Let’s get one thing straight: America is not facing a fiscal crisis. It is, however, still very much experiencing a job crisis.
It’s easy to get confused about the fiscal thing, since everyone’s talking about the “fiscal cliff.” Indeed, one recent poll suggests that a large plurality of the public believes that the budget deficit will go up if we go off that cliff.
In fact, of course, it’s just the opposite: The danger is that the deficit will come down too much, too fast. And the reasons that might happen are purely political; we may be about to slash spending and raise taxes not because markets demand it, but because Republicans have been using blackmail as a bargaining strategy, and the president seems ready to call their bluff.
Moreover, despite years of warnings from the usual suspects about the dangers of deficits and debt, our government can borrow at incredibly low interest rates — interest rates on inflation-protected U.S. bonds are actually negative, so investors are paying our government to make use of their money. And don’t tell me that markets may suddenly turn on us. Remember, the U.S. government can’t run out of cash (it prints the stuff), so the worst that could happen would be a fall in the dollar, which wouldn’t be a terrible thing and might actually help the economy.
Yet there is a whole industry built around the promotion of deficit panic. Lavishly funded corporate groups keep hyping the danger of government debt and the urgency of deficit reduction now now now — except that these same groups are suddenly warning against too much deficit reduction. No wonder the public is confused.
Meanwhile, there is almost no organized pressure to deal with the terrible thing that is actually happening right now — namely, mass unemployment. Yes, we’ve made progress over the past year. But long-term unemployment remains at levels not seen since the Great Depression: as of October, 4.9 million Americans had been unemployed for more than six months, and 3.6 million had been out of work for more than a year.
When you see numbers like those, bear in mind that we’re looking at millions of human tragedies: at individuals and families whose lives are falling apart because they can’t find work, at savings consumed, homes lost and dreams destroyed. And the longer this goes on, the bigger the tragedy.
There are also huge dollars-and-cents costs to our unmet jobs crisis. When willing workers endure forced idleness society as a whole suffers from the waste of their efforts and talents. The Congressional Budget Office estimates that what we are actually producing falls short of what we could and should be producing by around 6 percent of G.D.P., or $900 billion a year.
Worse yet, there are good reasons to believe that high unemployment is undermining our future growth as well, as the long-term unemployed come to be considered unemployable, as investment falters in the face of inadequate sales.
So what can be done? The panic over the fiscal cliff has been revelatory. It shows that even the deficit scolds are closet Keynesians. That is, they believe that right now spending cuts and tax hikes would destroy jobs; it’s impossible to make that claim while denying that temporary spending increases and tax cuts would create jobs. Yes, our still-depressed economy needs more fiscal stimulus.
And, to his credit, President Obama did include a modest amount of stimulus in his initial budget offer; the White House, at least, hasn’t completely forgotten about the unemployed. Unfortunately, almost nobody expects those stimulus plans to be included in whatever deal is eventually reached.
So why aren’t we helping the unemployed? It’s not because we can’t afford it. Given those ultralow borrowing costs, plus the damage unemployment is doing to our economy and hence to the tax base, you can make a pretty good case that spending more to create jobs now would actually improve our long-run fiscal position.
Nor, I think, is it really ideology. Even Republicans, when opposing cuts in defense spending, immediately start talking about how such cuts would destroy jobs — and I’m sorry, but weaponized Keynesianism, the assertion that government spending creates jobs, but only if it goes to the military, doesn’t make sense.
No, in the end it’s hard to avoid concluding that it’s about class. Influential people in Washington aren’t worried about losing their jobs; by and large they don’t even know anyone who’s unemployed. The plight of the unemployed simply doesn’t loom large in their minds — and, of course, the unemployed don’t hire lobbyists or make big campaign contributions.
So the unemployment crisis goes on and on, even though we have both the knowledge and the means to solve it. It’s a vast tragedy — and it’s also an outrage.
I milioni dimenticati, di Paul Krugman
New York Times 6 dicembre 2012
Mettiamoci in testa una cosa: l’America non è di fronte ad una crisi della finanza pubblica. Invece, è ancora sicuramente alle prese con una crisi di posti di lavoro.
E’ facile confondersi sull’aspetto della finanza pubblica, dal momento che tutti parlano del cosiddetto ‘precipizio fiscale’. In effetti, un sondaggio recente indica che una larga maggioranza dell’opinione pubblica crede che il deficit di bilancio salirà se finiremo nei pressi di quel precipizio.
Beninteso, si tratta in effetti proprio del contrario: il pericolo è che il deficit scenderà troppo e troppo rapidamente. E le ragioni per le quali può accadere sono eminentemente ragioni politiche: noi possiamo trovarci a tagliare la spesa pubblica e ad aumentare le tasse non perché lo chiedono i mercati, ma perché i Repubblicani utilizzano il ricatto come strategia di contrattazione, ed il Presidente sembra intenzionato ad andare a vedere quel bluff.
