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Battaglie sul Bilancio (New York Times 3 gennaio 2013)

 

Battles of the Budget

By PAUL KRUGMAN

Published: January 3,

The centrist fantasy of a Grand Bargain on the budget never had a chance. Even if some kind of bargain had supposedly been reached, key players would soon have reneged on the deal — probably the next time a Republican occupied the White House.

For the reality is that our two major political parties are engaged in a fierce struggle over the future shape of American society. Democrats want to preserve the legacy of the New Deal and the Great Society — Social Security, Medicare and Medicaid — and add to them what every other advanced country has: a more or less universal guarantee of essential health care. Republicans want to roll all of that back, making room for drastically lower taxes on the wealthy. Yes, it’s essentially a class war.

 

The fight over the fiscal cliff was just one battle in that war. It ended, arguably, in a tactical victory for Democrats. The question is whether it was a Pyrrhic victory that set the stage for a larger defeat.

Why do I say that it was a tactical victory? Mainly because of what didn’t happen: There were no benefit cuts.

This was by no means a foregone conclusion. In 2011, the Obama administration was reportedly willing to raise the age of Medicare eligibility, a terrible and cruel policy idea. This time around, it was willing to cut Social Security benefits by changing the formula for cost-of-living adjustments, a less terrible idea that would nonetheless have imposed a lot of hardship — and probably have been politically disastrous as well. In the end, however, it didn’t happen. And progressives, always worried that President Obama seems much too willing to compromise about fundamentals, breathed a sigh of relief.

 

There were also some actual positives from a progressive point of view. Expanded unemployment benefits were given another year to run, a huge benefit to many families and a significant boost to our economic prospects (because this is money that will be spent, and hence help preserve jobs). Other benefits to lower-income families were given another five years — although, unfortunately, the payroll tax break was allowed to expire, which will hurt both working families and job creation.

 

The biggest progressive gripe about the legislation is that Mr. Obama extracted less revenue from the affluent than expected — about $600 billion versus $800 billion over the next decade. In perspective, however, this isn’t that big a deal. Put it this way: A reasonable estimate is that gross domestic product over the next 10 years will be around $200 trillion. So if the revenue take had matched expectations, it would still have amounted to only 0.4 percent of G.D.P.; as it turned out, this was reduced to 0.3 percent. Either way, it wouldn’t make much difference in the fights over revenue versus spending still to come.

 

 

Oh, and not only did Republicans vote for a tax increase for the first time in decades, the overall result of the tax changes now taking effect — which include new taxes associated with Obamacare as well as the new legislation — will be a significant reduction in income inequality, with the top 1 percent and even more so the top 0.1 percent taking a much bigger hit than middle-income families.

 

So why are many progressives — myself included — feeling very apprehensive? Because we’re worried about the confrontations to come.

 

According to the normal rules of politics, Republicans should have very little bargaining power at this point. With Democrats holding the White House and the Senate, the G.O.P. can’t pass legislation; and since the biggest progressive policy priority of recent years, health reform, is already law, Republicans wouldn’t seem to have many bargaining chips.

 

But the G.O.P. retains the power to destroy, in particular by refusing to raise the debt limit — which could cause a financial crisis. And Republicans have made it clear that they plan to use their destructive power to extract major policy concessions.

 

Now, the president has said that he won’t negotiate on that basis, and rightly so. Threatening to hurt tens of millions of innocent victims unless you get your way — which is what the G.O.P. strategy boils down to — shouldn’t be treated as a legitimate political tactic.

But will Mr. Obama stick to his anti-blackmail position as the moment of truth approaches? He blinked during the 2011 debt limit confrontation. And the last few days of the fiscal cliff negotiations were also marked by a clear unwillingness on his part to let the deadline expire. Since the consequences of a missed deadline on the debt limit would potentially be much worse, this bodes ill for administration resolve in the clinch.

 

So, as I said, in a tactical sense the fiscal cliff ended in a modest victory for the White House. But that victory could all too easily turn into defeat in just a few weeks.

 

Battaglie sul Bilancio, di Paul Krugman

New York Times 3 gennaio 2013

 

La fantasia centrista di un Grande Accordo sul bilancio non ha mai avuto chance. Persino se si fosse raggiunto un qualche ipotetico accordo, i protagonisti avrebbero presto rinnegato l’intesa – probabilmente la prossima volta che un repubblicano avesse occupato la Casa Bianca. Perché la verità è che i due principali partiti sono impegnati in una accanita battaglia sulla forma futura della società americana. I Democratici vogliono conservare l’eredità del New Deal e della Great Society – la Previdenza Sociale, Medicare e Medicaid – ed aggiungere a ciò tutto quello che hanno gli altri paesi avanzati; una garanzia più o meno universale di assistenza sanitaria essenziale. I Repubblicani vogliono tornare al passato, facendo spazio a tasse più basse per i più ricchi. Essenzialmente è proprio una lotta di classe.

 

In questa guerra, lo scontro sul ‘precipizio fiscale’ è stato soltanto una battaglia. Si è concluso, probabilmente, con una vittoria tattica per i Democratici. L’interrogativo è se si sia trattato di una vittoria di Pirro, che ha preparato una sconfitta più grande.

Perché la definisco una vittoria tattica? Principalmente per quello che non è accaduto: non ci sono stati tagli ai sussidi sociali.

