizioni postali, e da dì all’intero carattere del moderno movimento conservatore. Andate a leggerlo. Io, ad esempio, non sapevo che gli eroi delle raccolte di fondi elettorali come Richard Viguerie avevano finito con il devolvere pesantemente una parte dei loro soldi a cause politiche; in qualche modo ciò ha finito con l’essere ingoiato dalle spese generali, che è come dire dai finanziatori stessi.

E, sebbene Perlstein non ponga questa questione, io ho il sospetto che la sua analisi spieghi uno dei grandi misteri del 2012: la mancata apparizione della grande “macchina da guerra” di Rove e di Citizens United [98] .

Ricordate come si pensava che Rove ed altri avrebbero raccolto somme dai miliardari e dalle imprese per  poi riempire l’intero paese con messaggi del Partito Repubblicano, sovrastando la propaganda di Obama? Ebbene, certamente hanno raccolto una quantità di denaro ed organizzato una quantità di inserzioni pubblicitarie. Ma, in termini di numero effettivo di pubblicità la battaglia è stata, semmai, a favore di Obama. E mentre non sappiamo cosa accadrà giovedì, i sondaggi al livello degli Stati indicano che Obama è in forte vantaggio e, più ancora sorprendentemente,  che i Democratici sono nettamente indiziati di mantenere il Senato, in un anno nel quale il numero dei seggi a rischio si pensava comportasse una disfatta.

In parte questo riflette il semplice fatto che il denaro non aiuta poi tanto, quando si ha un messaggio di infima qualità. Ma sembra anche che i soldi siano stati sorprendentemente mal spesi. Cosa è accaduto?

Ebbene, e se avessimo equivocato a proposito di Rove? Noi lo giudicavamo dedito ad aiutare i miliardari arrabbiati della destra ad impadronirsi dell’America. Ma forse egli aveva invece soprattutto ragionato come  un imprenditore  a capo di un’impresa che vende i suoi servizi ai miliardari arrabbiati della destra, che lo credono  utile ad aiutarli a prendere in mano l’America. Non è la medesima cosa.

E se il Rove crociato è sembrato – si parla in termini di previsioni, naturalmente, in attesa che si conoscano i voti – un fallimento, il Rove affarista ha appena conosciuto una eccellente, strabiliante annata.

Quello che più conta è che questo dà un significato all’imbarazzante articolo di Rove sul Wall Street Journal (“Stiamo vincendo, credetemi!”), specialmente rilevante perché – come ricorda Sam Wang – Rove aveva dichiarato con altrettanto clamore di avere la “matematica” dalla sua parte appena prima della debacle del Partito Repubblicano del 2006. E’ difficile pensare ad una qualche buona ragione per far finta che Romney abbia il risultato in tasca – a meno che quella pretesa non vi porti una ultima gran botta di affari prima dell’ Election Day.

E’ vero, queste sono solo ipotesi. Forse Rove è davvero un credente disinteressato e le sue azioni non sono macchiate da interesse personale. Tuttavia, è una sorta di interessante punto di vista.

 

 

 

 

 

 

November 3, 2012, 4:15 pm

Reporting That Makes You Stupid

Today’s Financial Times bears a banner headline on p.1: “US election hangs on a knife edge”. Aside from everything else, surely this gets the cliche wrong: you rest on a knife edge, don’t you? If you try to hang on one, I think you just cut off your fingers.

More important, though, this headline deeply misleads readers about the state of the race — and in so doing, it echoes a lot of political reporting right now. Quite simply, many of the “analysis” articles being published in these final days leave readers worse informed than they were before reading.

As Nate Silver (who has lately attracted a remarkable amount of hate — welcome to my world, Nate!) clearly explains, state polling currently points overwhelmingly to an Obama victory. It’s possible that the polls are systematically biased — and this bias has to encompass almost all the polls, since even Rasmussen is now showing Ohio tied. So Romney might yet win. But a knife-edge this really isn’t, and any reporting suggesting that it is makes you stupider.

Worse yet, some reporting tells readers things the reporters have to know aren’t true. How many stories have you seen declaring that “both sides think they’re winning”? No, they don’t: the Romney campaign is visibly flailing, trying desperately to find new fronts on which to attack Obama. They clearly know that it will take a miracle — sorry, a last-minute surge — to prevail on Tuesday. It’s OK, I guess, to report campaign spin; but surely it’s not OK to report campaign spin as the truth, which is what these stories are doing.

 

Again, as Nate says, it’s definitely possible that the polls are systematically wrong. The obvious ways they could go wrong, cell phones and Latinos, favor Obama rather than Romney; but maybe pollsters are overcompensating for these factors, or maybe there’s a large Bradley effect distorting poll responses. Reporting about these possibilities would be interesting.

 

But reporting that suggests that this is a too-close-to-call race doesn’t get at any of this; it’s just lazy, and a disservice to readers.

 

3 novembre 2012Resoconti che vi istupidiscono 

 

Il Financial Times di oggi reca un titolo di apertura a pagina 1: “Le elezioni americane appese al filo di un rasoio”. A parte ogni altra considerazione, in questo modo sicuramente si avanza un cliché sbagliato: si sta su un filo di rasoio, non è così? Se cercate di appendervi ad un filo di rasoio, penso che vi tagliate le dita.

Più importante, tuttavia, questo titolo è profondamente fuorviante nei confronti dei lettori sullo stato della competizione – e, così facendo, echeggia gran parte dei resoconti politici di questo periodo. Piuttosto semplicemente, molti degli articoli “di analisi” che vengono pubblicati in questi giorni finali lasciano i lettori peggio informati di quanto non fossero in precedenza.

Come chiaramente spiega Nate Silver [99](che recentemente ha attratto considerevoli dosi di odio – benvenuto nel mio mondo, Nate!), i sondaggi degli Stati attualmente mostrano una vittoria schiacciante di Obama. E’ possibile che i sondaggi siano sistematicamente prevenuti – e un tale pregiudizio deve ricomprendere quasi tutti i sondaggi, dal momento che persino Rasmussen ora mostra l’Ohio alla pari. Dunque, Romney potrebbe ancora vincere. Ma non si tratta certamente di un filo di rasoio, ed ogni resoconto che suggerisce ciò semplicemente vi rende più stupidi.

Ancora peggio, alcuni resoconti raccontano ai lettori cose che i giornalisti non possono non sapere che non sono vere. Quanti racconti avete letto che dichiarano che “entrambi gli schieramenti pensano di essere vicini alla vittoria”? No, non è così: la campagna elettorale di Romney è in evidente stato di agitazione, cercando disperatamente di trovare nuovi fronti sui quali attaccare Obama. Sanno chiaramente che gli ci vorrebbe un miracolo – scusate, voglio dire una risalita all’ultimo minuto – per prevalere giovedì. Suppongo che questa vada bene come resoconto dei volteggi della campagna elettorale; ma sicuramente non va bene se si vogliono presentare i volteggi della campagna elettorale come la verità, che è quello che si sta facendo con questi racconti.

Sempre come dice Nate, alla fine è possibile che i sondaggi siano sistematicamente sbagliati. Alcuni modi ovvi nei quali essi potrebbero sbagliare, i telefoni cellulari ed i Latinos, favoriscano Obama piuttosto che Romney; ma forse i sondaggisti stanno applicando compensazioni supplementari per questi  fattori, o forse c’è un vasto “effetto Bradley” [100] che distorce  le risposte ai sondaggi. Resoconti su queste possibilità sarebbero interessanti.

Ma resoconti che suggeriscono che questa sarebbe una competizione troppo ravvicinata per essere definita non fanno niente del genere; sono solo pigrizia ed un cattivo servizio per i lettori.

 

 

 

 

 

November 5, 2012, 8:05 pm

Macro Manners

Wow, it’s hard to post anything interesting today. Everything — not just in America, but around the world — hinges on what happens tomorrow. The odds seem to favor Obama heavily, with national polling having moved modestly but significantly in Obama’s favor over the past few days and state-level polling showing a clear electoral college lead; but I guess we’ll find out soon.

Meanwhile, via Mark Thoma, Simon Wren-Lewis worries whether he has been too rude toward policy makers who forced a turn toward austerity in 2010, helping to derail recovery in advanced countries.

As Wren-Lewis says, objectively there’s every reason to be very angry: policy makers threw out everything we’ve learned about business cycles these past 80 years in favor of doctrines that made them feel comfortable — and millions of workers paid the price. But should we cut them some slack nonetheless?

This is basically an operational question; as Mark says, the goal is to change minds — although the big question there is whether you’re trying to change the minds of the policy makers themselves, or the minds of other people, so we can get a new and better set of policy makers.

But even given that, it matters what niche you yourself fill in the intellectual ecology. Insider-type positions, like that of being the senior economist at the IMF, require tact and euphemisms. Outsider positions, like that of being an iconoclastic columnist at the New York Times, require a lot of effort to get peoples’ attention. It wasn’t nice to characterize the doctrine of expansionary austerity as belief in the confidence fairy, but I do believe that it focused the discussion in a way that a less caustic approach would not have achieved.

And one more point: writing effectively requires that you have a voice, that the passion shows — and too much self-censorship can get in the way, making the writing dull and stiff. Obviously no four-letter words — and while I may sometimes envy Matt Taibbi his vampire squid, rudeness in my part of the commentariat has to be within certain bounds. But pretending to respect views that you don’t isn’t, and shouldn’t, be part of the job description for economists trying to grapple with these important issues.