Per di più, a dispetto di anni di messe in guardia da parte dei soliti noti sui pericoli del deficit e del debito, il nostro governo può prendere soldi in prestito a tassi di interesse incredibilmente bassi – i tassi di interesse sulle obbligazioni statunitensi indicizzati all’inflazione di fatto sono negativi, dunque gli investitori stanno pagando il nostro Governo perché faccia uso del loro denaro. E non mi si dica che i mercati possono all’improvviso rivoltarsi contro di noi. Si ricordi che il Governo degli Stati Uniti non può esaurire il contante (esso stampa quella roba), dunque la cosa peggiore che potrebbe accadere sarebbe una caduta del dollaro, che non sarebbe poi una cosa terribile ed affettivamente potrebbe dare un aiuto all’economia.
Tuttavia c’è una intera industria addetta a promuovere il panico sul debito. Gruppi profumatamente sovvenzionati al servizio delle grandi imprese continuano a strombazzare il pericolo del debito governativo e l’urgenza di pervenire, senza perdere un attimo, ad una riduzione del deficit – salvo poi che quegli stessi gruppi si sono messi tutt’a un tratto ad ammonire contro una riduzione del deficit troppo grande. Non fa meraviglia che l’opinione pubblica sia confusa.
Nel frattempo, non c’è quasi nessuna pressione organizzata perché ci si misuri con quello di terribile che sta effettivamente succedendo in questo momento – precisamente una disoccupazione di massa. E’ vero, abbiamo fatto progressi nel corso dell’ultimo anno. Ma la disoccupazione di lungo termine resta a livelli mai visti dalla Grande depressione: a far data ad ottobre, quattro milioni e 900 mila americani erano senza lavoro da più di sei mesi, e tre milioni e 600 mila lo erano da più di un anno.
Quando leggete numeri come questi, tenete a mente che stiamo parlando di milioni di tragedie umane: individui e famiglie le cui esistenze stanno andando a pezzi perché non possono trovare lavoro, risparmi che si dilapidano, abitazioni perdute e sogni distrutti. E più a lungo va avanti, maggiore è la tragedia.
Ci sono anche costi monetari in questa nostra crisi di lavoro che non si placa. Quando lavoratori volenterosi patiscono una inerzia obbligata, la società nel suo complesso soffre per lo spreco dei loro sforzi e della loro professionalità. Il Congressional Budget Office stima che quello che stiamo effettivamente producendo è inferiore a quello che potremmo e dovremmo produrre per circa il 6 per cento del PIL, ovvero per 900 miliardi di dollari all’anno.
C’è di peggio: ci sono buone ragioni per credere che l’elevata disoccupazione stia mettendo a repentaglio anche la nostra crescita futura, dato che i disoccupati di lungo corso finiscono con l’essere considerati non più occupabili e gli investimenti vacillano di fronte a vendite inadeguate.
Cosa si può fare, dunque? Il panico sul cosiddetto precipizio fiscale è stato rivelatore. Esso ha mostrato che persino le Cassandre del deficit sono dei keynesiani travestiti. Vale a dire, credono che in questo momento i tagli alla spesa e gli aumenti delle tasse distruggerebbero posti di lavoro. Ma come si può sostenere ciò e nel frattempo negare che temporanei incrementi della spesa e sgravi fiscali creerebbero posti di lavoro? Mentre quello è il punto: la nostra economia tuttora depressa ha bisogno di un maggiore sostegno finanziario pubblico.
Va detto a suo merito, il Presidente Obama aveva incluso un modesto incremento di spesa pubblica nella sua iniziale offerta di bilancio; la Casa Bianca, almeno, non si è completamente scordata dei disoccupati. Sfortunatamente, quasi nessuno si aspetta che questi programmi di sostegno saranno inclusi in qualsivoglia accordo alla fine sarà raggiunto.
Perché, dunque, non stiamo aiutando i disoccupati? Non perché non possiamo permettercelo. Dati quei costi di indebitamento bassissimi, in aggiunta al danno che la disoccupazione provoca alla nostra economia e di conseguenza alla base fiscale, si può ben sostenere che in questo momento una maggiore spesa pubblica per creare posti di lavoro effettivamente migliorerebbe la nostra posizione fiscale nel lungo periodo.
Né, penso, si tratti davvero di ideologia. Persino i Repubblicani, quando si oppongono ai tagli nella spesa pubblica per la difesa, prendono subito a dire di come quei tagli distruggerebbero posti di lavoro. Sono spiacente, ma il keynesismo degli armamenti, ovvero l’idea che la spesa pubblica crei posti di lavoro soltanto se finisce all’esercito, non ha davvero senso.
No, alla fine è difficile evitare di concludere che tutto questo abbia a che fare con una posizione di classe. La gente influente a Washington non ha timore di perdere il proprio lavoro; in genere neppure conoscono qualcuno che abbia perso il lavoro. Semplicemente la condizione dei disoccupati non occupa una posizione di primo piano nelle loro teste – e, come si sa, i disoccupati non assumono lobbisti e neanche danno grandi finanziamenti elettorali.
Così la crisi della disoccupazione va avanti, anche se abbiamo sia le conoscenze che i mezzi per risolverla. E’ una grande tragedia – ed è anche uno scandalo.
By mm
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