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La banda del ricatto (New York Times 1 novembre 2012)

 

The Blackmail Caucus

By PAUL KRUGMAN
Published: November 1,

 

If President Obama is re-elected, health care coverage will expand dramatically, taxes on the wealthy will go up and Wall Street will face tougher regulation. If Mitt Romney wins instead, health coverage will shrink substantially, taxes on the wealthy will fall to levels not seen in 80 years and financial regulation will be rolled back.

 Given the starkness of this difference, you might have expected to see people from both sides of the political divide urging voters to cast their ballots based on the issues. Lately, however, I’ve seen a growing number of Romney supporters making a quite different argument. Vote for Mr. Romney, they say, because if he loses, Republicans will destroy the economy.

O.K., they don’t quite put it that way. The argument is phrased in terms of “partisan gridlock,” as if both parties were equally extreme. But they aren’t. This is, in reality, all about appeasing the hard men of the Republican Party.

If you want an example of what I’m talking about, consider the remarkable — in a bad way — editorial in which The Des Moines Register endorsed Mr. Romney. The paper acknowledged that Mr. Obama’s signature economic policy, the 2009 stimulus, was the right thing to do. It also acknowledged that Mr. Obama tried hard to reach out across the partisan divide, but was rebuffed.

 

 

Yet it endorsed his opponent anyway, offering some half-hearted support for Romneynomics, but mainly asserting that Mr. Romney would be able to work with Democrats in a way that Mr. Obama has not been able to work with Republicans. Why? Well, the paper claims — as many of those making this argument do — that, in office, Mr. Romney would be far more centrist than anything he has said in the campaign would indicate. (And the notion that he has been lying all along is supposed to be a point in his favor?) But mostly it just takes it for granted that Democrats would be more reasonable.

 

 

Is this a good argument?

The starting point for many “vote for Romney or else” statements is the notion that a re-elected President Obama wouldn’t be able to accomplish anything in his second term. What this misses is the fact that he has already accomplished a great deal, in the form of health reform and financial reform — reforms that will go into effect if, and only if, he is re-elected.

 

 

But would Mr. Obama be able to negotiate a Grand Bargain on the budget? Probably not — but so what? America isn’t facing any kind of short-run fiscal crisis, except in the fevered imagination of a few Beltway insiders. If you’re worried about the long-run imbalance between spending and revenue, well, that’s an issue that will have to be resolved eventually, but not right away. Furthermore, I’d argue that any alleged Grand Bargain would be worthless as long as the G.O.P. remained as extreme as it is, because the next Republican president, following the lead of George W. Bush, would just squander the gains on tax cuts and unfunded wars.

So we shouldn’t worry about the ability of a re-elected Obama to get things done. On the other hand, it’s reasonable to worry that Republicans will do their best to make America ungovernable during a second Obama term. After all, they have been doing that ever since Mr. Obama took office.

During the first two years of Mr. Obama’s presidency, when Democrats controlled both houses of Congress, Republicans offered scorched-earth opposition to anything and everything he proposed. Among other things, they engaged in an unprecedented number of filibusters, turning the Senate — for the first time — into a chamber in which nothing can pass without 60 votes.

 

And, when Republicans took control of the House, they became even more extreme. The 2011 debt ceiling standoff was a first in American history: An opposition party declared itself willing to undermine the full faith and credit of the U.S. government, with incalculable economic effects, unless it got its way. And the looming fight over the “fiscal cliff” is more of the same. Once again, the G.O.P. is threatening to inflict large damage on the economy unless Mr. Obama gives it something — an extension of tax cuts for the wealthy — that it lacks the votes to pass through normal constitutional processes.

 

Would a Democratic Senate offer equally extreme opposition to a President Romney? No, it wouldn’t. So, yes, there is a case that “partisan gridlock” would be less damaging if Mr. Romney won.

But are we ready to become a country in which “Nice country you got here. Shame if something were to happen to it” becomes a winning political argument? I hope not. By all means, vote for Mr. Romney if you think he offers the better policies. But arguing for Mr. Romney on the grounds that he could get things done veers dangerously close to accepting protection-racket politics, which have no place in American life.