 

5 novembre 2012Comportamenti macroE’ proprio difficile inviare post di un qualche interesse oggi. Ogni cosa dipende – non solo in America, ma dappertutto nel mondo – da cosa succede domani. Le probabilità sembrano a favore di Obama, con i sondaggi nazionali che si sono spostati modestamente ma significativamente a favore di Obama nei giorni passati e quelli al livello degli Stati che mostrano una chiara maggioranza per lui nel collegio elettorale [101]; ma suppongo che lo scopriremo presto.

Nel frattempo, tramite Mark Thoma, Simon Wren-Lewis si preoccupa d’essere stato troppo aspro verso gli uomini politici che nel 2010 costrinsero ad una svolta in direzione dell’austerità, dando un contributo a far uscire di strada la ripresa nei paesi avanzati.

Come dice Wren-Lewis, c’erano tutte le ragioni per essere sul serio arrabbiati: gli operatori politici buttarono via tutto quello che sapevamo dagli ultimi 80 anni sui cicli economici, a favore di dottrine che li facevano sentire a loro agio – e milioni di lavoratori ne hanno pagato il prezzo. Nondimeno, dovevamo far loro qualche sconto?

Si tratta alla base di una questione pratica; come dice Mark, l’obbiettivo è cambiare le mentalità – sebbene in quel caso la vera domanda sia se si sta cercando di cambiare la mentalità degli uomini politici stessi, oppure la mentalità di tutti gli altri, in modo da poter ottenere una nuova e migliore composizione della classe politica.

Ma, anche considerato ciò, conta quale nicchia nell’ecologia intellettuale intendete riservare a voi stessi. Posizioni del genere degli addetti ai lavori, come quella di essere economisti di primo piano presso il FMI, richiedono garbo ed eufemismi. Posizioni più esterne, quale quella di un articolista iconoclasta presso il New York Times, richiedono molto impegno per attirare l’attenzione della gente. Non è stato gentile caratterizzare la dottrina della austerità espansiva come la fede nella ‘fata turchina della fiducia’, ma sono convinto che in quel modo si sia messo a fuoco il dibattito e che non lo si sarebbe ottenuto con un approccio meno caustico.

Ed un aspetto ancora: effettivamente per scrivere vi serve una voce, che si veda la vostra passione – e troppa autocensura può rendervi insipido e rigido. Naturalmente non si tratta di essere volgari [102] – e se talvolta posso invidiare lo stile da ‘calamaro vampiro” di Matt Taibbi [103], la crudezza nel mio settore di giornalismo deve stare entro certi limiti. Ma pretendere di rispettare opinioni che non rispettate  non fa parte del compito del raccontare le cose cercando di battersi per temi importanti, proprio degli economisti. Né dovrebbe essere così.

 

 

 

 

 

 

November 7, 2012, 2:08 am

The Real Real America

So, for a while there during the campaign it seemed very iffy. But in the end, discipline and being on the right side of the issues prevailed. Yes, Elizabeth Warren won!

Oh, and that guy Obama too.

Tomorrow — or I guess today — comes the cleanup; when thousands, perhaps millions, of right-wing heads explode, it makes quite a mess. Also, notice that the polls were right. I wonder if I can get invited when Nate Silver is sworn in as president?

OK, somewhat more seriously: one big thing that just happened was that the real America trumped the “real America”. And it’s also the election that lets us ask, finally, “Who cares what’s the matter with Kansas?”

For a long time, right-wingers — and some pundits — have peddled the notion that the “real America”, all that really counted, was the land of non-urban white people, to which both parties must abase themselves. Meanwhile, the actual electorate was getting racially and ethnically diverse, and increasingly tolerant too. The 2008 Obama coalition wasn’t a fluke; it was the country we are becoming.

And sure enough that more diverse and, if you ask me, better nation just won big.

Notice too that to the extent that social issues played in this election, they played in favor of Democrats. Gods, guns, and gays didn’t swing voters into supporting corporate interests; instead, human dignity for women swung votes the other way.

A huge night for truth, justice, and the real American way.

 

7 Novembre 2012Proprio l’America  veraDunque, per un certo periodo la cosa durante la campagna elettorale è sembrata molto incerta. Ma alla fine ha prevalso la disciplina, nonché l’essere uno degli argomenti della destra. Si, Elizabeth Warren ha vinto!

Ehi, ed anche quel Tizio di Obama.

Domani – o dovrei dire oggi – sarà il momento delle pulizie; quando migliaia, forse milioni, di teste della destra salteranno, sarà un bel casino. Si noti, per giunta, che i sondaggi erano giusti. Mi chiedo se potrò ottenere di essere invitato quando Nate Silver giurerà come Presidente [104]?

Va bene, diciamo qualcosa di più serio: la cosa davvero grande che è accaduta è che la vera America l’ha avuta vinta sulla cosiddetta “vera” America [105]. E che queste elezioni, finalmente consentono a noi di chiedere “Chi se ne frega di cosa c’entra col Kansas?” [106].

Per un lungo tempo, le persone della destra – e qualche sedicente esperto – hanno spacciato l’argomento che la “vera America”, quella che davvero contava, era la terra della gente bianca delle aree rurali, alla quale entrambi i partiti dovevano pur riferirsi. Nel frattempo, l’elettorato effettivo stava diventando diverso, dal punto di vista razziale ed etnico, ed anche sempre più tollerante. Il risultato attorno ad Obama nel 2008 non fu un colpo di fortuna; era il paese che stavamo diventando.

Ed è evidente che quel diverso e, se volete la mia opinione,  migliore paese ha vinto alla grande.

Si noti anche che, nella misura in cui i temi sociali hanno avuto un ruolo in queste elezioni, essi hanno giocato in favore dei democratici. Dio, le armi ed i gay non hanno spostato gli elettori a sostenere gli interessi delle grandi imprese; piuttosto, il diritto alla dignità umana delle donne ha spostato voti nella direzione opposta.

Una stupenda nottata per la verità, per la giustizia e per il reale modo di essere degli americani.

 

 

 

November 7, 2012, 7:08 pm

Power-Mad Conservatives

Brad DeLong and others are having a lot of good clean fun ridiculing pundits who insisted, to the last, that their psychic guts perceived truths invisible to pollsters. And who knows? This ridicule may even serve a social purpose, making news organizations a bit less likely to treat these pundits as fonts of wisdom.

 

But I think there’s something else that needs discussing. The rejection of polling evidence wasn’t just a matter of wishful thinking on the right; it was accompanied by intense rage. (Just look at my comment thread here, which now stands as a sort of historical marker of the lunacy of the campaign’s closing days — and you should have seen the stuff that didn’t make it through moderation!)

On the face of it, this makes no sense. The election was going to happen, and somebody was going to win. Why lash out so bitterly at people who you claimed to think would be revealed as fools in just a couple of days?

I’ll try to present some more coherent thoughts on a later occasion, but here’s my quick take: what we’ve just seen is a peek into the modern right-wing psyche, which is obsessed — more than anything else — with power. Policy is one thing; but equally or even more important is the sense of being with the winners, of being part of the team that will stamp its boots on the faces of the other guys. And while conservatives of that ilk would probably concede if pressed on it that there’s a difference between the perception of being on top and the reality determined in an election, emotionally they can’t separate the two: they perceive anyone suggesting that maybe they aren’t going to smash their opponents as a threat.

And we’re not just talking about teenagers blogging in their pajamas; look at Karl Rove’s temper tantrum on Fox.

I’m tempted to say that all the people who went wild over skewed polls, Nate Silver is evil, and so on need to seek counseling. But if I were to say that, this would even drive them crazier. So I won’t. Oh, wait.

 

7 novembre 2012Conservatori, fuori di testa per il potereBrad DeLong ad altri si stanno prendendo un po’ di sano divertimento mettendo in ridicolo quegli esperti che avevano insistito fino all’ultimo che i loro primordiali istinti psichici stavano percependo verità invisibili ai sondaggisti. E sapete cosa? Questa ironia può persino essere utile ad uno scopo sociale, facendo in modo che le reti dell’informazione siano un po’ meno disponibili a trattare questi esperti come fonti di saggezza.

Ma penso ci sia qualcos’altro che ha bisogno di essere dibattuto. Il rifiuto delle prove dei sondaggi non è stata solo una manifestazione del wishful thinking [107]della destraè stata accompagnata da una rabbia incontrollata (si veda semplicemente in questo link la discussione sul mio commento, che ora costituisce una sorta di indicatore storico della lunaticità dei giorni finali della campagna elettorale – e dovreste aver visto la roba che non ha superato i limiti delle regole di  moderazione [108]!)

A giudicare dalle apparenze, questo non ha senso. Le elezioni stanno per celebrarsi e qualcuno è destinato a vincere. Perché attaccare verbalmente con tale asprezza persone che avete sostenuto di credere si sarebbero rivelate di lì ad un paio di giorni dei semplici sciocchi?

Cercherò di avanzare qualche pensiero più organico in una successiva occasione, ma ecco la mia rapida impressione: quello che abbiamo appena dato è solo una sbirciata nella psiche della destra contemporanea, che è ossessionata – più di ogni altra cosa – dal potere. La politica è una cosa; ma egualmente e persino più importante è il senso di essere dalla parte dei vincitori, di essere dalla parte della squadra che calcherà gli stivali sulle facce degli avversari. E mentre i conservatori di quello stampo probabilmente ammetterebbero, se si insiste, che c’è una differenza tra la percezione di essere in cima (alla scala sociale)e la realtà stabilità in un risultato elettorale, emozionalmente non possono distinguere le due cose: percepiscono chiunque sostenga che forse non sono destinati a sgominare i propri avversari, come una minaccia.

