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Quando la profezia fallisce (New York Times 23 dicembre 2012)

 

When Prophecy Fails

By PAUL KRUGMAN
Published: December 23, 2012

 

Back in the 1950s three social psychologists joined a cult that was predicting the imminent end of the world. Their purpose was to observe the cultists’ response when the world did not, in fact, end on schedule. What they discovered, and described in their classic book, “When Prophecy Fails,” is that the irrefutable failure of a prophecy does not cause true believers — people who have committed themselves to a belief both emotionally and by their life choices — to reconsider. On the contrary, they become even more fervent, and proselytize even harder.

This insight seems highly relevant as 2012 draws to a close. After all, a lot of people came to believe that we were on the brink of catastrophe — and these views were given extraordinary reach by the mass media. As it turned out, of course, the predicted catastrophe failed to materialize. But we can be sure that the cultists won’t admit to having been wrong. No, the people who told us that a fiscal crisis was imminent will just keep at it, more convinced than ever.

 

Oh, wait a second — did you think I was talking about the Mayan calendar thing?

 

Seriously, at every stage of our ongoing economic crisis — and in particular, every time anyone has suggested actually trying to do something about mass unemployment — a chorus of voices has warned that unless we bring down budget deficits now now now, financial markets will turn on America, driving interest rates sky-high. And these prophecies of doom have had a powerful effect on our economic discourse.

 

Thus, back in May 2009 the Wall Street Journal editorial page seized on an uptick in long-term interest rates to declare that the “bond vigilantes,” the “disciplinarians of U.S. policy makers,” had arrived, and would push rates inexorably higher if big budget deficits continued. As it happened, rates soon went back down. But that didn’t stop The Journal’s news section from rolling out the same story the next time rates rose: “Debt fears send rates up,” blared a headline in March 2010; the debt continued to grow, but the rates went down again.

 

At this point the yield on the benchmark 10-year bond is less than half what it was when that 2009 editorial was published. But don’t expect any rethinking on The Journal’s part.

Now, you could say that The Journal’s editors didn’t give a specific date for the fiscal apocalypse, although I doubt that any of their readers imagined that they were talking about an event at least three years and seven months in the future.

In any case, some of the most prominent deficit scolds have indeed been willing to talk about dates, or at least time horizons. In early 2011 Erskine Bowles confidently declared that we would face a fiscal crisis within around two years unless something like the Bowles-Simpson deficit plan was enacted, and Alan Simpson chimed in to say that it would be less than two years. I guess he has about 10 weeks left. But again, don’t expect either Mr. Simpson or Mr. Bowles to admit that there might have been something fundamentally wrong with their analysis.

 

 

No, very few of the prophets of fiscal doom have acknowledged the failure of their prophecies to come true so far. And those who have admitted surprise seem more annoyed than chastened. For example, back in 2010 Alan Greenspan — who is, for some reason, still treated as an authority figure — conceded that despite large budget deficits, “inflation and long-term interest rates, the typical symptoms of fiscal excess, have remained remarkably subdued.” But he went on to declare, “This is regrettable, because it is fostering a sense of complacency.” How dare reality not validate my fears!

 

Regular readers know that I and other economists argued from the beginning that these dire warnings of fiscal catastrophe were all wrong, that budget deficits won’t cause soaring interest rates as long as the economy is depressed — and that the biggest risk to the economy is that we might try to slash the deficit too soon. And surely that point of view has been strongly validated by events.

 

The key thing we need to understand, however, is that the prophets of fiscal disaster, no matter how respectable they may seem, are at this point effectively members of a doomsday cult. They are emotionally and professionally committed to the belief that fiscal crisis lurks just around the corner, and they will hold to their belief no matter how many corners we turn without encountering that crisis.

 

So we cannot and will not persuade these people to reconsider their views in the light of the evidence. All we can do is stop paying attention. It’s going to be difficult, because many members of the deficit cult seem highly respectable. But they’ve been hugely, absurdly wrong for years on end, and it’s time to stop taking them seriously.

 

Quando la profezia fallisce, di Paul Krugman

New York Times 23 dicembre 2012

 

Nel lontano 1950 tre psicologi sociali misero assieme una setta che prediceva la imminente fine del mondo. Il loro proposito era quello di osservare la reazione dei membri della setta al momento in cui il mondo, nei fatti, non fosse terminato come previsto. Quello che scoprirono, e descrissero nel loro classico libro, “Quando una profezia fallisce”, è che l’inconfutabile venir meno di una profezia non spinge i veri credenti – gente che si era impegnata in una fede, sia emozionalmente che nelle proprie scelte di vita – ad un ripensamento. Al contrario, essi divennero ancora più ferventi, e fecero proseliti persino con maggiore entusiasmo.

Questa intuizione sembra assai rilevante ora che il 2012 viene a scadenza. Dopo tutto, una gran numero di persone erano arrivate a credere che fossimo sull’orlo di una catastrofe – e questi punti di vista avevano avuto una eco straordinaria nei mass-media [1]. Quello che è successo, naturalmente, è che la prevista catastrofe non si è avverata. Ma possiamo star certi che i membri della setta non ammetteranno di aver avuto torto. No, le persone che ci avevano detto che una crisi fiscale era imminente semplicemente persevereranno, più persuasi che mai.

