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La crisi esistenziale del Partito Repubblicano (New York Times 13 dicembre 2012)

 

The G.O.P.’s Existential Crisis

By PAUL KRUGMAN

Published: December 13,

 

We are not having a debt crisis.

It’s important to make this point, because I keep seeing articles about the “fiscal cliff” that do, in fact, describe it — often in the headline — as a debt crisis. But it isn’t. The U.S. government is having no trouble borrowing to cover its deficit. In fact, its borrowing costs are near historic lows. And even the confrontation over the debt ceiling that looms a few months from now if we do somehow manage to avoid going over the fiscal cliff isn’t really about debt.

 

No, what we’re having is a political crisis, born of the fact that one of our two great political parties has reached the end of a 30-year road. The modern Republican Party’s grand, radical agenda lies in ruins — but the party doesn’t know how to deal with that failure, and it retains enough power to do immense damage as it strikes out in frustration.

Before I talk about that reality, a word about the current state of budget “negotiations.”

Why the scare quotes? Because these aren’t normal negotiations in which each side presents specific proposals, and horse-trading proceeds until the two sides converge. By all accounts, Republicans have, so far, offered almost no specifics. They claim that they’re willing to raise $800 billion in revenue by closing loopholes, but they refuse to specify which loopholes they would close; they are demanding large cuts in spending, but the specific cuts they have been willing to lay out wouldn’t come close to delivering the savings they demand.

 

It’s a very peculiar situation. In effect, Republicans are saying to President Obama, “Come up with something that will make us happy.” He is, understandably, not willing to play that game. And so the talks are stuck.

Why won’t the Republicans get specific? Because they don’t know how. The truth is that, when it comes to spending, they’ve been faking it all along — not just in this election, but for decades. Which brings me to the nature of the current G.O.P. crisis.

Since the 1970s, the Republican Party has fallen increasingly under the influence of radical ideologues, whose goal is nothing less than the elimination of the welfare state — that is, the whole legacy of the New Deal and the Great Society. From the beginning, however, these ideologues have had a big problem: The programs they want to kill are very popular. Americans may nod their heads when you attack big government in the abstract, but they strongly support Social Security, Medicare, and even Medicaid. So what’s a radical to do?

The answer, for a long time, has involved two strategies. One is “starve the beast,” the idea of using tax cuts to reduce government revenue, then using the resulting lack of funds to force cuts in popular social programs. Whenever you see some Republican politician piously denouncing federal red ink, always remember that, for decades, the G.O.P. has seen budget deficits as a feature, not a bug.

 

Arguably more important in conservative thinking, however, was the notion that the G.O.P. could exploit other sources of strength — white resentment, working-class dislike of social change, tough talk on national security — to build overwhelming political dominance, at which point the dismantling of the welfare state could proceed freely. Just eight years ago, Grover Norquist, the antitax activist, looked forward cheerfully to the days when Democrats would be politically neutered: “Any farmer will tell you that certain animals run around and are unpleasant, but when they’ve been fixed, then they are happy and sedate.”

 

 

O.K., you see the problem: Democrats didn’t go along with the program, and refused to give up. Worse, from the Republican point of view, all of their party’s sources of strength have turned into weaknesses. Democratic dominance among Hispanics has overshadowed Republican dominance among southern whites; women’s rights have trumped the politics of abortion and antigay sentiment; and guess who finally did get Osama bin Laden.

And look at where we are now in terms of the welfare state: far from killing it, Republicans now have to watch as Mr. Obama implements the biggest expansion of social insurance since the creation of Medicare.

 

 

 

So Republicans have suffered more than an election defeat, they’ve seen the collapse of a decades-long project. And with their grandiose goals now out of reach, they literally have no idea what they want — hence their inability to make specific demands.

It’s a dangerous situation. The G.O.P. is lost and rudderless, bitter and angry, but it still controls the House and, therefore, retains the ability to do a lot of harm, as it lashes out in the death throes of the conservative dream.

Our best hope is that business interests will use their influence to limit the damage. But the odds are that the next few years will be very, very ugly.

 

La crisi esistenziale del Partito Repubblicano, di Paul Krugman

New York Times 13 dicembre 2012

 

Non abbiamo una crisi da debito.

E’ importante ribadire questo punto, perché continuo a leggere articoli sul ‘precipizio fiscale’ che, in sostanza, proprio lo descrivono – spesso nei titoli – come una crisi da debito. Ma non è così. Il Governo degli Stati Uniti non ha nessuna difficoltà ad indebitarsi per coprire i suoi deficit. Di fatto, i suoi costi di indebitamento sono vicini ai minimi storici. E persino lo scontro sul tetto del debito [1] che si annuncia di qua a pochi mesi, se in qualche modo riusciamo ad andar oltre il precipizio fiscale, in realtà non riguarderà il debito.

No, quello che abbiamo è una crisi politica, che nasce dal fatto che uno dei due nostri grandi Partiti ha raggiunto la fine di un percorso di trent’anni. Il programma, grandioso e radicale, del Partito Repubblicano è andato in rovina, ma il partito non sa fare i conti con quel fallimento, e mantiene un potere sufficiente a provocare un immenso danno, nel mentre procede nella frustrazione.

 

Prima di venire a quella realtà, una parola sullo stato attuale dei “negoziati” sul bilancio.

Perché metto in guardia con le virgolette? Perché questi non sono normali negoziati nei quali ogni parte presenta proposte specifiche, e il mercanteggiamento va avanti sinché le due parti convergono. E’ opinione generale che i Repubblicani non abbiano, sino a questo punto, fatto alcuna proposta specifica. Pretendono di voler aumentare di 800 miliardi di dollari le entrate interrompendo le scappatoie fiscali, ma rifiutano di specificare quali elusioni vorrebbero eliminare; si pronunciano per grandi tagli alla spesa pubblica, ma i tagli specifici che hanno intenzione di mettere sul piatto resterebbero lontani dal produrre i risparmi che chiedono.