E non stiamo solo parlando di adolescenti che stanno scrivendo su Internet mentre sono in pigiama: si veda su Fox lo scatto d’ira di Karl Rove.

Io sono tentato di dire che tutta la gente che è andata fuori dai gangheri per i sondaggi tendenziosi, che pensa che Nate Silver sia diabolico e via di seguito, abbia bisogno di assistenza psichica. Ma se lo dicessi, questo li farebbe diventare anche più furiosi. Dunque non lo farò. Basta aspettare.

 

 

 

 

 

November 8, 2012, 9:00 pm

Deficit Hawks Down — Please

One big question looking forward is whether Obama will once again turn to the Beltway-insider deficit hawks for alleged wisdom. Let’s hope not.

For one thing, the election offered confirmation of something that was actually pretty obvious: some of the most self-righteous deficit hawks are actually much more concerned with using deficits as an excuse to dismantle the social safety net than with, you know, reducing deficits. Notably, David Walker decided, a week before the election, to endorse Mitt Romney — even though Romney had proposed a $5 trillion tax cut to be offset by loophole closing he declined to specify, not to mention an increase in defense spending the Pentagon said it didn’t need.

As an aside, Walker’s timing was interesting. If you were following the election quants, you already knew that Obama was a clear favorite to win — 3 to 1 according to Nate Silver, much more than that according to Sam Wang. So why would Walker — whose popular following might include some but not all of his immediate family — throw his support to the likely loser? Probably because he was listening to the wrong people, and actually believed the stuff about Romneymentum.

Yet despite what should have been a major discrediting of the whole deficit-hawk establishment, the word is that Wall Street is pushing for Obama to appoint Erskine Bowles as Treasury Secretary.

Erskine Bowles? The man who, charged with producing a deficit-reduction plan, decided that a key feature of this plan should be … cuts in marginal tax rates on high incomes? The man who warned, in dire terms, of a looming fiscal crisis, with soaring US borrowing costs, within two years — almost two years ago? Just for the record, here’s how it’s going:

z 32

As I said, let’s hope that Obama knows better than to give these people any credence.

 

8 novembre 2012Per favore, i falchi del deficit  no.Guardando avanti, una grande domanda è se Obama si rivolgerà ancora una volta ai falchi del deficit tra gli addetti ai lavori della Capitale, per la loro pretesa saggezza. Speriamo di no.

Da una parte, le elezioni hanno offerto una conferma di qualcosa che in effetti era abbastanza evidente: come sapete, alcuni dei più pretenziosi falchi del deficit sono effettivamente assai più preoccupati di usare i deficit come una scusa per smantellare le reti della sicurezza sociale che per ridurre i deficit stessi. In particolare, David Walker [109] ha deciso, una settimana prima delle elezioni, di appoggiare Mitt Romney – anche se Romney aveva proposto sgravi fiscali per 5 mila miliardi di dollari da bilanciare con la chiusura di elusioni fiscali che si rifiutava di specificare, per non dire di un incremento della spesa pubblica sulla difesa di cui il Pentagono aveva dichiarato di non aver bisogno.

Tra parentesi, è stato interessante il tempismo di Walker. Se stavate seguendo le analisi quantitative sulle elezioni, eravate già al corrente che Obama era chiaramente favorito come vincitore – 3 ad 1 secondo Nate Silver, assai di più di quanto prevedeva Sam Wang. Perché, dunque, Walker – il sui seguito popolare può includere alcuni ma non tutti della sua stretta parentela – ha voluto are il suo sostegno al probabile perdente? Probabilmente perché ascoltava le persone sbagliate, ed effettivamente credeva alle storie sulla ‘occasione di Romney’.

Tuttavia, nonostante quello che dovrebbe essere risultato come un importante demerito per l’intero establishment dei falchi del deficit, la voce è che Wall Street stia facendo pressioni perché Obama nomini Erskine Bowles [110] come Segretario al Tesoro.

Erskine Bowles? L’uomo che, incaricato di produrre un piano di riduzione del deficit, aveva deciso che un aspetto fondamentale di questo piano sarebbero stati … i tagli delle aliquote fiscali marginali sui redditi alti? L’uomo che due anni fa aveva ammonito, con espressioni tremende, su una incombente crisi fiscale, con i costi dell’indebitamento degli Stati Uniti che dovevano salire alle stelle nel giro di due anni? Solo per memoria, ecco quanto è accaduto:

z 32

Come ho detto, speriamo che Obama abbia qualcosa di meglio da fare che dare credito a gente del genere.

 

 

 

 

 

November 9, 2012, 6:59 pm

The Simple Analytics of Invisible Bond Vigilantes (Wonkish)

I’ve been in several conversations over the past few days with generally reasonable people who are still worried that markets might turn on U.S. bonds any day now. I don’t think they’re right; but even if they are, I’m not clear what they believe would happen next. For the fact is that it’s much harder than most people seem to imagine to tell a Greece-type story about a country with its own currency and a floating exchange rate.

 

And since I was stuck on an airplane, I thought I might write up a very simple, old-fashioned model  making that point.

 

9 novembre 2012La semplice analitica  degli ‘invisibili guardiani dei bonds’ Sono stato impegnato nei giorni passati in vari dibattiti con persone in linea generale ragionevoli che sono ancora preoccupate che i mercati possano un giorno o l’altro rivoltarsi contro i bonds statunitensi. Non penso che abbiano ragione: ma se anche l’avessero, non mi è chiaro cosa pensano che accadrebbe i seguito a ciò. Perché il punto è che è molto più difficile di quanto gran parte delle persone sembrino immaginare raccontare una storia del genere di quella della Grecia per un paese che è provvisto della sua valuta e del suo tasso di cambio fluttuante.

 

E, dato che sono bloccato su un aeroplano, ho pensato che avrei potuto buttar giù un semplicissimo modello vecchia maniera che riguardi quell’argomento.

 

 

 

 

November 10, 2012, 8:26 am

Delusions of Reason

Brad DeLong sends me where I would normally never go — to an article on RedState, discussing what appears to have been a major case of death by consultant in the Romney campaign. It’s an interesting story — apparently they were drinking their own Kool-Aid, “unskewing” not just public polling but their own internal polls. But what struck me were some of the comments, this one in particular:

 

THANK YOU for bringing this to light. I’m starting to sound like a broken record here, but : DATA IS KILLING US.

We ARE the party of reason, and logic. We are the ones that actually know what we’re talking about, and stand firm. We need to run these charlatans out of town on a rail, and start over NOW. No more listening to wishful thinking polls ( *cough* Karl Rove, Scott Rassmussen *cough*). No more trusting the “elites”!

This has been a persistent delusion in certain parts of the right. Brad likes to tell the (second-hand) tale of Larry Lindsey arriving at the Council of Economic Advisers in 2001 and declaring that the people who really understood economics had arrived. A lot of 1-percent Romney supporters believed that only the unwashed masses could actually believe that Obama was making more sense on economic policy. And so on.

 

What’s so strange about this is that everything — everything — that has happened for the past decade has demonstrated the opposite. Modern Republicans are devotees of faith-based analysis on every front. On economics, in particular, they are devoted to supply-side fantasies that keep being refuted by evidence — and their reaction is to try to suppress the evidence. They’ve spent pretty much the whole past four years issuing dire warnings about inflation and soaring interest rates that keep not coming true; they cling to the belief that if only a Republican were in office we’d have a 1982-style recovery even though economists who actually studied past financial crises predicted the slow recovery in advance.

And don’t even get me started on climate change.

The truth is that the modern GOP is deeply anti-intellectual, and has as its fundamental goal not just a rollback of the welfare state but a rollback of the Enlightenment. Yet there are some wannabe intellectuals who delude themselves into believing that they have aligned themselves with the party of objective (as opposed to Objectivist) analysis.

You might think that the election debacle would force some reconsideration. But I doubt it; if the financial crisis didn’t do it, nothing will.

 

10 novembre 2012Le illusioni  della ragioneBrad DeLong mi rinvia dove normalmente non andrei mai – ad un articolo su RedState  [111], dove si discute di quello che sembra essere stato un caso importante di scomparsa di un consulente [112] nella campagna elettorale di Romney. E’ una storia interessante – in apparenza stavano bevendo la loro Kool-Aid [113], “aggiustando” [114] non solo i sondaggi pubblici ma anche i loro sondaggi interni. Ma quello che mi ha colpito sono stati alcuni commenti, questo in particolare:

TI RINGRAZIO di averlo portato alla luce. Sta cominciando a sembrarmi un disco rotto, qua, ma: I DATI CI STANNO AMMAZZANDO.

Noi SIAMO il Partito della regione e della logica. Noi siamo quelli che effettivamente sanno di cosa parlano e restano sulle proprie posizioni. Abbiamo bisogno di mettere questi ciarlatani su una strada, fuori di casa nostra, e di ricominciare da capo. Di non ascoltare più i sondaggi super ottimistici (*censura* [115]Karl Rove, *censura* Scott Rasmussen). Non credere più nelle “èlites”. 

C’è stata una perdurante illusione in certi settori della destra. Brad ama raccontare la storia (per sentita dire) di Larry Lindsey che entrò a far parte del Consiglio dei Consulenti Economici nel 2001 ed ebbe a dichiarare che finalmente erano arrivati quelli che capivano qualcosa di economia. Una buona parte dei sostenitori di Romney, tra l’1 per cento dei più ricchi, credevano che soltanto le masse degli individui che non hanno l’abitudine di lavarsi potevano credere che effettivamente Obama stesse dando una qualche senso alla politica economica. E così via.

