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Combattere i fantasmi fiscali (New York Times 25 novembre 2012)

 

Fighting Fiscal Phantoms

By PAUL KRUGMAN
Published: November 25, 2012

 

These are difficult times for the deficit scolds who have dominated policy discussion for almost three years. One could almost feel sorry for them, if it weren’t for their role in diverting attention from the ongoing problem of inadequate recovery, and thereby helping to perpetuate catastrophically high unemployment.

What has changed? For one thing, the crisis they predicted keeps not happening. Far from fleeing U.S. debt, investors have continued to pile in, driving interest rates to historical lows. Beyond that, suddenly the clear and present danger to the American economy isn’t that we’ll fail to reduce the deficit enough; it is, instead, that we’ll reduce the deficit too much. For that’s what the “fiscal cliff” — better described as the austerity bomb — is all about: the tax hikes and spending cuts scheduled to kick in at the end of this year are precisely not what we want to see happen in a still-depressed economy.

 

Given these realities, the deficit-scold movement has lost some of its clout. That movement, by the way, is a hydra-headed beast, comprising many organizations that turn out, on inspection, to be financed and run by more or less the same people; dig down into many of these groups’ back stories and you will, in particular, find Peter Peterson, the private-equity billionaire, playing a key role.

 

But the deficit scolds aren’t giving up. Now yet another organization, Fix the Debt, is campaigning for cuts to Social Security and Medicare, even while making lower tax rates a “core principle.” That last part makes no sense in terms of the group’s ostensible mission, but makes perfect sense if you look at the array of big corporations, from Goldman Sachs to the UnitedHealth Group, that are involved in the effort and would benefit from tax cuts. Hey, sacrifice is for the little people.

 

 

So should we take this latest push seriously? No — and not just because these people, aside from exhibiting a lot of hypocrisy, have been wrong about everything so far. The truth is that at a fundamental level the crisis story they’re trying to sell doesn’t make sense.

You’ve heard the story many times: Supposedly, any day now investors will lose faith in America’s ability to come to grips with its budget failures. When they do, there will be a run on Treasury bonds, interest rates will spike, and the U.S. economy will plunge back into recession.

This sounds plausible to many people, because it’s roughly speaking what happened to Greece. But we’re not Greece, and it’s almost impossible to see how this could actually happen to a country in our situation.

For we have our own currency — and almost all of our debt, both private and public, is denominated in dollars. So our government, unlike the Greek government, literally can’t run out of money. After all, it can print the stuff. So there’s almost no risk that America will default on its debt — I’d say no risk at all if it weren’t for the possibility that Republicans would once again try to hold the nation hostage over the debt ceiling.

 

But if the U.S. government prints money to pay its bills, won’t that lead to inflation? No, not if the economy is still depressed.

Now, it’s true that investors might start to expect higher inflation some years down the road. They might also push down the value of the dollar. Both of these things, however, would actually help rather than hurt the U.S. economy right now: expected inflation would discourage corporations and families from sitting on cash, while a weaker dollar would make our exports more competitive.

 

 

Still, haven’t crises like the one envisioned by deficit scolds happened in the past? Actually, no. As far as I can tell, every example supposedly illustrating the dangers of debt involves either a country that, like Greece today, lacked its own currency, or a country that, like Asian economies in the 1990s, had large debts in foreign currencies. Countries with large debts in their own currency, like France after World War I, have sometimes experienced big loss-of-confidence drops in the value of their currency — but nothing like the debt-induced recession we’re being told to fear.

So let’s step back for a minute, and consider what’s going on here. For years, deficit scolds have held Washington in thrall with warnings of an imminent debt crisis, even though investors, who continue to buy U.S. bonds, clearly believe that such a crisis won’t happen; economic analysis says that such a crisis can’t happen; and the historical record shows no examples bearing any resemblance to our current situation in which such a crisis actually did happen.

 

If you ask me, it’s time for Washington to stop worrying about this phantom menace — and to stop listening to the people who have been peddling this scare story in an attempt to get their way.

 

Combattere i fantasmi fiscali, di Paul Krugman

New York Times 25 novembre 2012

 

Per le Cassandre fiscali che hanno imperversato nel dibattito politico da quasi tre anni, sono tempi difficili. Potremmo quasi dispiacercene, se non fosse per il ruolo che hanno nel distrarre l’attenzione dai perduranti problemi di una inadeguata ripresa, e di conseguenza nel contribuire a perpetuare una disoccupazione catastroficamente alta.

Che cosa è cambiato? Da una parte, la crisi che avevano predetto continua a non avverarsi. Lungi dal rifuggire il debito degli Stati Uniti, gli investitori continuano ad accumulare obbligazioni, spingendo i tassi di interesse ai minimi storici. Oltre a ciò, tutt’a un tratto il pericolo attuale ed evidente per l’economia non è che non  riusciremo a ridurre a sufficienza  il deficit; ma piuttosto che lo ridurremo troppo. Giacché il “precipizio fiscale” – meglio denominato come la ‘bomba dell’austerità’ – riguarda questo: gli incrementi di tasse ed i tagli alla spesa che è previsto entrino in funzione alla fine di quest’anno non sono precisamente quello che si vorrebbe veder accadere in un’economia ancora depressa.