 

La banda del ricatto, di Paul Krugman

New York Times 1 novembre 2012

 

Se il Presidente Obama viene rieletto, la copertura della assistenza sanitaria si allargherà in modo spettacolare, le tasse sui più ricchi saliranno e Wall Street dovrà fare i conti con una regolamentazione più dura. Se invece vince Mitt Romney, l’assistenza sanitaria si restringerà sostanzialmente, le tasse sui più ricchi cadranno a livelli che non si erano visti in 80 anni e la regolamentazione finanziaria verrà archiviata.

Data la concretezza di questa diversità, potevate aspettarvi di vedere le persone di entrambi gli schieramenti della politica dividersi spingendo gli elettori a votare sulla base di quei temi. Di recente, tuttavia, ho visto un numero crescente di sostenitori di Romney avanzare un argomento abbastanza originale. Votate per Romney, essi dicono, perché se perde i Repubblicani distruggeranno l’economia.

Va bene, non la mettono proprio in questi termini. L’argomento è espresso nei termini di un “impasse della faziosità”, come se entrambi i partiti fossero estremisti nella stessa misura. Ma non è così. Tutto questo, in realtà, dipende dal desiderio di tranquillizzare gli uomini forti del Partito Repubblicano.

Se volete un esempio di quello di cui sto parlando, considerate il rilevante editoriale – in senso negativo – con il quale The Des Moines Register [1]  si è schierato con Romney. Il giornale ha riconosciuto che il tratto distintivo della politica economica di Obama, lo stimulus del 2009,  era la cosa giusta da fare. Ha anche riconosciuto che Obama ha cercato con caparbietà di aprire un dialogo tra le opposte fazioni, ma di non essere stato preso in considerazione.

Tuttavia il giornale in qualche modo si schiera con il suo oppositore, offrendo un sostegno abbastanza fiacco alla politica economica di Romney, ma principalmente asserendo che Romney sarà capace di collaborare con i Democratici diversamente da quello che è riuscito a fare Obama con i Repubblicani. Perché? Ebbene, il giornale sostiene – come fanno molti di coloro che avanzano lo stesso argomento – che, una volta in carica, Romney avrebbe una politica molto più centrista di quanto non farebbero pensare tutte le cose dette in campagna elettorale (e l’idea che abbia mentito per tutto il tempo, si deve ritenere sia un punto a suo favore?). Ma principalmente si può semplicemente dare per scontato che i Democratici sarebbero più ragionevoli.

 

Si tratta di un buon argomento?

Il punto di partenza di molti discorsi del genere “votate per Romney, sennò …” è l’idea che un Presidente Obama rieletto non sarebbe capace di portare a compimento niente nel suo secondo mandato. Quello che non si comprende è il fatto che egli ha già portato a compimento molto, nelle forma delle riforma sanitaria e di quella del sistema finanziario – riforme che verranno messe in pratica se, e solo se, egli sarà rieletto.

Ma Obama sarebbe capace di negoziare una Grande Intesa sul bilancio? Probabilmente no, ma cosa significa? L’America non si trova di fronte ad un crisi fiscale prossima, ad eccezione che nella febbrile immaginazione di pochi addetti ai lavori a Washington. Se si è preoccupati degli squilibri di lungo termine tra entrate e spese, ebbene, quello è un tema che alla fine dovrà essere risolto, ma non subito. Inoltre, sono portato a ritenere che ogni pretesa Grande Intesa sarebbe priva di valore se il Partito Repubblicano restasse sulle posizioni estremistiche di oggi, perché il prossimo Presidente Repubblicano, sulle orme di George W. Bush, sperpererebbe ogni vantaggio in sgravi fiscali e in guerre senza copertura finanziaria.

Dunque, non si dovrebbe essere preoccupati della capacità di un rieletto Obama di portare le cose a compimento. D’altra parte, è ragionevole preoccuparsi del fatto che i repubblicani farebbero del loro meglio per rendere l’America ingovernabile nel corso di un secondo mandato di Obama. Dopo tutto, è quello che hanno fatto dal momento in cui Obama è entrato in carica.

Durante i primi due anni della Presidenza di Obama, quando i democratici controllavano entrambi i rami del Congresso, i repubblicani offrirono una opposizione da terra-bruciata ad ogni e qualsiasi proposta egli avanzasse. Tra le altre cose, si impegnarono in una serie di ostruzionismi senza precedenti, facendo diventare il Senato – per la prima volta – una assemblea nella quale nessun provvedimento poteva passare senza 60 voti.