Quello che è del tutto strano in ciò, è che ogni cosa – letteralmente ogni cosa – accaduta nel passato decennio stava a dimostrare l’opposto. I repubblicani moderni sono su tutti i fronti dei fanatici dell’analisi basata sulla fede. In particolare in economia, sono fanatici delle fantasie “dal lato dell’offerta” che continuano ad essere confutate dai fatti – e la loro reazione consiste nel cercare di sopprimere i fatti. Essi hanno speso gran parte dell’intero passato quadriennio nell’annunciare avvertimenti terribili sull’inflazione e sulla crescita incontrollata dei tassi di interesse ce continuano a non avverarsi; si afferrano al convincimento che se soltanto i Repubblicani fossero stati al comando noi avremmo avuto una ripresa del genere di quella del 1982, anche se gli economisti che hanno effettivamente studiato le crisi del passato avevano previsto da tempo una ripresa lenta.

E non fatemi addirittura ricominciare con la storia del cambiamento del clima.

La verità è che il Partito Repubblicano dei giorni nostri è profondamente antintellettuale, ed ha come suo obbiettivo fondamentale non solo quello di abbattere lo Stato assistenziale, ma anche l’Illuminismo. Tuttavia vi sono alcuni aspiranti intellettuali che si illudono nel credere di essersi schierati con il Partito della analisi obiettiva (in quanto opposta all’Obiettivismo [116]).

Si potrebbe supporre che la debacle elettorale costringa a qualche riconsiderazione. Ma io lo dubito: se non l’ha provocata  la crisi finanziaria, niente la provocherà.

 

 

 

November 10, 2012, 4:34 pm

More on Invisible Bond Vigilantes

I argued yesterday that even if the heretofore invisible bond vigilantes materialize one of these days, their attack won’t have the effects the deficit hawks imagine. Because America has its own currency and a floating exchange rate, a loss of confidence would lead not to a contractionary rise in interest rates but to an expansionary fall in the dollar.

Here’s a case in point of people getting this wrong: the letter by 15 financial CEOs (pdf) urging a quick resolution of the fiscal cliff.

The letter is actually kind of amazing in a bad way even before we get to that issue: the CEOs apparently can’t or won’t get their heads around the fact that the fiscal cliff issue is all about doing too much, not too little, to reduce the deficit. Somehow, by the fourth paragraph concerns about a rise in taxes and a fall in spending depressing demand have turned into bond-vigilante fearmongering, with a warning that Moody’s might downgrade US bonds and send interest rates up. Guys, that’s not what we’re talking about here.

 

But even if we accept the bait-and-switch, from fiscal cliffery to fear of what will happen if we don’t have a Grand Bargain now now now; and even if we ignore the likely market reaction to a Moody’s downgrade, which would probably be a collective yawn (remember that absolutely nothing happened when S&P weighed in); the logic is still wrong. Even if Moody’s succeeded in scaring people, this would mean a weaker dollar rather than soaring rates — and this would be good, not bad, for the US economy.

 

It’s scary to think that such muddled thinking has dominated “serious” discussion.

 

10 novembre 2012Ancora sugli Invisibili Guardiani dei BondsHo sostenuto ieri che persino se i sinora invisibili guardiani dei bonds un giorno qualsiasi si facessero vivi, il loro attacco non avrebbe gli effetti che i falchi dei deficit si immaginano. Poiché l’America ha una sua propria valuta ed un suo proprio tasso di cambio fluttuante, una perdita di fiducia non porterebbe ad un incremento dei tassi di interesse con effetti di contrazione, ma ad una caduta del dollaro con effetti di espansione.

Ecco un esempio di individui che si stanno sbagliando: la lettera dei 15 amministratori delegati del settore finanziario che spingono per una rapida soluzione della faccenda  “precipizio fiscale”.

La lettera è, in senso negativo, sbalorditiva, anche prima di arrivare a quel tema: sembra che gli amministratori non intendano o non possano mettere a fuoco il fatto che il ‘precipizio fiscale’ è per intero attinente ad una troppo grande, e non troppo piccola, riduzione del deficit. In qualche modo, a cominciare dal quarto paragrafo le preoccupazioni  su un aumento delle tasse e su una caduta della spesa pubblica con effetti depressivi sulla domanda si trasformano in una specie di terrorismo da guardiani dei bonds, con l’ammonimento che Moody’s  potrebbe retrocedere i bonds statunitensi  e spedire in alto i tassi di interesse. Ragazzi, non è quello di cui si sta ragionando!

Ma anche se accettassimo questo gioco da ‘acchiappa-citrulli’, dal sensazionalismo sui precipizi fiscali alle paure  su cosa potrebbe accadere se non facessimo una Grande Intesa immediatissimamente; ed anche se ignorassimo le probabili reazioni dei mercati ad una retrocessione da parte di Moody’s (ricordiamoci che non accadde assolutamente niente quando fece lo stesso Standard&poor’s), la logica sarebbe ancora sbagliata. Persino se Moody’s avesse successo nel mettere paura alla gente, questo  significherebbe un dollaro più debole e non tassi che schizzano in alto – e questa sarebbe un bene, non un male, per l’economia statunitense.

E’ allarmante pensare che pensieri così confusi abbiano dominato una dibattito “serio”.

 

 

 

November 11, 2012, 10:19 am

Squirming Hawks

The fiscal cliff poses an interesting problem for self-styled deficit hawks. They’ve been going on and on about how the deficit is a terrible thing; now they’re confronted with the possibility of a large reduction in the deficit, and have to find a way to say that this is a bad thing.

And so what you see, in reports like this one from the Committee for a Responsible Federal Budget — is a lot of squirming.

Now, there’s a straightforward argument for why the fiscal cliff is bad but long-term deficit reduction is good — namely, that you really don’t want to cut deficits when the economy is depressed and you’re in a liquidity trap, so that monetary expansion can’t offset fiscal contraction. As Keynes said, the boom, not the slump, is the time for austerity. But the deficit hawks can’t make that argument, because they have in fact been arguing for austerity now now now.

So they’re left making a mostly incoherent case: it’s too abrupt (why?), it’s the wrong kind of deficit reduction (???), and then this:

 

a better approach would be to focus spending cuts on low-priority spending and on changes which can help to encourage growth and generate new revenue through comprehensive tax reform which broadens the base – ideally by enough to also lower tax rates.

Low-priority spending? I think that means spending on poor people and the middle class. And isn’t it amazing how people who claim to be horrified, horrified about deficits can’t stop talking about cutting tax rates?

Meanwhile, the CRFB features on its home page an op-ed by Jim Jones declaring that

We are perilously close to trillion-dollar yearly interest payments, 7 percent yields on 10-year U.S. Treasury bonds, 10 percent home mortgage rates and 13 percent rates on car loans. For the good of the country, the parties must come together and not let this happen.

How does he know that we are “perilously close” to this outcome? Not from the markets; not from any kind of economic model. My guess is that Peggy Noonan told him.

Anyway, revealing stuff.

 

11 novembre 2012I falchi si attorciglianoIl precipizio fiscale pone un interessante questione ai sedicenti falchi del deficit. Essi parlano in continuazione di come il deficit sia una cosa terribile; ora sono posti  dinanzi alla possibilità di una ampia riduzione del deficit e devono trovare una maniera per dire che si tratta di una cosa negativa.

E così, quello a cui si assiste, in resoconti da parte della Commissione per un Bilancio Responsabile, è una specie di attorcigliamento.

Ora, c’è un argomento assai facile da capire sulla ragione per la quale il precipizio fiscale sia una cosa negativa ma la riduzione del deficit nel lungo periodo sia una cosa positiva – precisamente, che non si debbono volere tagli del deficit quanto l’economia è depressa e si è in una trappola di liquidità, cosicché l’espansione monetaria non può bilanciare la contrazione della finanza pubblica. Come disse Keynes, il tempo giusto per l’austerità è quello dei boom, nel quello delle depressioni. Ma i falchi del deficit non avanzano quell’argomento, in sostanza perché si sono sempre espressi a favore di una austerità immediata.

Si sono dunque lasciati andare ad esempi massimamente incoerenti: sarebbe troppo improvviso (e perché?); oppure sarebbe il modo sbagliato per ridurre il deficit (???), e infine questo:

“un approccio migliore sarebbe concentrarsi su  tagli alla spesa a bassa priorità e su cambiamenti che potrebbero contribuire ad incoraggiare la crescita e generare nuovo reddito attraverso riforme fiscali complessive che allarghino la base – idealmente a partire da aliquote fiscali sufficienti sino anche alle più basse.”

Spesa pubblica a bassa priorità? Penso che vogliano dire spese per la povera gente e per la classe media. E non è strabiliante come individui che pretendono di essere letteralmente atterriti sui deficit non possano smettere di parlare di tagliare le aliquote fiscali?

Nel frattempo, la CRFB presenta sulla sua home-page un editoriale di Jim Jones che afferma che:

“Siamo pericolosamente vicini a mille miliardi di dollari all’anno di pagamento di interesse, a rendimenti del 7 per cento sui bonds del Tesoro americano, ad interessi del 10 per cento sui mutui per le case e del 13 per cento sui prestiti per le macchine. Per il bene del paese, i partiti debbono mettersi assieme ed impedire che ciò accada.”

Come sa che siamo “pericolosamente vicini” a questo risultato? Non dai mercati, non sulla base di un modello economico di qualsiasi genere. Ho idea che gliel’abbia detto Peggy Noonan [117].

