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La grande bocciatura (New York Times 6 gennaio 2013)

 

The Big Fail

By PAUL KRUGMAN

Published: January 6, 2013

San Diego

It’s that time again: the annual meeting of the American Economic Association and affiliates, a sort of medieval fair that serves as a marketplace for bodies (newly minted Ph.D.’s in search of jobs), books and ideas. And this year, as in past meetings, there is one theme dominating discussion: the ongoing economic crisis.

This isn’t how things were supposed to be. If you had polled the economists attending this meeting three years ago, most of them would surely have predicted that by now we’d be talking about how the great slump ended, not why it still continues.

So what went wrong? The answer, mainly, is the triumph of bad ideas.

 

It’s tempting to argue that the economic failures of recent years prove that economists don’t have the answers. But the truth is actually worse: in reality, standard economics offered good answers, but political leaders — and all too many economists — chose to forget or ignore what they should have known.

 

The story, at this point, is fairly straightforward. The financial crisis led, through several channels, to a sharp fall in private spending: residential investment plunged as the housing bubble burst; consumers began saving more as the illusory wealth created by the bubble vanished, while the mortgage debt remained. And this fall in private spending led, inevitably, to a global recession.

 

For an economy is not like a household. A family can decide to spend less and try to earn more. But in the economy as a whole, spending and earning go together: my spending is your income; your spending is my income. If everyone tries to slash spending at the same time, incomes will fall — and unemployment will soar.

So what can be done? A smaller financial shock, like the dot-com bust at the end of the 1990s, can be met by cutting interest rates. But the crisis of 2008 was far bigger, and even cutting rates all the way to zero wasn’t nearly enough.

 

At that point governments needed to step in, spending to support their economies while the private sector regained its balance. And to some extent that did happen: revenue dropped sharply in the slump, but spending actually rose as programs like unemployment insurance expanded and temporary economic stimulus went into effect. Budget deficits rose, but this was actually a good thing, probably the most important reason we didn’t have a full replay of the Great Depression.

 

 

But it all went wrong in 2010. The crisis in Greece was taken, wrongly, as a sign that all governments had better slash spending and deficits right away. Austerity became the order of the day, and supposed experts who should have known better cheered the process on, while the warnings of some (but not enough) economists that austerity would derail recovery were ignored. For example, the president of the European Central Bank confidently asserted that “the idea that austerity measures could trigger stagnation is incorrect.”

 

Well, someone was incorrect, all right.

Of the papers presented at this meeting, probably the biggest flash came from one by Olivier Blanchard and Daniel Leigh of the International Monetary Fund. Formally, the paper represents the views only of the authors; but Mr. Blanchard, the I.M.F.’s chief economist, isn’t an ordinary researcher, and the paper has been widely taken as a sign that the fund has had a major rethinking of economic policy.

 

For what the paper concludes is not just that austerity has a depressing effect on weak economies, but that the adverse effect is much stronger than previously believed. The premature turn to austerity, it turns out, was a terrible mistake.

 

I’ve seen some reporting describing the paper as an admission from the I.M.F. that it doesn’t know what it’s doing. That misses the point; the fund was actually less enthusiastic about austerity than other major players. To the extent that it says it was wrong, it’s also saying that everyone else (except those skeptical economists) was even more wrong. And it deserves credit for being willing to rethink its position in the light of evidence.

 

The really bad news is how few other players are doing the same. European leaders, having created Depression-level suffering in debtor countries without restoring financial confidence, still insist that the answer is even more pain. The current British government, which killed a promising recovery by turning to austerity, completely refuses to consider the possibility that it made a mistake.

 

And here in America, Republicans insist that they’ll use a confrontation over the debt ceiling — a deeply illegitimate action in itself — to demand spending cuts that would drive us back into recession.

The truth is that we’ve just experienced a colossal failure of economic policy — and far too many of those responsible for that failure both retain power and refuse to learn from experience.

 

La grande bocciatura, di Paul Krugman

New York Times 6 gennaio 2013

 

San Diego

Siamo ancora qua: l’incontro annuale della American Economic Association ed affiliati, una sorta di fiera medioevale che ha le funzioni di un grande mercato di persone (laureati nuovi di zecca in cerca di lavoro), di libri e di idee. E quest’anno, come negli anni passati, c’è un tema dominante nel dibattito: la crisi economica che perdura.

Non è andata come si pensava. Se aveste fatto un sondaggio tra gli economisti che parteciparono a quest’incontro tre anni orsono, la gran parte di essi sicuramente avrebbe previsto che a questo punto ci saremmo trovati a parlare di come la grande depressione era finita, non delle ragioni per le quali essa prosegue.

Quale è stato lo sbaglio, dunque? Principalmente, la risposta è: il trionfo delle cattive idee.

La prova che gli economisti non hanno le risposte è nel loro tentativo di argomentare i fallimenti economici degli anni recenti. Ma in effetti la verità è anche peggiore: in realtà, una normale teoria economica offriva buone risposte, ma i dirigenti politici – ed anche sin troppi economisti – hanno scelto di dimenticare o di ignorare quello che dovevano conoscere.

La storia, a questo punto, è abbastanza lineare. La crisi finanziaria ha portato, attraverso vari canali, ad una brusca caduta nella spesa privata: l’investimento residenziale è crollato al momento in cui la bolla immobiliare è scoppiata; i consumatori hanno cominciato a risparmiare di più quando l’illusoria ricchezza creata dalla bolla è svanita, nel mentre restavano i debiti dei mutui. E questa caduta nella spesa privata ha portato, inevitabilmente, alla recessione globale.

