If anyone had doubts about the madness that has spread through a large part of the American political spectrum, the reaction to Friday’s better-than expected report from the Bureau of Labor Statistics should have settled the issue. For the immediate response of many on the right — and we’re not just talking fringe figures — was to cry conspiracy.
Leading the charge of what were quickly dubbed the “B.L.S. truthers” was none other than Jack Welch, the former chairman of General Electric, who posted an assertion on Twitter that the books had been cooked to help President Obama’s re-election campaign. His claim was quickly picked up by right-wing pundits and media personalities.
It was nonsense, of course. Job numbers are prepared by professional civil servants, at an agency that currently has no political appointees. But then maybe Mr. Welch — under whose leadership G.E. reported remarkably smooth earnings growth, with none of the short-term fluctuations you might have expected (fluctuations that reappeared under his successor) — doesn’t know how hard it would be to cook the jobs data.
Furthermore, the methods the bureau uses are public — and anyone familiar with the data understands that they are “noisy,” that especially good (or bad) months will be reported now and then as a simple consequence of statistical randomness. And that in turn means that you shouldn’t put much weight on any one month’s report.
In that case, however, what is the somewhat longer-term trend? Is the U.S. employment picture getting better? Yes, it is.
Some background: the monthly employment report is based on two surveys. One asks a random sample of employers how many people are on their payroll. The other asks a random sample of households whether their members are working or looking for work. And if you look at the trend over the past year or so, both surveys suggest a labor market that is gradually on the mend, with job creation consistently exceeding growth in the working-age population.
On the employer side, the current numbers say that over the past year the economy added 150,000 jobs a month, and revisions will probably push that number up significantly. That’s well above the 90,000 or so added jobs per month that we need to keep up with population. (This number used to be higher, but underlying work force growth has dropped off sharply now that many baby boomers are reaching retirement age.)
Meanwhile, the household survey produces estimates of both the number of Americans employed and the number unemployed, defined as people who are seeking work but don’t currently have a job. The eye-popping number from Friday’s report was a sudden drop in the unemployment rate to 7.8 percent from 8.1 percent, but as I said, you shouldn’t put too much emphasis on one month’s number. The more important point is that unemployment has been on a sustained downward trend.
But isn’t that just because people have given up looking for work, and hence no longer count as unemployed? Actually, no. It’s true that the employment-population ratio — the percentage of adults with jobs — has been more or less flat for the past year. But remember those aging baby boomers: the fraction of American adults who are in their prime working years is falling fast. Once you take the effects of an aging population into account, the numbers show a substantial improvement in the employment picture since the summer of 2011.
None of this should be taken to imply that the situation is good, or to deny that we should be doing better — a shortfall largely due to the scorched-earth tactics of Republicans, who have blocked any and all efforts to accelerate the pace of recovery. (If the American Jobs Act, proposed by the Obama administration last year, had been passed, the unemployment rate would probably be below 7 percent.) The U.S. economy is still far short of where it should be, and the job market has a long way to go before it makes up the ground lost in the Great Recession. But the employment data do suggest an economy that is slowly healing, an economy in which declining consumer debt burdens and a housing revival have finally put us on the road back to full employment.
And that’s the truth that the right can’t handle. The furor over Friday’s report revealed a political movement that is rooting for American failure, so obsessed with taking down Mr. Obama that good news for the nation’s long-suffering workers drives its members into a blind rage. It also revealed a movement that lives in an intellectual bubble, dealing with uncomfortable reality — whether that reality involves polls or economic data — not just by denying the facts, but by spinning wild conspiracy theories.
It is, quite simply, frightening to think that a movement this deranged wields so much political power.
La verità sui posti di lavoro, di Paul Krugman
New York Times 7 ottobre 2012
Se qualcuno aveva dei dubbi sulla follia che si è distribuita su una larga parte dello spettro politico americano, la reazione al rapporto, migliore del previsto, del Bureau of Labor Statistics di venerdì dovrebbe aver risolto la questione. Perché l’immediata risposta da parte di molti a destra – e non stiamo parlando di personaggi marginali – è stata gridare alla cospirazione.
A guidare l’accusa contro coloro che sono stati rapidamente soprannominati “gli scettici del B.L.S.” [1] era nientedimeno che Jack Welch, precedente Presidente della General Electric, che ha spedito su Twitter un giudizio secondo il quale quei conti erano stati falsificati per aiutare il Presidente Obama nella sua campagna per la rielezione. La sua affermazione è stata rapidamente accolta da addetti ai lavori della destra e da personalità dei media.
Era una sciocchezza, naturalmente. I dati sui posti di lavoro sono predisposti da funzionari professionisti, presso una agenzia che attualmente non ha alcuna nomina politica. Ma d’altra parte può darsi che il signor Welch – sotto la cui guida la General Electric riferiva crescite nei profitti considerevolmente regolari, senza nessuna delle fluttuazioni di breve termine che ci si sarebbe aspettati (fluttuazioni che riapparvero sotto il suo successore) – non sappia quanto sia arduo falsificare i dati sui posti di lavoro.
Per di più, i metodi che l’ufficio adopera sono pubblici – ed ognuno che abbia familiarità con i dati capisce che essi sono (inevitabilmente) “sensazionali”, che mesi particolarmente buoni (o cattivi) saranno di quando in quando riferiti come una semplice conseguenza di casualità statistiche. E questo a sua volta significa che non si dovrebbe dar molto peso ad ogni rapporto mensile.
