A few years back, there was a boom in poker television — shows in which you got to watch the betting and bluffing of expert card players. Since then, however, viewers seem to have lost interest. But I have a suggestion: Instead of featuring poker experts, why not have a show featuring poker incompetents — people who fold when they have a strong hand or don’t know how to quit while they’re ahead?
On second thought, that show already exists. It’s called budget negotiations, and it’s now in its second episode.
The first episode ran in 2011, as President Obama made his first attempt to cut a long-run fiscal deal — a so-called Grand Bargain — with John Boehner, the speaker of the House. Mr. Obama was holding a fairly weak hand, after a midterm election in which Democrats took a beating. Nonetheless, the concessions he offered were breathtaking: He was willing to accept huge spending cuts, not to mention a rise in the Medicare eligibility age, in return for a vague promise of higher revenue without any increase in tax rates.
This deal, if implemented, would have been a huge victory for Republicans, deeply damaging both programs dear to Democrats and the Democratic political brand. But it never happened. Why? Because Mr. Boehner and members of his party couldn’t bring themselves to accept even a modest rise in taxes. And their intransigence saved Mr. Obama from himself.
Now the game is on again — but with Mr. Obama holding a far stronger hand. He and his party won a solid victory in this year’s election. And the legislative clock is very much in their favor, too. All the Bush tax cuts are scheduled to expire at the end of the month.
A brief digression: I’ve become aware of a new effort by the G.O.P. to bully reporters into referring only to the “Bush-era” tax cuts, probably in the hope of dissociating those cuts, which they want to preserve, from a president voters now regard with disdain. But George W. Bush and his administration devised those cuts and rammed them through Congress, and it’s deceptive to suggest otherwise.
Back to the poker game: The president doesn’t hold all the cards — there are some things he and fellow Democrats want, like extended unemployment benefits and infrastructure spending, that they can’t get without some Republican cooperation. But he is in a very strong position.
Yet earlier this week progressives suddenly had the sinking feeling that it was 2011 all over again, as the Obama administration made a budget offer that, while far better than the disastrous deal it was willing to make the last time around, still involved giving way on issues where it had promised to hold the line — perpetuating a substantial portion of the high-income Bush tax cuts, effectively cutting Social Security benefits by changing the inflation adjustment.
And this was an offer, not a deal. Are we about to see another round of the president negotiating with himself, snatching policy and political defeat from the jaws of victory?
Well, probably not. Once again, the Republican crazies — the people who can’t accept the idea of ever voting to raise taxes on the wealthy, never mind either fiscal or economic reality — have saved the day.
We don’t know exactly why Mr. Boehner didn’t respond to the president’s offer with a real counteroffer and instead offered something ludicrous — a “Plan B” that, according to the nonpartisan Tax Policy Center, would actually raise taxes for a number of lower- and middle-income families, while cutting taxes for almost half of those in the top 1 percent. The effect, however, has to have been to disabuse the Obama team of any illusions that they were engaged in good-faith negotiations.
Mr. Boehner had evident problems getting his caucus to support Plan B, and he took the plan off the table Thursday night; it would have modestly raised taxes on the really wealthy, the top 0.1 percent, and even that was too much for many Republicans. This means that any real deal with Mr. Obama would be met with mass G.O.P. defections; so any such deal would require overwhelming Democratic support, a fact that empowers progressives ready to bolt if they think the president is giving away too much.
As in 2011, then, the Republican crazies are doing Mr. Obama a favor, heading off any temptation he may have felt to give away the store in pursuit of bipartisan dreams.
And there’s a broader lesson here. This is no time for a Grand Bargain, because the Republican Party, as now constituted, is just not an entity with which the president can make a serious deal. If we’re going to get a grip on our nation’s problems — of which the budget deficit is a minor part — the power of the G.O.P.’s extremists, and their willingness to hold the economy hostage if they don’t get their way, needs to be broken. And somehow I don’t think that’s going to happen in the next few days.
Giocare a poker con le tasse, di Paul Krugman
New York Times
[1] Pochi anni orsono ci fu un boom delle trasmissioni televisive di poker – spettacoli nel quali si poteva assistere alle scommesse ad ai bluff dei giocatori più esperti. Da allora, tuttavia, i telespettatori sembrano aver perso interesse. Ma avrei un’idea: invece di mostrare esperti di poker, perché non mandare in onda uno spettacolo che mostra degli incompetenti – persone che ‘passano’ quando hanno una mano forte o che non sanno fermarsi quando sono in vantaggio?
Pensandoci meglio, quello spettacolo già esiste. E’ chiamato negoziato sul bilancio, ed ora è alla sua seconda puntata.
La prima puntata andò in onda nel 2011, quando il Presidente Obama fece il suo primo tentativo per realizzare un accordo fiscale di lungo termine – la cosiddetta Grande Intesa – con John Boehner, lo speaker della Camera. Obama aveva onestamente una mano debole, dopo elezioni di medio-termine nelle quali i Democratici avevano preso un colpo. Ciononostante, offrì condizioni sensazionali: era disponibile ad accettare grandi tagli alla spesa pubblica, per non dire l’elevamento dell’età di ammissione a Medicare, in cambio di una vaga promessa di maggiori entrate senza incrementi delle aliquote fiscali.