Questa non era in alcun modo una conclusione scontata. Nel 2011, la Amministrazione Obama aveva intenzione, a quanto si diceva, di elevare l’età per la ammissione ai servizi di Medicare [1], un’idea politica terribile e crudele. In questa occasione, essa aveva l’intenzione di tagliare i benefici della Previdenza Sociale modificando la formula dell’adeguamento al costo della vita, un’idea meno terribile che avrebbe ciononostante causato una quantità di sofferenze – e probabilmente sarebbe stata altrettanto disastrosa in termini politici. Alla fine, tuttavia, non è accaduto. Ed i progressisti, sempre in ansia per l’apparente intenzione del Presidente Obama di negoziare i diritti fondamentali, hanno tirato un sospiro di sollievo. 

Dal punto di vista dei progressisti ci sono stati anche alcuni aspetti positivi. I sussidi di disoccupazione sono stati prorogati per un altro anno, un beneficio cospicuo per molte famiglie ed un incoraggiamento significativo per le nostre prospettive economiche (perché si tratta di denaro che verrà speso, e di conseguenza contribuirà a difendere posti di lavoro). Altri sussidi alle famiglie a basso reddito sono stati concessi per altri cinque anni – sebbene, malauguratamente, si sia deciso l’esaurimento degli sgravi fiscali su salari e stipendi, il che colpirà sia le famiglie dei lavoratori che la creazione di posti di lavoro.

La lamentela più grande dei progressisti sulle decisioni legislative è che Obama ha ottenuto minori entrate dai più ricchi rispetto a quello che era previsto – circa 600 miliardi di dollari nel prossimo decennio, a fronte di 800. In prospettiva, tuttavia, questo non è un aspetto così determinante. Mettiamola in questo modo: una stima ragionevole è che il prodotto interno lordo dei prossimi dieci anni sarà di circa 200 mila miliardi di dollari. Dunque, se le entrate fossero state pari alle aspettative, esse sarebbero ammontate a solo lo 0,4 per cento del PIL; per come sono state modificate, esse sono state ridotte allo 0,3 per cento. In ogni caso, non sarebbe una grande differenza per le battaglie che si delineano tra entrate e spesa pubblica.

E infine, oltre al fatto che i Repubblicani hanno per davvero votato un incremento nelle tasse per la prima volta da decenni, il risultato generale dei mutamenti fiscali che adesso entreranno in funzione – che includono le nuove tasse connesse con la riforma sanitaria di Obama al pari della nuova legislazione – provocheranno una significativa riduzione della ineguaglianza dei redditi, con l’1 per cento dei più ricchi, ed ancora di più lo 0,1 per cento degli ultraricchi, che prenderanno un colpo molto maggiore delle famiglie di medio reddito.

Perché dunque ci sono molti progressisti – incluso il sottoscritto – che si sentono così in ansia? Perché siamo preoccupati per gli scontri in arrivo.

 

Secondo le regole normali della politica, i Repubblicani dovrebbero avere a questo punto un potere contrattuale assai modesto. Con i Democratici alla Casa Bianca ed in maggioranza al Senato, il Partito Repubblicano non può superare lo scoglio della legislazione; e dal momento che la più grande priorità politica dei progressisti degli anni recenti, la riforma sanitaria, è già legge, i Repubblicani non sembrerebbero avere molte carte da giocare.

Ma il Partito Repubblicano mantiene un potere distruttivo, in particolare non consentendo di innalzare il limite del debito [2] – la qualcosa provocherebbe una crisi finanziaria. Ed i Repubblicani hanno già messo in chiaro di aver messo in programma l’utilizzo del loro potere distruttivo al fine di ottenere importanti concessioni politiche.

Ora, il Presidente ha detto di non avere intenzione di negoziare su tali basi, e giustamente. Minacciare di colpire milioni di vittime innocenti se non si ottiene il proprio scopo – che è quello a cui si riduce la strategia repubblicana – non dovrebbe essere considerata una tattica politica legittima.

Ma, al momento della verità, Obama si atterrà alla sua posizione anti ricattatoria? Egli si comportò in modo elusivo nello scontro sul tetto del debito del 2011. E nei giorni passati i negoziati sul precipizio fiscale sono stati anch’essi segnati dalla chiara indisponibilità, da parte sua, a superare il termine ultimo. Dato che le conseguenze del trascurare la scadenza sul limite del debito sarebbero molto peggiori,  tutto questo fa presagire che la Amministrazione si chiuderà in difesa.

Dunque, come ho detto in senso tattico il ‘precipizio del debito’ si è concluso con una modesta vittoria per la Casa Bianca. Ma quella vittoria potrebbe anche troppo facilmente modificarsi in una sconfitta solo tra poche settimane.

 


 

 


[1] Che attualmente riguardano le persone dai 65 anni in su.

[2] Il “tetto del debito” è una espressione che si riferisce ad un provvedimento di autorizzazione al superamento dell’ammontare del debito dell’anno finanziario precedente, che in modo piuttosto singolare ogni anno deve essere approvato dalla Camera dei Rappresentanti.  Nonostante che il superamento del debito storico sia già stato formalmente implicito nelle leggi finanziarie o nelle legislazioni settoriali, il fatto che esso debba essere formalmente votato al termine di ogni anno teoricamente determina le condizioni – qualora la maggioranza alla Camera sia diversa da quella che ha eletto il Presidente – come minimo per una drammatizzazione dello scontro politico, come massimo per una crisi economica drammatica. Poiché, infatti, il Governo federale non può non agire nel corso dell’anno sulla base della legislazione vigente, non decidere alla fine dell’anno finanziario di aumentare il tetto del debito equivale a non avere i mezzi per proseguire la normale amministrazione. E, nella normale amministrazione, è compreso anche il pagamento degli interessi sul debito pubblico; cosicché il non incremento del tetto del debito in pratica costringerebbe ad una situazione di ‘default’.

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