Nel nostro caso, tuttavia, quale è in qualche modo la tendenza a lungo termine? Il quadro dell’occupazione negli Stati Uniti sta migliorando? Si, e così.
Qualche premessa: il rapporto sull’occupazione mensile si basa su due indagini. In una viene chiesto ad un campione di imprenditori scelto a caso quante persone siano nei loro libri paga. Nell’altra si chiede ad un campione scelto a caso di famiglie se i loro componenti stiano lavorando o stiano cercando lavoro. E se guardate alla tendenza nel corso dell’anno trascorso o giù di lì, entrambe le indagini indicano un mercato del lavoro che è gradualmente in ripresa, con una creazione di posti di lavoro che sta in modo consistente eccedendo la crescita della popolazione in età lavorativa.
Sul lato degli imprenditori i numeri attuali dicono che nell’anno passato l’economia è cresciuta di 150.000 posti di lavoro al mese, e le revisioni probabilmente collocheranno quel dato significativamente più in alto. Si tratta di un numero assai superiore ai circa 90.000 posti di lavoro aggiuntivi necessari per tenere il passo con la popolazione (questo dato era solitamente più elevato, ma la crescita implicita delle forze di lavoro è oggi diminuita bruscamente, dato che molti “baby boomers” [2] stanno raggiungendo l’età della pensione).
Nel frattempo, l’indagine sulle famiglie offre stime sia sul numero degli americani occupati che di quelli disoccupati, definiti come persone che stanno cercando lavoro ma che attualmente non ce l’hanno. Il dato che salta agli occhi dal rapporto di venerdì è stata una improvvisa caduta nel tasso di disoccupazione dall’8,1 per cento al 7,8 per cento, ma, come ho detto, non si dovrebbe porre molta enfasi sui dati di un mese. Il punto più importante è che la disoccupazione risulta in un prolungata tendenza al ribasso.
Ma non si tratta semplicemente del fatto che le persone hanno smesso di cercar lavoro e di conseguenza non sono più considerate come disoccupate? In effetti, no. E’ vero che il rapporto occupazione-popolazione – la percentuale di persone adulte con il posto di lavoro –è rimasta più o meno piatta nell’anno passato. Ma ricordiamoci di quei baby boomers che invecchiano: la frazione di americani adulti che sono nei loro primi anni lavorativi è caduta velocemente. Una volta che si mettono nel conto gli effetti di una popolazione che invecchia, i dati mostrano un sostanziale miglioramento nel quadro dell’occupazione a partire dall’estate del 2011.
Non si dovrebbe considerare che questo implichi che la situazione sia buona, o negare che si dovrebbe far meglio – il deficit è largamente dovuto alle tattiche da ‘terra-bruciata’ dei Repubblicani, che hanno bloccato in tutti i modi ogni sforzo per accelerare il ritmo della ripresa (se fosse stata approvata la proposta di legge sul ‘lavoro americano’, proposta dalla Amministrazione Obama l’anno passato, il tasso di disoccupazione sarebbe probabilmente al di sotto del 7 per cento). L’economia statunitense è ancora lontana da dove dovrebbe essere, e il mercato del lavoro ha ancora molta strada da compiere prima di recuperare il terreno perduto con la Grande recessione [3]. Ma i dati sull’occupazione indicano per davvero un’economia in lenta guarigione, un’economia nella quale gli oneri del debito in diminuzione dei consumatori e la ripresa del settore delle costruzioni ci hanno finalmente rimesso sulla strada della piena occupazione.
E quella è la novità che la destra non può affrontare. Il furore per il rapporto di venerdì mostra un movimento politico che fa il tifo per il fallimento del paese, talmente ossessionato di tirar giù Obama che le buone notizie per i lavoratori americani che da tempo patiscono spinge i suoi componenti in una rabbia cieca. Esso è anche rivelatore di un movimento che vive in una bolla intellettuale, che si misura con un realtà scomoda – ancorché quella realtà riguardi sondaggi e dati dell’economia – non solo negando i fatti, ma anche inventandosi deliranti teorie di cospirazione.
E’ semplicemente spaventoso pensare che un movimento in tal modo uscito di senno eserciti tanto potere politico.
[1] “Truther” (UrbanDictionary) è un termine ironico – giacché letteralmente sarebbe all’incirca “veritieri” – che può significare “coloro che dicono sempre la verità”, oppure “coloro che non si fidano mai delle verità ufficiali” (sino a ricomprendere nella categoria coloro che sostengono che gli attentati alle Torri Gemelle furono opera del Governo americano). In questo caso – trattandosi di verità ufficiale, poiché il Bureau of Labor Statistics (BLS) è l’organo preposto – propendo per un uso paradossale, ovvero “coloro che non vogliono vedere la realtà”.
[2] E’ il termine con il quale si indicano le generazioni americane degli anni successivi alla Seconda Guerra mondiale. Si ebbe allora un periodo di notevoli incrementi nelle nascite e quell’ ‘onda’ ha naturalmente prodotto effetti diversi nel corso dei decenni successivi. Ormai siamo al punto in cui quegli effetti non sono più sul mercato del lavoro, ma sull’esercito dei pensionati.
[3] La “Great Recession” è la crisi di questi anni, mentre la “Great Depression” è quella degli anni ’30.
By mm
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