In ogni caso, cose rivelatrici.

 

 

 

November 11, 2012, 5:58 pm

Organization

James Fallows says something I’ve been thinking, too:

For the first time in my conscious life, the Democratic party is now more organized and coherent, and less fractious and back-biting, than the Republicans. It is almost stupefying to imagine that.

Indeed. It actually started during primary season, when — as too many have forgotten — the GOP field seemed (and was) dominated by ridiculous figures. Obama almost rehabilitated the thing with his bobble in the first debate, but he and his party pulled it back together; the Democratic campaign seemed professional, while the Republicans seemed like the Keystone Kops. Karl Rove’s image has gone from terrifying master of politics to overpaid crybaby.

But I’d go even further: the Democrats now look like the natural party of government. Bush had already established a reputation for being unable to get anything right in the actual business of governing; all that was supposedly left was political prowess, and now that’s gone too. And even the news media have, I think, begun to notice that we aren’t the “center-right” country of fantasy, we’re a diverse nation, ethnically and otherwise, in which a lot of liberal ideas have become perfectly mainstream.

Still, hubris and all that: this newly effective coalition could be shattered if taken for granted. And you know what could really produce the kind of dispirited base that was supposed to doom Obama in 2012? A sellout on key Democratic values as part of a Grand Bargain. If, say, Obama raises the retirement age in return for vague promises on revenue (promises that would be betrayed at the first opportunity); if he appoints a deficit scold to a major economic post; it could all fall apart.

 

11 novembre 2012OrganizzazioneJames Fallows dice qualcosa a cui stavo pensando anch’io:

“Adesso, per la prima volta nella mia vita cosciente,  il Partito Democratico è più organizzato e coerente, e meno caratterizzato da frazioni e maldicenze dei Repubblicani. E’ quasi stupefacente, se ci si pensa”.

Proprio così. Effettivamente ebbe inizio durante il periodo delle primarie, quando – come molti hanno dimenticato –  il campo dei Repubblicani sembrava (ed era) dominato da figure del tutto improbabili. Obama quasi riabilitò la faccenda con la sua figuraccia al primo dibattito, ma lui e il suo partito si rimisero in sesto assieme; la campagna dei Democratici sembrò professionale, mentre i Repubblicani sembravano come i Keystone Kops [118]. L’immagine di Karl Rove e passata da quella di un terribile professionista della politica a quella di un poppante superpagato.

Ma vorrei andare un po’ oltre: ora i democratici sembrano il partito naturale di governo. Bush si era già fatto la reputazione di essere incapace di fare alcunché di giusto nell’impegno effettivo del governo: tutto quello che si supponeva avesse lasciato era una abilità politica, e ora si è dispersa anche quella. Ed io penso che persino i notiziari abbiano cominciato a notare che noi non siamo il paese di “centro-destra” della fantasia, che siamo una nazione diversa, etnicamente ed in altri sensi, nella quale un buon numero di idee liberal  cominciano ad essere completamente compresi dalla maggioranza.

Ancora, a proposito della arroganza e di tutto il resto: questa nuovamente efficiente coalizione potrebbe essere battuta se si sente al sicuro. E sapete che cosa potrebbe realmente generare quel tipo di scoraggiamento alla base che si pensava avesse segnato il destino di Obama nel 2012? La svendita di valori chiave dei democratici come parte della Grande Intesa.

 

 

 

 

November 13, 2012, 4:31 pm

Identity Voters

So Paul Ryan doesn’t believe that he and his party lost on the issues; it’s just that too many of those “urban voters” (hmm, I wonder who he means) for some reason showed up at the polls.

 

Actually, in a way Ryan does have a point: there are ethnic and racial groups that consistently favor one party over the other in ways that seem to reflect something more than economic self-interest. In the figure below — based on a bit of a catchall from the exit polls and the Pew pre-election poll – the blue line shows the average relationship between income and presidential preference, and the various markets show some groups that were far off that line. (I couldn’t find a good number on median income for Jewish households, but assume that it’s in the same general vicinity as Asian-Americans):

z 33

As you can see, it’s not just those “urban” voters who seem to vote their identity. Asians and Jewish households are much more Democratic than you might expect given their relatively high incomes, presumably because they see the GOP as believing fundamentally in a white Christian nation from which they will forever be outsiders.

And then there’s the other identity-politics minority, which is every bit as anomalous in its voting behavior as those urbanites.

Some of the attempts to predict future trends argue that over time Hispanics will become politically “white”, the way Irish and Italians did. Maybe, although somehow that hasn’t happened yet to my tribe. But isn’t it equally likely that over time Southern whites will finally become culturally assimilated, and start voting like the rest of their fellow citizens?

 

13 novembre 2012Elettori identitari Dunque, Paul Ryan non crede che lui ed il suo partito abbiano perso su temi reali; semplicemente troppi di quegli “elettori di città” (mmmh, mi chiedo cosa voglia dire) per qualche ragione si sono presentati ai sondaggi.

Effettivamente, in un certo senso Ryan ha ragione: ci sono gruppi etnici e razziali che hanno espresso i propri favori ad un partito anziché all’altro in modi che sembrano riflettere qualcosa di più che il proprio interesse economico. Nella figura sotto – un po’ basata  su in insieme di exit polls e di sondaggi  precedenti le elezioni della Pew [119] – la linea blu mostra la relazione media tra il reddito e le preferenze presidenziali, ed i vari punti [120] mostrano alcuni gruppi che sono risultati distanti da quella linea (non riesco a trovare un numero adeguato per il reddito medio delle famiglie ebraiche, ma considero che esso sia nella stessa generale prossimità degli americani asiatici):

z 33

Come vedete, non sono soltanto quegli elettori “di città” che sembrano esprimere col voto la loro identità. Le famiglie  asiatiche ed ebraiche  sono molto di più democratiche di quello che vi sareste aspettati considerati i loro redditi relativamente elevati, presumibilmente perché vedono il Partito Repubblicano fondamentalmente credere in una nazione bianca e cristiana, rispetto alla quale saranno sempre estranei.

E poi c’è l’altra minoranza politicamente identitaria, che è altrettanto anomala nel suo comportamento di voto degli elettori “di città”.

Alcuni tentativi di predire le tendenze  future  argomentano che gli Ispanici col tempo diventeranno politicamente “bianchi”, nello stesso modo in cui fecero gli Irlandesi e gli Italiani. Forse, sebbene in qualche modo quello non è ancora accaduto nella mia tribù. Ma non è nello stesso modo probabile che i bianchi del Sud alla fine si assimileranno culturalmente, e cominceranno a votare come il resto dei loro concittadini?

 

 

 



[1] La linea rossa indica il debito detenuto  dal pubblico, compresa la Fed, quella blu il valore

[2] Manager finanziario statunitense e cofondatore della PIMCO (Pacific Investment Management).

[3] Treasure Inflation Protected Securities; ovvero i Buoni del Tesoro indicizzati.

[4] Nel senso, suppongo, di interrompere la situazione della ‘facilitazione’ finanziaria. “Trigger finger” significa “dito indice” ed anche l’azione di “alzare il dito”.

[5] Non è un gioco di parole … per “reddito medio” si intende quel reddito che per definizione è considerato proprio delle classi medie, per “media dei redditi” si intende  la media matematica effettiva.

[6] Penso sia la destra di un diagramma della distribuzione dei redditi (ovvero di una tabella nella quale la dimensione dei redditi proceda da sinistra a destra sulle ascisse).

[7] Questa traduzione di “away” è un po’ fantasiosa, ma non impossibile (“the horses are away” = “i cavalli sono in partenza”).  O forse è semplicemente un rafforzativo (“tassato via”).

[8] Spero in bene … perché la traduzione potrebbe essere una gaffe discreta. “Hired gun” normalmente significa “killer assoldato, sicario”, ma Urban Dictionary fornisce anche “freelancer”, ovvero “operatore indipendente, libero professionista”, soprattutto nella professione di “scrittore”. Inoltre, come alcune frasi sopra, penso che per estremità destra (“tail” oltre che “coda” è anche “estremità”) si intenda, appunto, la parte destra di un diagramma della distribuzione del reddito (che verosimilmente, sulla linea delle ascisse, ha sulla destra i redditi più elevati). Fantasioso …. ma meno di un sicario che se ne va a caccia su una ‘coda destra’!

[9] E qua destra mi pare che torni a significare ‘destra politica’.

[10] E’ l’espressione usata dal Wall Street Journal per descrivere i lavoratori che pagano solo le tasse sugli stipendi ed hanno redditi troppo bassi per pagare anche quelle sui redditi (naturalmente i termini – “payroll” a “income” – si intendono nel loro significato nella legislazione fiscale americana).

[11] A proposito di “Quantitative Easing” vedi le Note finali sulla traduzione.

[12] Vedi le Note finali sulla traduzione.

[13] In questo caso per “assets” si intendono  fondamentalmente le obbligazioni, le partecipazioni ed i loro derivati, così come il settore immobiliare ed i profitti da capitali.

[14] A proposito di “fata turchina”, vedi le Note finali della traduzione.

[15] E’ l’espressione a suo tempo coniata da Krugman per definire la condizione di una politica monetaria con effetti espansivi, che voglia utilizzare strumenti ulteriori che non quelli meramente ‘quantitativi’. In quel caso la politica monetaria deve basarsi sulla promessa, da parte della banca centrale, che una politica espansiva (ovvero, di bassi tassi di interesse) proseguirà anche quando un certa incremento dell’inflazione, nel futuro prossimo, la sconsiglierebbe. In altri termini, la promessa sarà quella di essere “irresponsabili”, almeno per un prolungato periodo di tempo.