E’ una situazione del tutto insolita. E’ come se i Repubblicani stessero dicendo ad Obama: “Fatti venire in mente qualcosa che ci faccia contenti”. Comprensibilmente, egli non ha alcuna voglia di giocare a quel gioco. E dunque i colloqui sono bloccati.

Perché i Repubblicani non otterranno niente di particolare? Parchè non sanno come fare. La verità è che quando si arriva alla spesa pubblica, essi hanno detto bugie per tutto il tempo – non solo in queste elezioni, ma da decenni. La qualcosa mi porta alla natura della crisi attuale del Partito Repubblicano.

A partire dagli anni ’70 il Partito Repubblicano è caduto sempre di più sotto l’influenza di ideologhi liberisti [2], il cui obbiettivo era nientemeno che l’eliminazione dello stato assistenziale – ovvero, l’eredità intera del New Deal e della Great Society [3]. Sin dall’inizio, tuttavia, questi ideologhi sono stati un gran problema: i programmi che volevano liquidare erano molto popolari. Gli americani possono annuire quando si attacca in astratto lo stato sociale, ma sostengono con forza la Previdenza Sociale, Medicare e persino Medicaid. Cosa deve fare un liberista?

La risposta, per lungo tempo, ha implicato due strategie. Una, denominata “affamare la bestia”, era l’idea di utilizzare gli sgravi fiscali per ridurre le entrate dello Stato, e poi usare la conseguente mancanza di fondi per costringere a tagli nei programmi sociali popolari. Ogni qualvolta vedete un uomo politico repubblicano denunciare con fervore i conti in rosso del governo federale, ricordatevi sempre che per decenni il Partito Repubblicano ha considerato i deficit di bilancio come una attrazione, non come un fastidio.

Ancora più importante, nel pensiero conservatore, è stato tuttavia il concetto secondo il quale il Partito Repubblicano avrebbe potuto fare leva su altri punti di forza – il risentimento dei bianchi, la avversione della classe lavoratrice al cambiamento sociale, l’esprimersi con durezza sui temi della difesa nazionale – per costruire uno schiacciante dominio politico, sino al punto in cui lo smantellamento dello stato assistenziale avrebbe potuto procedere liberamente. Solo otto anni fa, Grover Norquist [4], il campione della lotta contro il fisco, confidava allegramente nei giorni nei quali i Democratici sarebbero stati politicamente neutralizzati: “Ogni agricoltore vi può dire che ci sono certe bestie fastidiose in giro, ma una volta che sono state trattate, diventano buone ed innocue”.

Ebbene, potete capire il problema: i Democratici non hanno assecondato quel progetto, ed hanno rifiutato di arrendersi. Dal punto di vista dei Repubblicani è andata peggio, tutti i punti di forza del partito si sono trasformati in debolezze. La prevalenza democratica tra gli ispanici ha oscurato la prevalenza repubblicana tra i bianchi del Sud; i diritti delle donne hanno surclassato i temi dell’aborto ed i pregiudizi contro i gay; per non dire che sapete chi alla fine ha fatto fuori Osama bin Laden.

E guardate ora a che punto siamo quanto allo stato assistenziale: lungi dal liquidarlo, oggi i Repubblicani devono assistere ad un Obama che mette in atto la più grande espansione della assicurazione sociale dai tempi di Medicare.

 

In questo modo, i Repubblicani hanno patito assai più che una sconfitta elettorale, hanno assistito al collasso di un progetto che durava da decenni.  E con i grandiosi obbiettivi fuori dalla loro portata, letteralmente non hanno idea di cosa volere – da qua la loro incapacità ad avanzare richieste precise.

E’ una situazione pericolosa. Il Partito Repubblicano è senza timone e senza speranza, amareggiato e innervosito, ma controlla ancora la Camera e, di conseguenza, mantiene la capacità di fare grandi danni, quasi un colpo di coda negli spasmi finali del sogno conservatore.

La nostra maggiore speranza è che gli interessi economici usino la loro influenza per contenere il danno. Ma è probabile che i prossimi anni saranno brutti, davvero brutti.

 


 

 


[1] Ovvero, lo scontro congressuale che si ripete ogni anno attorno al provvedimento che ammette il superamento del tetto del debito dell’anno precedente. A condizioni normali, si dovrebbe trattare di un provvedimento scontato, giacché è inevitabile che in termini assoluti  il debito cresca, non fosse altro per l’incremento della popolazione che riceve servizi. Ciononostante, da tempo l’esistenza di una maggioranza diversa da quella del Presidente alla Camera dei Rappresentanti – che è il ramo del Congresso che adotta tale provvedimento – provoca una drammatizzazione di quell’appuntamento.

[2] Il termine “radical” nel linguaggio politico americano ha in effetti prevalentemente il significato di radicalismo liberista.

[3] Ovvero l’epoca kennediana. O più precisamente Johnsoniana, giacché molti provvedimenti di ampliamento dei diritti e dello stato sociale furono assunti dopo l’assassinio di Kennedy.

[4]Grover Glenn Norquist, nato il 19 ottobre 1956, conservatore e  liberista, Presidente e fondatore della associazione “Americani per la riforma del fisco”. E’ noto come il promotore del movimento “Impegno a tutela dei contribuenti”, al quale erano iscritti, prima delle elezioni del 2012, il 95% degli iscritti al Partito Repubblicano.

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