Giacché una economia non è come una famiglia. Una famiglia può decidere di spendere di meno e di guadagnare di più. Ma in una economia intera, spendere e guadagnare vanno di pari passo: la mia spesa è il tuo reddito; il tuo reddito è la mia spesa. Se tutti cercano contemporaneamente di abbattere la spesa, i redditi cadranno – e la disoccupazione salirà alle stelle.

Cosa si può fare, dunque? Uno shock finanziario  più piccolo, come il fallimento del settore delle attività on-line della fine degli anni ’90, poté essere affrontato con il taglio dei tassi di interesse. Ma la crisi del 2008 era di gran lunga più grande, ed anche tagliare i tassi sino al limite dello zero non era affatto sufficiente.

A quel punto i governi avevano bisogno di intervenire, spendendo a sostegno delle loro economie nel mentre il settore privato riguadagnava i suoi equilibri. E in qualche misura è successo: le entrate sono cadute bruscamente nella crisi, ma la spesa in effetti è salita al momento in cui i programmi come la assicurazione per la disoccupazione si sono ampliati e le misure temporanee di sostegno economico hanno prodotto i loro effetti. I deficit di bilancio sono saliti, ma questa in effetti era una buona cosa, probabilmente la ragione più importante per la quale non abbiamo avuto una riedizione completa della Grande Depressione.

 

Ma nel 2010 si è sbagliato tutto. La crisi in Grecia è stata considerata, erroneamente, come un segno per il quale tutti i Governi avrebbero fatto bene ad abbattere spesa pubblica e deficit da subito. L’austerità è venuta all’ordine del giorno, ed i sedicenti esperti che avrebbero dovuto saperne di più, hanno fatto il tifo per il processo in corso, nel mentre gli ammonimenti di alcuni (ma non abbastanza) economisti secondo i quali l’austerità avrebbe fatto deragliare la ripresa venivano ignorati. Ad esempio, il Presidente della Banca Centrale Europea affermava fiduciosamente che “l’idea che le misure di austerità possano innescare la stagnazione è scorretta”.

Ebbene, qualcuno è stato scorretto, non c’è dubbio.

Tra gli studi presentati a questo convegno, probabilmente l’illuminazione maggiore è venuta da quello di Olivier Blanchard e Daniel Leigh, del Fondo Monetario Internazionale. Da un punto di vista formale, il saggio rappresenta esclusivamente l’opinione degli autori; ma il signor Blanchard, a capo degli economisti del FMI, non è un ricercatore qualsiasi, e lo studio è stato generalmente considerato come un segno che il Fondo aveva avuto un ripensamento importante di politica economica.

Perché la conclusione dello studio non è soltanto che l’austerità ha un effetto depressivo sulle economie deboli, ma che l’effetto negativo è assai più forte di quanto si ritenesse in precedenza. Passare prematuramente all’austerità, si scopre, è stato un errore terribile.

Ho letto qualche resoconto che ha descritto quello studio come una ammissione che il FMI non sa quello che fa. In questo modo sfugge la sostanza; il Fondo era stato effettivamente meno entusiasta di altri principali protagonisti, riguardo all’austerità. Nella misura in cui dice che si è trattato di uno sbaglio, dice anche che tutti gli altri (con l’eccezione di alcuni economisti scettici) hanno sbagliato anche maggiormente. E va a suo onore la volontà di ripensare le sue posizioni alla luce dell’esperienza.

La notizia davvero negativa è quanti pochi altri protagonisti stiano seguendo quell’esempio. I dirigenti europei, che hanno creato una sofferenza a livelli di depressione nei paesi debitori senza ripristinare condizioni di fiducia finanziaria, insistono ancora che la risposta è una sofferenza ancora maggiore. L’attuale Governo britannico, che ha liquidato una ripresa promettente passando all’austerità, rifiuta assolutamente la possibilità di aver fatto uno sbaglio.

 

E qua in America i Repubblicani insistono che utilizzeranno lo scontro sul ‘tetto del debito’ [1] – una azione in se stessa profondamente illegittima – per chiedere tagli alla spesa che ci riporterebbero nella recessione.

La verità che abbiamo appena constatato un colossale fallimento di politica economica – ed anche troppi tra i responsabili di quel fallimento continuano a mantenere il potere ed a rifiutarsi di imparare dall’esperienza.

 


 

 


[1]Il “tetto del debito” è una espressione che si riferisce ad un provvedimento di autorizzazione al superamento dell’ammontare del debito dell’anno finanziario precedente, che in modo piuttosto illogico ogni anno deve essere approvato dalla Camera dei Rappresentanti.  Nonostante che il superamento del debito storico sia già stato formalmente implicito nelle leggi finanziarie o nelle legislazioni settoriali, il fatto che esso debba essere formalmente votato al termine di ogni anno teoricamente determina le condizioni – qualora la maggioranza alla Camera sia diversa da quella che ha eletto il Presidente – come minimo per una spettacolarizzazione dello scontro politico, come massimo per una crisi economica drammatica. Poiché, infatti, il Governo federale non può non agire nel corso dell’anno sulla base della legislazione vigente, non decidere alla fine dell’anno finanziario di aumentare il tetto del debito equivale a non avere i mezzi per proseguire la normale amministrazione. E, nella normale amministrazione, è compreso anche il pagamento degli interessi sul debito pubblico; cosicché il non incremento del tetto del debito in pratica costringerebbe ad una situazione di ‘default’.

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