[16] E’ il nome di una canzone famosa.

[17] A proposito della traduzione di “fiscal” vedi Note finali sulla traduzione.

[18] Il long term refinancing operation (LTRO) o piano di rifinanziamento a lungo termine consiste in interventi finanziari effettuati dalla Bce guidata da Mario Draghi a seguito dell’inizio della crisi del debito sovrano dei paesi europei. Tale operazione può essere riconducibile alle operazioni di quantitative easing effettuate dalla Fed.

[19] Il senso, qua come nel post precedente, mi pare che più o meno sia …. occupandosi un momento degli Stati Uniti ed il momento successivo dell’Europa.

[20] La lettura de diagramma è la seguente: il livello dei pressi è sulla linea delle ordinate, il prodotto su quella delle ascisse. AS ed AS’ sono le due linee dell’offerta aggregata, che incontrano la linea discendente (perché è in atto una deflazione) della domanda aggregata nei punti A e B. Il punto A è caratterizzato da prezzi più alti e da prodotto inferiore, il punto B da prezzi più bassi e da prodotto maggiore.

[21] Il nome del blog del Financial Times.

[22] Giornalista americano, scrive sul blog del The Washington Post (WP Opinions).

[23] Il termine “diritto riproduttivo” in italiano non esiste. Include concetti che vanno dal diritto al controllo delle nascite al diritto di abortire, al diritto alla informazione ed alla educazione sui temi della riproduzione e della contraccezione.

[24] Scott Rasmussen, che è a capo dell’istituto di sondaggi “Rasmussen Reports”. Mi pare di comprendere che in questi giorni le analisi di Rasmussen siano le meno positive per Obama, pur indicando uno scarto di due punti.

[25] La connessione è con lo studio citato sulle tossicodipendenze.

[26] E’ l’espressione che Keynes usava per indicare le concezioni di politica economica delle autorità britanniche, in particolare nel corso degli anni ’20 e ’30.

[27] E’ il titolo di un libro di Orwell del 1937, che conteneva alcune ricerche sulle condizioni della classe operaia inglese prima della Seconda Guerra Mondiale, nelle regioni industriali del Nord del Paese (Yorkshire e Lancashire). Per alcuni mesi, nel 1936,  Orwell andò a vivere in quelle zone – tra le quali Wigan – allo scopo di preparare il libro. Wigan Pier è il nome di una di quelle aree, caratterizzata dalla confluenza di vari canali.

 

[28] Sir Eric Geddes fu il Presidente di un Comitato sulle Spese Nazionali che nel 1920 espresse le proprie raccomandazioni sui tagli alla spesa pubblica.

[29] Vedi “confidence fairy” alle note finali sulla traduzione.

[30] La Tabella è assai interessante (e si riferisce esclusivamente ad una lettura quantitativa degli sbilanci nel vari settori, mentre l’argomento successivo – sulle esportazioni-importazioni per/dalle altre aree del mondo non è evidentemente rappresentato). Si tenga fermo che il periodo 1999/2010, come è ovvio,  è quello che ci spiega come il fenomeno degli squilibri nelle bilance dei pagamenti si sia manifestato, grosso modo, sino agli inizi della crisi recente. Credo che si possa interpretare che i paesi cosiddetti GIPSI hanno avuto storie molto diverse. I segmenti arancioni dovrebbero rappresentare in gran parte gli attivi o i passivi dei conti correnti del settore produttivo, direttamente afferenti alle imprese (perché quelli mediati dalle banche sono in blu). Come si vede l’Italia ha mantenuto – dal 1999 al 2010 – un forte attivo di quel settore, assieme ad una relativa crescita della componente delle autorità monetarie, che non so interpretare. Il settore produttivo resta nella parte attiva anche in Francia ed in Germania, semmai con una crescita abbastanza sorprendente nel primo paese; comunque l’Italia restava, da quel punto di vista, nel gruppo di testa dei paesi europei. Assai diverso è il caso della Spagna, dove crescevano vistosamente gli sbilanci sia del settore produttivo manifatturiero (qua, probabilmente, era il segno di una forte crescita di importazioni da paesi asiatici) che nel settore bancario (e questo è il segno del finanziamento da banche tedesche a banche spagnole del boom immobiliare della Spagna). Un forte attivo nel settore delle banche si osservava invece nel caso dell’Irlanda, il cui boom, come è noto, era assai concentrato proprio nel settore dei prodotti finanziari (di converso, l’Irlanda nel 2010 mostra un forte passivo nel settore delle autorità monetarie, che forse è il prezzo pagato, a crisi da poco esplosa, per i salvataggi delle banche stesse). Una caratteristica, invece, di tutti i paesi PIGSI è la crescita dei passivi nel settore delle amministrazioni pubbliche, particolarmente grave sia in Grecia che in Italia.  Anche questo è un dato che andrebbe meglio compreso, ma che forse è indicativo del peso dei crescenti costi finanziari del complessivo debito pubblico (sarebbe interessante confrontarlo con l’andamento degli spread negli ultimi anni dello  stesso periodo). Ciononostante, questa è una caratteristica di tutti i paesi PIGSI (semmai meno vistosa in Spagna) e, in modo sorprendente, anche della Germania. Unica eccezione, anch’essa da spiegare, quella della Francia. La forza della Germania, infine, sembra ben leggibile nel fatto che, pur con una forte crescita del passivo nel settore delle amministrazioni pubbliche, è l’unico paese in grado di compensarla con una crescita delle esportazioni nel settore delle imprese produttive ed in quello delle banche.

[31] Per l’espressione ironica “Persone Molto Serie”, vedi le Note finali sulla traduzione.

[32] Fiscy Awards è il nome di una associazione – che riunisce personalità e vari blogs – che ogni anno premia personaggi della politica che si ‘distinguono per responsabilità in materia di finanza pubblica. Oltre a Paul Ryan, nel 2011 vennero premiati il Presidente della Commissione Bilancio del Senato, il democratico Kent Conrad ed il Governatore dell’Indiana, il repubblicano Mitch Daniels.

[33] A proposito del termine “fiscal” vedi le Note finali sulla traduzione.

[34] Come si sa Bowles è il nome di uno dei due copresidenti della speciale Commissione sul bilancio, a suo tempo sostenuta da Obama. In questi giorni Krugman aveva messo in guardia – con un articolo sul New York Times – dalla tentazione di Obama e dei democratici, in caso di vittoria elettorale, di tornare su impostazioni all’insegna della austerità in materia di diritti sociali, quale quelle proposte da quella Commissione. “Bowl” significa anche “far rotolare” …. Probabilmente, dunque, un intraducibile gioco di parole con il cognome del Senatore democratico.

[35] Per “headline inflation” vedi note conclusive sulla traduzione.

[36] La curva di Phillips è un’analisi macroeconomica degli anni ’50 che, basandosi sui dati empirici dell’epoca, mette in relazione il tasso d’inflazione con il tasso di disoccupazione. Quanto più è basso il tasso di disoccupazione (piena occupazione) tanto più è alto il tasso di crescita dei prezzi e dei salari. La curva di Phillips è uno dei cardini della politica economica degli anni ’50. Successivamente, la curva è entrata a far parte di quasi tutti i testi e manuali di macroeconomia. Nel diagramma seguente diamo una semplice rappresentazione grafica della curva di Phillips.

z 17

Come si può agevolmente comprendere, tra il tasso di inflazione (ordinate Y) e il tasso di disoccupazione (ascisse X) ha luogo una relazione inversa (trade-off inflazione-disoccupazione). Dal punto di vista macroeconomico la curva suggerisce che è sempre possibile far viaggiare una economia a tassi di disoccupazione bassi, purché si accetti una crescita dei prezzi. (da Okpedia)

 

[37] “NBER” è la sigla di National Bureau of Economica Research e lo studio in connessione è del 1950.

[38] A proposito di “fiscal” si tenga sempre conto delle osservazioni contenute nelle Note sulla traduzione

[39] “A sight to behold” = “uno spettacolo per gli occhi”.

[40] Come si è appreso dall’articolo del / ottobre sul New York Times, Welch – un ex presidente della General Electric – in questi giorni si è distinto per attacchi al rapporto sui posti di lavoro del Bureau of Labor Statistics, da lui considerato come una falsificazione a vantaggio di Obama.

[41] “Atrios” è lo pseudonimo di Duncan Bowen Black, un blogger liberal di Philadelphia.

[42] Il “caso” in questione riguardò un consigliere della Casa Bianca durante i primi mesi della Amministrazione Clinton, già famoso avvocato americano. Le indagini si conclusero  con la tesi di un suicidio, ma settori particolarmente fanatici della destra americana specularono insistentemente su responsabilità di Hillary Clinton nella vicenda. In effetti, a prescindere da tesi abbastanza pazzesche, la storia venne archiviata come un caso assai strano. Un giornalista sul blog Progressive Review (Richard L. Franklin) elencò cento stranezze in tutta la storia del presunto suicidio. Alla fine aggiunse una 101esima stranezza: la registrazione di una telefonata con un agente di una collaboratrice del Presidente Bush – tale Debra von Trapp – nel corso della quale l’agente, verosimilmente un po’ ubriaco, affermava che l’assassinio sarebbe stato commesso da settori della polizia per “lasciare un messaggio” ai coniugi Clinton. La telefonata venne fatta dall’agente da Washington, il giorno stesso della morte di Welch. Non finì agli atti della inchiesta.