Questo accordo, se messo in atto, avrebbe rappresentato una grande vittoria per i Repubblicani, con una danno profondo sia ai programmi cari ai democratici che alla loro immagine politica. Ma non fu così. Perché? Perché il signor Boehner ed i componenti del suo partito non potevano spingersi ad accettare neppure un modesto aumento delle tasse. La loro intransigenza salvò Obama da se stesso.
Ora il gioco è ripartito – ma Obama ha in mano carte migliori. Lui e il suo partito hanno conseguito una solida vittoria alle elezioni di quest’anno. Ed anche la tempistica della legislazione è in gran parte a loro favore. Tutti gli sgravi fiscali di Bush è previsto che vadano a scadenza alla fine del mese.
Una breve digressione: sono venuto a conoscenza di un nuovo tentativo del Partito Repubblicano di intimidire i giornalisti anche solo dal riferirsi agli sgravi fiscali dell’ “epoca di Bush”, probabilmente nel desiderio di distinguere quegli sgravi, che essi vogliono conservare, da un Presidente che oggi gli elettori hanno in spregio. Ma George W. Bush e la sua Amministrazione concepirono quegli sgravi e li imposero al Congresso, e sarebbe ingannevole riferire diversamente.
Tornando al gioco del poker: il Presidente non ha in mano tutte le carte – ci sono alcune cose che lui ed i suoi colleghi democratici vogliono, come una proroga dei sussidi di disoccupazione e gli investimenti in infrastrutture, che non possono ottenere senza qualche benestare repubblicano. Ma egli è in una posizione molto forte.
Eppure. agli inizi di questa settimana, i progressisti hanno improvvisamente avuto la presagio che tutto fosse di nuovo come nel 2011, dato che la Amministrazione Obama ha avanzato un’offerta che, se è assai migliore del disastroso accordo che si era disponibili a fare la volta scorsa, ancora include cedimenti su temi sui quali si era promesso di non transigere – perpetuare una fetta rilevanti degli sgravi fiscali di Bush sugli alti redditi e tagliare sostanzialmente i sussidi della Previdenza Sociale attraverso modifiche ai meccanismi di indicizzazione al costo della vita.
E si trattava di una offerta, non di un accordo. Siamo un’altra volta dinnanzi ad un Presidente che anzitutto fa compromessi con se stesso [2], che si fa sfilare mano una vittoria e la trasforma in una sconfitta politica e programmatica?
Ebbene, probabilmente no. Ancora un volta, le follie dei Repubblicani – gente che non può prendere in considerazione l’idea di votar mai aumenti di tasse, a prescindere dalla realtà economica e fiscale – ci tolgono dai guai.
Non sappiamo esattamente perché Boehner non abbia risposto all’offerta del Presidente con una reale controproposta ed abbia invece avanzato un’offerta grottesca – un “Piano B” che, secondo l’indipendente Tax Policy Center, effettivamente aumenterebbe le tasse per un certo numero di famiglie di redditi bassi e medi, mentre le aumenterebbe per quasi la metà di coloro che rappresentano l’1 per cento dei più ricchi. L’effetto, tuttavia, è stato quello di disingannare la squadra di Obama, liquidando ogni illusione sulla possibilità di negoziati in buona fede.
Chiaramente Boehner aveva problemi nell’ottenere dal suo gruppo un sostegno al Piano B, e giovedì notte ha tolto la proposta dal tavolo; si avrebbe un modesto aumento delle tasse sui grandi ricchi, lo 0,1 per cento dei redditi più alti, e persino questo era troppo per molti repubblicani. Questo significa che ogni accordo reale con Obama andrebbe incontro a defezioni di massa nel Partito Repubblicano; dunque un qualsiasi accordo di tal genere richiederebbe un sostegno schiacciante del Democratici, fatto questo che darebbe forza ai progressisti, pronti ad opporsi se ritenessero che il Presidente sta concedendo troppo.
Dunque, come nel 2011 le follie dei Repubblicani stanno facendo un favore ad Obama, sbarrando la strada ad ogni tentazione che potesse avere di concedere tutto alla ricerca di sogni bipartizan.
E in questo c’è una lezione più generale. Non è tempo per una Grande Intesa, perché il Partito Repubblicano, per come oggi si presenta, non è un’entità con la quale il Presidente possa fare un serio accordo. Se si è intenzionati ad agire con efficacia sui problemi della nostra nazione – tra i quali il deficit di bilancio è un aspetto minore – il potere degli estremisti del Partito Repubblicano, e la loro volontà di tenere in ostaggio l’economia se non ottengono quello che vogliono, devono essere messi in crisi. E non penso che questo sia destinato in nessun modo ad accadere nei prossimi giorni.
[1] “Texas Hold Them” è una popolare versione del poker, anche detto alla “texana”. Il titolo è dunque un gioco di parole tra “Texas” e “taxes”; il senso non mi pare si debba cercare in “hold them” ( letteralmente “tienile”), ma nel fatto – del quale effettivamente si parla nell’articolo – che lo scontro politico sulle tasse appare simile ad una partita a poker.
[2] “Negoziare con se stessi” significa andare alle trattative avendo in precedenza fatto compromessi nella propria testa, e in tal modo rendersi più deboli.
By mm
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