Aspettate un secondo – pensavate che stessi parlando della faccenda del calendario Maya?

 

Seriamente, ad ogni stadio della nostra perdurante crisi economica – e in particolare, ogni volta che qualcuno suggeriva di provare effettivamente a fare qualcosa sulla disoccupazione di massa – un coro di voci metteva in guardia sul fatto che se non avessimo abbattuto il deficit di bilancio senza nessun indugio i mercati finanziari si sarebbero rivoltati contro l’America, spingendo alle stelle i tassi di interesse. E queste profezie di sventura hanno avuto un impatto potente sul dibattito economico.

Così, a maggio del 2009 la pagina editoriale del Wall Street Journal sfruttò una lieve risalita dei tassi di interesse a lungo termine per dichiarare che erano arrivati i “guardiani dei bonds”, coloro che avrebbero “messo in fila i legislatori degli Stati Uniti”, ed avrebbero inesorabilmente spinto i tassi verso l’alto se i deficit di bilancio fossero proseguiti. Accadde che i tassi rapidamente tornarono in basso. Nel marzo del 2010, alla successiva occasione di un rialzo dei tassi, rilanciando la stessa storia, il notiziario del Journal sparò l’editoriale “Le paure del debito spingono i tassi in alto”; il debito continuò a crescere ma i tassi si abbassarono di nuovo.

A questo punto, la resa standard dei bond decennali è meno della metà di quello che era al momento della pubblicazione dell’editoriale del 2009. Ma non ci si aspetti alcun ripensamento da parte di The Journal.

Ora, si può sostenere che gli editori di The Journal non avessero fornito una specifica data per l’apocalisse fiscale, sebbene io dubiti che i lettori si immaginassero che si stesse parlando di un evento lontano nel futuro di almeno tre anni e sette mesi.

 

In ogni caso, alcune delle più eminenti Cassandre del deficit, hanno davvero voluto esprimersi sulle date, o almeno sugli orizzonti temporali. Agli inizi del 2011 Erskine Bowles dichiarò con convinzione che avremmo dovuto far fronte ad una crisi fiscale entro circa due anni se non si fosse deliberato qualcosa di simile al piano per il deficit Bowles-Simpson [2], ed Alan Simpson intervenne per dire che ci sarebbero voluti meno di due anni. Suppongo che gli restino circa dieci settimane. Ma, ancora, non vi aspettate che i signori Bowles e Simpson ammettano che potrebbe esserci stato qualcosa di fondamentalmente sbagliato nella loro analisi.

No, davvero pochi tra i profeti della sventura fiscale hanno riconosciuto che sinora le loro profezie non si siano avverate. E coloro che hanno ammesso di essere sorpresi, sono apparsi più infastiditi che pentiti. Per esempio, nel passato 2010 Alan Greenspan – che, per qualche ragione, è ancora trattato come un personaggio autorevole – ha ammesso che, nonostante ampi deficit di bilancio, “l’inflazione ed i tassi di interesse a lungo termine, i tipici sintomi di un eccesso della finanza pubblica, sono rimasti considerevolmente contenuti”. Ma è andato oltre ed ha dichiarato “Questo è disdicevole, perché sta incoraggiando un senso di compiacimento”. Come osa la realtà a non confermare i miei timori !

I lettori più affezionati sanno che io ed altri economisti abbiamo sostenuto  sin dall’inizio che questi tremendi ammonimenti di catastrofe fiscale fossero del tutto sbagliati, che i deficit di bilancio non avrebbero provocato una impennata dei tassi di interesse per tutto il periodo in cui l’economia fosse rimasta depressa – e che il rischio più grande per l’economia era quello di provare ad abbattere il deficit troppo rapidamente. Ed è sicuro che quella opinione sia stata del tutto confermata dai fatti.

La questione fondamentale che si deve comprendere, tuttavia, è che i profeti del disastro fiscale, non è importante quanto possano essere rispettabili, sono a questo punto a tutti gli effetti membri di una setta della fine del mondo. Essi sono emozionalmente e professionalmente impegnati nella fede secondo la quale una crisi fiscale è in agguato proprio dietro l’angolo, e terranno ferma la loro convinzione a prescindere da quanti angoli dovremo oltrepassare senza incontrare quella crisi.

Dunque, non cercheremo di convincere queste persone a riconsiderare i loro punti di vista alla luce dei fatti. Tutto quello che possiamo fare è smettere di prestar loro attenzione. Non sarà facile, perché molti membri della setta del deficit paiono altamente rispettabili. Ma hanno avuto torto per anni ed anni, nel modo più esauriente ed assurdo, ed è venuto il momento di smettere di prenderli sul serio.

 

 

 



[1] Non ne sono certo. Ma, letteralmente, “avevano ricevuto straordinariamente portata da …”.

[2] Bowles e Simpson sono i due copresidenti (il primo per i Democratici ed il secondo per i Repubblicani) della commissione bipartizan sul deficit di Bilancio a suo tempo voluta dal Presidente Obama.

 

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