E quando i repubblicani presero il controllo della Camera, divennero ancor più estremisti. L’impasse del tetto del debito [2] del 2011 è stato un inedito nella storia dell’America: un partito di opposizione si è dichiarato disposto a minare interamente la fiducia ed il credito del Governo degli Stati Uniti, con effetti economici incalcolabili, se non avesse ottenuto quello che voleva. E la lotta incombente sul “precipizio fiscale” [3] è più o meno dello stesso genere. Ancora una volta si sta minacciando di provocare un danno rilevante all’economia se Obama non concede quello per la cui approvazione attraverso il normale percorso costituzionale, al Partito Repubblicano mancano i voti (ovvero, una proroga degli sgravi fiscali ai più ricchi).

Un Senato controllato dai Democratici si opporrebbe con un simile estremismo al Presidente Romney? No, non lo farebbe. E dunque è vero che quella “impasse della faziosità” provocherebbe danni minori se il signor Romney vincesse.

Ma siamo pronti a diventare un paese nel quale il ricatto [4] è diventato un argomento politico vincente? Spero di no.  In tutti i modi, votate per Romney se pensate che egli offra le politiche migliori. Ma sostenere Romney sulla base dell’argomento che egli potrebbe farsi approvare i provvedimenti, si avvicina pericolosamente ad accettare una politica da racket delle estorsioni, la qualcosa è inaccettabile nello stile di vita americano.



[1] Giornale quotidiano di Des Moines. Des Moines è la capitale dello Iowa – la sua area metropolitana ha 580.000 residenti. Il nome deriva dal fiume omonimo (il fiume “dei Monaci”, in francese “rivière des Moines”). E’ la capitale statunitense delle imprese nel settore assicurativo. E questa è l’Università di Des Moines.

des moines

 

 

 

 

 

 

 

[2] Il “tetto del debito” è una espressione che si riferisce ad un provvedimento di autorizzazione al superamento dell’ammontare del debito dell’anno finanziario precedente, che in modo piuttosto burocratico ogni anno deve essere approvato dalla Camera dei Rappresentanti.  Nonostante che il superamento del debito storico sia già stato formalmente implicito nelle leggi finanziarie, il fatto che esso debba essere formalmente votato al termine di ogni anno teoricamente determina le condizioni – qualora la maggioranza alla Camera sia diversa da quella che ha eletto il Presidente – come minimo per una drammatizzazione dello scontro politico. In realtà non era quasi mai accaduto che questo passaggio fosse sfruttato dall’opposizione in modo spregiudicato. Accadde una prima volta sotto la Presidenza Clinton, quando il leader Repubblicano era Newt Gingrich. E’ poi accaduto in modi altrettanto clamorosi nel 2011 e, indirettamente, provocherà ulteriori effetti alla fine del 2012, giacché l’accordo che si trovò per superare la crisi dell’anno passato fu, per molti aspetti, niente di più che un “armistizio”.

[3] “Fiscal cliff” è il termine usato per descrivere il rompicapo che il governo statunitense dovrà affrontare alla fine del 2012, quando I termini delle legge di Bilancio del 2011 andranno a scadenza. Tra le leggi che debbono essere cambiate per quella data, c’è la fine degli sgravi temporanei delle tasse sugli stipendi (che comporterebbero un incremento  del 2% delle tasse sui lavoratori), la fine di certi sgravi fiscali per le imprese, modifiche alla alternativa della ‘minimum tax’, la fine degli sgravi fiscali provenienti dagli anni  2001-2003 e l’avvio della tassazione connessa con la legge di riforma della assistenza sanitaria di Obama. Nello stesso tempo i tagli alla spesa che furono concordati come parte dell’accordo sul ‘tetto del debito’ del 2011 comincerebbero ad andare in vigore. In sostanza maturerebbero tutte assieme le varie conseguenze di una sorta di bizzarro ‘armistizio’ legislativo che in questi anni ha caratterizzato la situazione nel Congresso americano, in bilico tra le proposta della amministrazione Obama e la preponderanza repubblicana alla Camera dei Rappresentanti. Tale situazione si è caratterizzata per vari compromessi di rinvio di questioni rilevanti che, senza una legislazione di modifiche positive, andrebbero tutte assieme a produrre i loro indesiderati effetti.

 

[4] Traduciamo molto sinteticamente una espressione, che deriva da varie citazioni possibili, che appunto corrisponde al concetto di “ricatto”. Letteralmente la citazione sarebbe “Avete un bel paese qua. Sarebbe una vergogna se succedesse qualcosa”.

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