[43] Normalmente traduco “wonkish” con “esperto”, per usare un gergo meno “giovanile”. In realtà significa proprio “sgobbone”, o meglio “molto studioso”, perché forse non ha quella leggera inflessione negativa che ha “sgobbone” in italiano ….

[44] Ovvero, nella “principale” età lavorativa.

[45] E’ il nome di un blog a cura di Bill MacBride, finanziere di una piccola pubblic-company negli anni ’90 e collaboratore con l’Università di Irvine, in California. Può interessare sapere che Irvine è una città della Contea di Orange, in California. È una città costruita dopo un progetto, principalmente realizzata dalla Irvine Company a partire dagli anni sessanta. Fondata ufficialmente il 28 dicembre 1971, la città di 180 km² conta 202.079 abitanti (dati del 2007). Attualmente Irvine è la città più grande di tutta Orange County soprattutto perché è annessa a zone che non sono state classificate come cittadine. Nel giugno 2008, il Federal Bureau of Investigation ha dichiarato che Irvine è la città con il minor tasso di crimini violenti tra le città degli Stati Uniti con più di 100.000 abitanti (4 omicidi, 17 stupri, 50 rapine e 55 assalti aggravati nel 2006). Queste ultime notizie da Wikipedia.

(tra parentesi, a me 4 omicidi e 17 stupri all’anno non sembrerebbero così pochi ….).

[46] Ovvero, non residente in caserme, carceri, case di cura, ospedali ed altri luoghi “istituzionali”.

[47] L’ “um” è ironico, perché la frase successiva è il titolo del libro recente di Krugman.

[48] Rispettivamente docenti e ricercatori all’Università della Virginia e di Bonn. Probabilmente il primo, Alan Taylor, viene scherzosamente chiamato “quello buono” per distinguerlo dall’economista conservatore John B. Taylor, del resto assai più famoso.

[49] Mi pare si confrontino tre situazioni: l’andamento normale delle recessioni misurate dall’andamento del PIL procapite (linea blu, con un margine di affidabilità del 95%); l’andamento della crisi americana dal 2007 al 2011/12 con la linea viola scuro; l’andamento di crisi finanziarie caratterizzate da elevate o medie espansioni del credito (linea rossa e linea viola chiaro). Come si vede, e come Krugman ha più volte sottolineato, i normali andamenti recessivi non provocati da shocks finanziari hanno una tendenza alla ripresa molto più rapida delle recessioni innescate da shocks finanziari.

[50] Si riferisce ad un dibattito svoltosi successivamente al primo confronto Romney-Obama. La Matalin, che sovrintende la campagna elettorale dei Repubblicani vi ha partecipato assieme a Krugman.

[51] Nel blog di Krugman, scherzosamente annunciata come una “anteprima della sua presentazione”, è in questo spazio inserita una connessione con la famosa canzonetta del rapper sudcoreano Psy (“Gangnam style”).

 

 

[52] A proposito del concetto di “moltiplicatore” vedi le Note sulla Traduzione.

[53] Ancora, a proposito di “moltiplicatore” vedi le Note finali sulla traduzione.

[54] Vedi il post precedente.

[55] Come è noto “leverage” significa letteralmente “compiere una azione di leva”. In termini economico finanziari questo rimanda, però, ad un significato più ampio, nel senso che la tendenza a produrre effetti crescenti, o geometricamente crescenti, ovvero a “far leva” su finanziamenti comporta implicitamente il concetto di aumentare il capitale preso a prestito rispetto al capitale proprio, negli investimenti. Questo concetto (del nesso tra utilizzo di capitale preso a prestito e di capitale proprio)  in lingua italiana può essere espresso con una espressione quale “rapporto di indebitamento”; cosicché “to leverage” significherà anche “aumentare il rapporto di indebitamento”, mentre “to deleverage”  significherà “ridurre il rapporto di indebitamento”.

[56] Come ormai faccio sempre, a proposito del termine “fiscal” rimando alle Note finali sulla traduzione. Mi ostino a considerare che il termine “fiscale” in lingua italiana, come dicono i migliori dizionari, ha un nesso necessario con  tutto ciò che afferisce alla tassazione; dunque non può essere utilizzato nel senso più ampio che ha in lingua inglese, ovvero come sinonimo di “finanza pubblica”, intesa come esazione di tasse ma anche  come spesa ed investimento pubblico. Per la stessa ragione, quando il contesto lo consente, come in questo caso, “fiscal” può essere talvolta tradotto come “della spesa pubblica”.

[57] Maggiore di uno significa che una restrizione della spesa pubblica pari o anche inferiore ad 1, produce per effetto del moltiplicatore una conseguenza sul PIL  superiore ad 1.

[58] L’istituto nazionale britannico della ricerca economica e sociale.

[59] Per “zero lower bound” vedi Note finali alla traduzione.

[60] Un ‘grafico a dispersione’ è un genere di diagramma matematico che usa coordinate cartesiane per illustrare valori relativi a due variabili, da un complesso di dati. I dati sono distribuiti come un complesso di punti, per ognuno dei quali il valore di una variabile determina la posizione sull’asse orizzontale e quello dell’altra i valore sull’asse verticale. Nel nostro caso sull’asse orizzontale stanno i valori dell’intensità delle politiche di consolidamento delle finanze pubbliche, su quello verticale i cambiamenti nel PIL reale, e come è evidente Irlanda, Portogallo e soprattutto Grecia hanno consolidato molto di più e sono cresciuti relativamente molto di meno.  Non mi è chiaro se la ragione per la quale varie situazioni (punti) non vengono attribuiti a nessun paese è casuale.

[61] In questo caso sull’asse orizzontale, dunque, ci sono ancora i valori relativi alle previsioni di consolidamento delle finanze pubbliche, ma sul lato verticale non c’è il PIL reale, ma gli errori fatti rispetto alle previsioni della crescita del PIL reale, suppongo calcolati in punti percentuali di minore crescita o di maggiore decrescita.

[62] Forse nel senso di rappresentativa dei repubblicani di entrambi i rami del congresso.

[63] Il riferimento – e la connessione – è ad un articolo di Financial Times che in questi giorni informa di una polemica del Ministro della Finanze Schäuble, ai margini di una conferenza internazionale a Tokio, nei confronti della Presidente del Fondo Monetario Internazionale, proprio su questi temi.

[64] “Prematura” – si noti – perché il giudizio di Krugman è sempre stato che le politiche di austerità durante crisi depressive equivalgono a scegliere il momento sbagliato. Se necessarie, quelle politiche sono, invece, opportune, come Keynes aveva in più occasioni notato,  una volta che si sia usciti dalle crisi economiche.

[65] E’ il protagonista di un romanzo, una caso estremo di “autopromozione”.

[66] Professore di economia alla Carleton University di Ottawa, Canada.

[67] Il “Reddito Haig-Simons” o il “Reddito Schanz-Haig-Simons” è una misura del reddito in economia, secondo la formula:  I = C + ΔNW  (dove I è il reddito, C è il consumo e ΔNW il mutamento nel valore netto). Parlando in termini generali, il consumo si riferisce all’acquisto o all’acquisizione di beni e servizi di ogni genere. Dal punto di vista teorico, il consumo non include le spese di capitale e l’intera spesa sarebbe ammortizzata.

[68] Suppongo che “apical” sia un refuso per “capital”.

[69] Dean Baker è un economista americano, cofondatore, assieme a Mark Weisbrot, del Center for Economic and Policy Research.

[70] “Crowd” significa “affollare, o riempire”, e “to Crowd out” significa “svuotare”. Normalmente, in questo significato economico, viene tradotto con “spiazzare”, nel senso che l’emissione di titoli sul debito comporta che una parte dei risparmi si rivolge a tali acquisti, in alternativa agli investimenti produttivi.

[71] Traduco “effettivi” con qualche dubbio; “(ex) post (real) interest rate” è il “tasso di interesse reale che interviene in un determinate periodo di tempo”. Esso è calcolato sottraendo al tasso di interesse nominale il tasso di inflazione di quel determinato periodo. Si distingue dal “(ex) ante (real) interest rate”, che è una misura di natura previsionale.

[72] Per “Conto corrente” o “bilancia del conto corrente” vedi le Note finali sulla traduzione.

[73] ‘Questo’ Stephen King è un economista che opera in uno dei più grandi gruppi bancari del mondo (HSBC).

[74] Economista Britannica. Assieme a Paul Ormerod fondò nel 1998 la importante associazione di consulenza economica  “Volterra Partners” (non sono riuscito a comprendere da cosa sia venuto tale nome).

[75] Si tratta di una famosissima vecchia Battuta di Bill Clinton. Non di una eccessiva mancanza di rispetto per i suoi interlocutori.

[76] Emergency Medical Treatment and Active Labor Act.

[77] Catch-22 è una situazione nella quale regole o condizioni incongrue rendono impossibile ogni risultato. Espressione desunta da un romanzo dello scrittore americano Joseph Heller.  Mi pare intraducibile.

[78] “Binderminder” letteralmente sarebbe “colui che guarda i faldoni”.

La storia dell’ultima gaffe di Mitt Romney è la seguente: nel dibattito con Obama egli si è vantato di aver avuto un confronto con associazioni femminili – al tempo in cui era alla Bain – e di aver chiesto quali donne avrebbe potuto assumere. Precisamente disse di voler vedere tutti i faldoni (“binders”)  con i nomi delle donne.  La storia è un po’ stupida, e indica una certa supponenza misogina, che ha fatto arrabbiare molti e molte. Il peggio è che alcune associazioni di quelle donne hanno poi chiarito che Romney non fece nulla con quegli elenchi, e la Bain Capital partì senza alcuna donna.