Date queste realtà, il movimento delle Cassandre del deficit ha perso un po’ della sua influenza. Quel movimento, sia detto per inciso, è un’idra con più teste, che comprende molte organizzazioni che risultano, se si va a vedere, finanziate e gestite più o meno dalle stesse persone; scavate in molte storie di questi gruppi e troverete che, in particolare, Peter Peterson, il miliardario della finanza dei rilevamenti di società decotte, vi gioca un ruolo chiave.

Ma il movimento delle Cassandre del deficit non si arrende. Ancora in questo momento un’altra organizzazione, “Mettere a posto il debito”, sta facendo una campagna per i tagli alla Previdenza Sociale ed a Medicare, persino nel mentre pone l’abbassamento delle aliquote fiscali come “principio cardine”. Quest’ultima parte è in contraddizione con la missione manifesta del gruppo, ma acquista perfettamente un senso se guardate allo schieramento di grandi imprese che sono coinvolte nella partita e che trarrebbero beneficio dagli sgravi fiscali, dalla Goldman Sachs all’ UnitedHealth Group. Ma guarda, i sacrifici sono per questi poverini!

Dovremmo dunque prendere sul serio quest’ultima campagna? No – e non solo perché questa gente, oltre a mostrare un bel po’ di ipocrisia, ha avuto torto su tutto sin dall’inizio. La verità è che, alla base, il racconto della crisi che cercano di far accettare non ha senso.

Lo avete sentito molte volte: si presume che un giorno o l’altro gli investitori perderanno la fiducia nella capacità dell’America di fare i conti con le carenze del suo bilancio. Quando accadrà, ci sarà un assalto ai bonds del Tesoro, i tassi di interesse avranno un’impennata e l’economia americana ripiomberà nella recessione.

Questo sembra plausibile a molti, perché grosso modo dice quello che è successo in Grecia.  Ma noi non siamo la Grecia, ed è quasi impossibile immaginare in che modo una cosa del genere potrebbe effettivamente accadere ad un paese nella nostra situazione.

Perché noi abbiamo la nostra valuta – e quasi tutto il nostro debito, sia privato che pubblico, è espresso in dollari. Dunque il nostro Governo, diversamente dal Governo greco, non può finire a corto di soldi. All’occorrenza può sempre stamparli. Non c’è dunque quasi nessun rischio che l’America vada in default sul suo debito – direi che non c’è affatto alcun rischio se non fosse per la possibilità che i Repubblicani provino un’altra volta a tenere la nazione in ostaggio sul ‘tetto del debito’ [1].  

Ma se il Governo degli Stati Uniti stampasse moneta per pagare i suoi conti, questo non porterebbe all’inflazione? No, non se l’economia è ancora depressa.

Ora, è vero che gli investitori possono cominciare ad aspettarsi un’inflazione più elevata negli anni successivi. Possono anche spingere verso il basso il valore del dollaro.  Ma entrambe queste cose, tuttavia, in questo momento in effetti aiuterebbero piuttosto che danneggiare l’economia americana: l’inflazione attesa scoraggerebbe le imprese e le famiglie dal tenersi i soldi in tasca, mentre un dollaro più debole renderebbe più competitive le nostre esportazioni.

Inoltre, non sono già accadute nel passato crisi come quella che si immaginano le Cassandre del deficit? In effetti no. Tutto quello che posso dire è che gli effetti che si suppone mostrino i pericoli del debito o riguardano paesi che, come la Grecia di oggi, sono privi di una propria valuta, oppure riguardano paesi che, come le economie asiatiche negli anni ’90, avevano grandi debiti in valute straniere. Paesi con grandi debiti nelle loro proprie valute, come la Francia dopo la Prima Guerra Mondiale, talvolta hanno conosciuto gravi  cadute nel valore delle loro monete per crisi di fiducia, ma niente di simile alla recessione indotta dal debito che si dice dovremmo temere.  

Facciamo, dunque, un momento un passo indietro e consideriamo cosa sta succedendo da noi. Per anni le Cassandre del deficit hanno schiavizzato Washington con le messe in guardia su una imminente crisi del debito, anche se gli investitori, che continuano  ad acquistare bonds statunitensi, chiaramente credono che una crisi del genere non possa accadere; anche se lo stesso dice l’analisi economica; anche se le serie storiche non mostrano alcun esempio che abbia una qualche somiglianza con la nostra situazione attuale, nel quale una crisi del genere abbia avuto davvero avuto luogo.

Se volete la mia opinione, è tempo che Washington la smetta di preoccuparsi con queste minacce fantasma – e che la smetta di ascoltare le persone che hanno messo in circolazione questo storia allarmistica nel solo tentativo di averla vinta.


 

 


[1] Come è noto il Congresso americano ha la strana prerogativa di approvare anno per anno l’elevamento del tetto del debito, anche se tale limite viene superato in conseguenza di deliberazioni e leggi precedentemente approvate. Non elevare il tetto del debito (che è espresso in cifre assolute ed è dunque praticamente obbligatorio che sia elevato anno per anno) comporterebbe praticamente un blocco delle operatività del Governo federale. Quando un Presidente americano non ha la maggioranza in Congresso e deve fronteggiare una opposizione particolarmente faziosa  (come oggi Obama e in passato Clinton), la crisi sul “tetto del debito” effettivamente può aver luogo, creando grandi apprensioni, provocando danni notevoli (è in ballo nientemeno che un default degli Stati Uniti). E’ vero che una crisi del genere alla fine in qualche modo  solitamente si compone, talora con compromessi complicati, come avvenne nel 2011.

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