[79] La moderatrice del secondo  dibattito tra Obama e Romney.

[80] Il “Rose garden” è il giardino che contorna la stanza ovale alla Casa Bianca:

 

[81] In un articolo del 12 ottobre sul Wall Street Pit.

[82] La replica dei due famosi economisti è su Bloomberg del 16 ottobre.

[83] “Trough” è l’ “avvallamento” in una sequenza di onde, il punto più basso di un andamento ciclico.

[84] A Internet, per via di Sandy …

[85] “Fiscal cliff” è il termine usato per descrivere il rompicapo che il governo statunitense dovrà affrontare alla fine del 2012, quando I termini delle legge di Bilancio del 2011 andranno a scadenza. Tra le leggi che debbono essere cambiate per quella data, c’è la fine degli sgravi temporanei delle tasse sugli stipendi (che comporterebbero un incremento  del 2% delle tasse sui lavoratori), la fine di certi sgravi fiscali per le imprese, modifiche alla alternativa della ‘minimum tax’, la fine degli sgravi fiscali provenienti dagli anni  2001-2003 e l’inizio delle tasse connesse con la legge di riforma della assistenza sanitaria di Obama. Nello stesso tempo i tagli alla spesa che furono concordati come parte dell’accordo sul ‘tetto del debito’ del 2011 comincerebbero ad andare in vigore. In sostanza maturerebbero tutte assieme le varie conseguenze di una sorta di bizzarro ‘armistizio’ legislativo che in questi anni ha caratterizzato la situazione nel Congresso americano, in bilico tra le proposta della amministrazione Obama e la preponderanza repubblicana alla Camera dei Rappresentanti. Tale situazione si è caratterizzata per vari compromessi di rinvio di questioni rilevanti che, senza una legislazione di modifiche positive, andrebbero tutte assieme a produrre i loro effetti.

[86] “Dissonanza cognitiva” è un termine della psicologia con il quale si indica la condizione che deriva dal mantenere ed ispirarsi simultaneamente a due o più concetti (idee, fedi, valori, reazioni emozionali) in conflitto tra loro.

[87] Per tutte queste espressioni del lessico krugmaniano (Persone Molto Serie; ‘Guardiani dei Bonds’; ‘Fata turchina della fiducia’) vedi le Note finali sulla traduzione.

[88] Suppongo ancora il riferimento è all’uragano.

[89] Il nome della impresa delle reti dell’elettricità nel New Jersey.

[90] Esperto ‘sondaggista’ del New York Times.

[91] Ovvero sui risultati in termini di seggi dei singoli Stati nel “Collegio Elettorale”, che è il consesso nel quale si eleggono effettivamente sia il Presidente che il VicePresidente degli Stati Uniti.

[92] L’osservazione di Martin, che ha provocato l’ironia di Brad DeLong, è apparsa su Twitter (il titolo era “Il più stupido “tweet” (“cinguettio”) nell’intera storia di Twitter che è mai venuto da Jonathan Martin di Politico”.

[93] Ecco il personaggio in questione, da  una commedia televisiva degli anni ’70.

 

[94] Penso il senso si questo, perché letteralmente sarebbe “sfigati che non vengono da nessuna parte”.

[95] E’ il dipartimento della Protezione civile, la Federal Emergency Management Agency, creato con decisione del Presidente degli USA nel 1978. Il meccanismo di funzionamento della Fema è il seguente: essa entra in funzione quando un Governatore di uno Stato dichiara una situazione di emergenza, ovvero quando l’evento viene giudicato eccedere le risorse e le possibilità organizzative di un singolo Stato. La FEMA può anche intervenire direttamente, ogni volta che sono in pericolo proprietà o beni federali. Ad esempio, quando un edificio del Governo Federale fu oggetto di un attentato dinamitardo nel 1995 ad Oklahoma City, le FEMA intervenne direttamente. Queste le immagini di quel disastro, che provocò 168 morti:

z 30

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[96] Era il nomignolo di Michael Brown, anche detto “ hechuva job”. Era direttore della agenzia di protezione civile al tempo di Katrina, insediato da Bush nel 2003. Così soprannominato perché di lui Bush disse, all’indomani di Katrina, “yu’re doing a hack of job” (“stai facendo un diamine di lavoro”), e non intendeva offenderlo, ma elogiarlo!

[97] Immagino che in questo caso il riferimenti sia a quel 47 % che Romney disprezza.

[98] Karl Rove (nella foto sotto) è uno dei più noti (e reazionari) giornalisti americani, collabora con Fox News, Wall Street Journal  e Newsweek.  E’ stato stretto collaboratore di Bush. Citizens United è una organizzazione della galassia conservatrice.

STAFF PORTRAITS OF KARL ROVE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[99] L’esperto di sondaggi nel New York Times, che in queste settimane sembra un punto di riferimento per Krugman.

[100] Tom Bradley, afroamericano,  era stato Sindaco di Los Angeles e, nel 1982, perse contro le previsioni dei sondaggi le elezioni a governatore della California. Né derivò una teoria, secondo la quale era possibile che gli elettori bianchi, nei sondaggi, avessero espresso una preferenza per Bradley principalmente per l’imbarazzo di apparire condizionati da pregiudizi razziali, mentre nell’urna avevano poi votato per il candidato bianco. Krugman intende dire che meglio sarebbe avere resoconti su fenomeni realmente possibili, piuttosto che un giornalismo inventato di sana pianta.

[101] Il “collegio elettorale” è l’organismo nazionale dei delegati di tutti gli Stati che, eletti a seguito dei risultati elettorali presidenziali e con il criterio ben noto secondo il quale “chi vince prende tutti  i delegati”, successivamente eleggono formalmente il Presidente degli Stati Uniti.

[102] Forse “four letters word” è, ad esempio, “fuck”.

[103] Giornalista di orientamento di sinistra che si occupa di politica, media, finanza e sport. Sembra con parecchio piglio.

 

[104] Non sono del tutto sicuro, ma è chiaro che è un inizio sul tono dello scherzo e del paradosso. Come a dire che il risultato che a Krugman stava più a cuore, oltre quello di “quel Tizio” di Obama, era quello della Warren (una economista che era stata al centro di polemiche nazionali con i repubblicani e che era candidata in queste elezioni). Così come gli stava a cuore che l’esperto di sondaggi del New York Times – Nate Silver – avesse ragione, come poi ha avuto.

[105] Nel senso che sinora la “real America” era un luogo comune dei conservatori, sinonimo della America profonda e di destra.

[106] L’espressione “cosa ha a che fare col Kansas?” era un modo tipico per rivendicare le condizioni della “real America”. Come a dire che tutti i discorsi complicati dei liberals non avevano niente a che vedere con il vero animo americano, rappresentato dal Kansas. Ora i liberals possono dire “chi se ne frega” …. perché dalle elezioni viene fuori un’altra America “vera” che non ha a che fare con quel   Kansas.

[107] Ormai si usa il termine inglese. Letteralmente sarebbe il “pensiero desiderante”, o il “pensare tramite il desiderio”.

[108] Ovvero, che non sono state censurate sulla base delle regole di buona educazione che sono fissate per i commenti sui blog del New York Times.

[109] Esistono una miriade di David Walker. Questo è probabilmente un giornalista della CNN.

[110] Uomo politico americano. Già collaboratore di Clinton, era stato uno dei due copresidenti della Commissione bipartizan voluta da Obama nel suo precedente mandato.

[111] Un foglio di propaganda dei conservatori.

[112] L’articolo parla, in realtà, del fallimento, in apparenza un po’ scandaloso, di un progetto di utilizzo degli “smartphones” in campagna elettorale e delle polemiche che l’hanno seguito. Compresa quella relativa al fatto che  quella iniziativa abbia per un certo periodo “distorto” la corretta percezione dei dati elettorali da parte dello stesso Romney. Non sono riuscito a capire in cosa consista quel caso di “morte” di un consulente, a meno che esso non stia a significare non una morte fisica ma un “licenziamento come consulente” di quel personaggio, del resto molto discusso.

[113] Si tratta di una bevanda dolciastra molto usata, e l’omino qua sotto è il suo simbolo pubblicitario. E’ stata inventata negli Stati Uniti, inizialmente fabbricata in Nebraska, successivamente in Messico.

[114] Letteralmente significherebbe all’incirca “contro travisando” (nel senso che per i repubblicani ogni dato negativo costituiva un “travisamento”, e stavano lavorando a “correggere” i presunti travisamenti ….)

[115] Letteralmente “cough” significa “tosse”; vale a dire il colpo di tosse che rende incomprensibile una parolaccia.

[116] “Obiettivismo” è il termine con il quale nella cultura americana si denomina il complesso di idee della filosofa e scrittrice russo-americana Ayn Randy. In realtà, come i lettori di queste traduzioni sanno, la Randy è una icona del movimento conservatore americano. Probabilmente, il senso della frase consiste nel fatto che tale icona è assai radicale e risulta un po’ indigesta anche a vari intellettuali repubblicani.

[117] Scrittrice di una certo successo, reaganiana purosangue.

[118] I “Keystones Kops” sono una squadra di poliziotti tragicamente incompetenti di famose commediole di film muto degli inizi del secolo scorso.

 

[119] Pew Research Center, un centro di ricerca e di sondaggi.

[120] Penso che ci sia un errore, forse “markets” al posto di “markers”.

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