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Produttori, assistiti e imbroglioni (New York Times 27 gennaio 2013)

 

Makers, Takers, Fakers

By PAUL KRUGMAN

Published: January 27,

Republicans have a problem. For years they could shout down any attempt to point out the extent to which their policies favored the elite over the poor and the middle class; all they had to do was yell “Class warfare!” and Democrats scurried away. In the 2012 election, however, that didn’t work: the picture of the G.O.P. as the party of sneering plutocrats stuck, even as Democrats became more openly populist than they have been in decades.

 

 

As a result, prominent Republicans have begun acknowledging that their party needs to improve its image. But here’s the thing: Their proposals for a makeover all involve changing the sales pitch rather than the product. When it comes to substance, the G.O.P. is more committed than ever to policies that take from most Americans and give to a wealthy handful.

Consider, as a case in point, how a widely reported recent speech by Bobby Jindal the governor of Louisiana, compares with his actual policies.

Mr. Jindal posed the problem in a way that would, I believe, have been unthinkable for a leading Republican even a year ago. “We must not,” he declared, “be the party that simply protects the well off so they can keep their toys. We have to be the party that shows all Americans how they can thrive.” After a campaign in which Mitt Romney denounced any attempt to talk about class divisions as an “attack on success,” this represents a major rhetorical shift.

 

But Mr. Jindal didn’t offer any suggestions about how Republicans might demonstrate that they aren’t just about letting the rich keep their toys, other than claiming even more loudly that their policies are good for everyone.

 

 

Meanwhile, back in Louisiana Mr. Jindal is pushing a plan to eliminate the state’s income tax, which falls most heavily on the affluent, and make up for the lost revenue by raising sales taxes, which fall much more heavily on the poor and the middle class. The result would be big gains for the top 1 percent, substantial losses for the bottom 60 percent. Similar plans are being pushed by a number of other Republican governors as well.

Like the new acknowledgment that the perception of being the party of the rich is a problem, this represents a departure for the G.O.P. — but in the opposite direction. In the past, Republicans would justify tax cuts for the rich either by claiming that they would pay for themselves or by claiming that they could make up for lost revenue by cutting wasteful spending. But what we’re seeing now is open, explicit reverse Robin Hoodism: taking from ordinary families and giving to the rich. That is, even as Republicans look for a way to sound more sympathetic and less extreme, their actual policies are taking another sharp right turn.

 

Why is this happening? In particular, why is it happening now, just after an election in which the G.O.P. paid a price for its anti-populist stand?

 

Well, I don’t have a full answer, but I think it’s important to understand the extent to which leading Republicans live in an intellectual bubble. They get their news from Fox and other captive media, they get their policy analysis from billionaire-financed right-wing think tanks, and they’re often blissfully unaware both of contrary evidence and of how their positions sound to outsiders.

 

So when Mr. Romney made his infamous “47 percent” remarks, he wasn’t, in his own mind, saying anything outrageous or even controversial. He was just repeating a view that has become increasingly dominant inside the right-wing bubble, namely that a large and ever-growing proportion of Americans won’t take responsibility for their own lives and are mooching off the hard-working wealthy. Rising unemployment claims demonstrate laziness, not lack of jobs; rising disability claims represent malingering, not the real health problems of an aging work force.

 

And given that worldview, Republicans see it as entirely appropriate to cut taxes on the rich while making everyone else pay more.

Now, national politicians learned last year that this kind of talk plays badly with the public, so they’re trying to obscure their positions. Paul Ryan, for example, has lately made a transparently dishonest attempt to claim that when he spoke about “takers” living off the efforts of the “makers” — at one point he assigned 60 percent of Americans to the taker category — he wasn’t talking about people receiving Social Security and Medicare. (He was.)

 

But in deep red states like Louisiana or Kansas, Republicans are much freer to act on their beliefs — which means moving strongly to comfort the comfortable while afflicting the afflicted.

Which brings me back to Mr. Jindal, who declared in his speech that “we are a populist party.” No, you aren’t. You’re a party that holds a large proportion of Americans in contempt. And the public may have figured that out.

 

Produttori, assistiti e imbroglioni, di Paul Krugman

New York Times 27 gennaio 2013

I Repubblicani hanno un problema. Per anni hanno potuto alzar la voce contro chiunque tentasse di mettere in evidenza la misura in cui le loro politiche favorivano le èlites contro i poveri e la classe media; tutto quello che dovevano fare era urlare “Lotta di classe!”, ed i Democratici scappavano a gambe levate. Alle elezioni del 2012, però, non ha funzionato: gli si è appiccicata addosso la rappresentazione del Partito Repubblicano come il partito dei riccastri beffardi, proprio mentre i Democratici diventavano più apertamente populisti [1] di quanto non fossero mai stati.

 

Di conseguenza, repubblicani di spicco hanno cominciato a riconoscere che il loro partito ha bisogno di migliorare la sua immagine. Ma qua è il punto: le loro proposte di rinnovamento riguardano tutte la pubblicità piuttosto che la sostanza del prodotto. Quando si arriva alla sostanza, il Partito Repubblicano è più impegnato che mai verso politiche che tolgono ad una gran parte di americani per dare ad una manciata di ricchi.

Si consideri, come un esempio al proposito, come un recente discorso ampiamente pubblicizzato di Bobby Jindal [2] sta in rapporto alle sue politiche effettive.

Il signor Jindal ha posto in problema in un modo che, ritengo, sarebbe stato impensabile per un dirigente repubblicano anche solo un anno fa. “Noi non dobbiamo”, ha dichiarato, “essere il Partito che semplicemente protegge i benestanti  in modo che possano continuare i loro giochi. Dobbiamo essere il Partito che mostra agli americani come possono prosperare”. Dopo una campagna elettorale nella quale Mitt Romney ha denunciato ogni tentativo di parlare delle divisioni di classe come un “attacco al successo”, questa rappresenta una importante svolta nel linguaggio.

Ma il signor Jindal non ha offerto alcuna indicazione su come i Repubblicani potrebbero dimostrare di non essere  proprio quelli che permettono ai ricchi di farsi i propri interessi, a parte il sostenere a voce più alta che le loro politiche sarebbero buone per tutti.

 

Nel frattempo, nella lontana Louisiana il signor Jindal sta proponendo un piano per eliminare le tasse statali sul reddito, che ricadono più pesantemente sui benestanti, e compensare le entrate perdute aumentando le tasse sulle vendite [3],  che ricadono molto più pesantemente sui poveri e sulla classe media. Il risultato sarebbe un gran guadagno per l’1 per cento dei più ricchi e perdite sostanziali per il 60 per cento dei redditi medio-bassi. Piani del genere sono stati proposti anche da un certo numero di altri Governatori repubblicani.

Come l’inedito riconoscimento secondo il quale la percezione di essere il partito dei ricchi rappresenta un problema, anche questa è una novità per il Partito Repubblicano – ma nella direzione opposta. In passato, i Repubblicani avrebbero giustificato gli sgravi fiscali per i ricchi o sostenendo che si sarebbero ripagati da soli o sostenendo che avrebbero compensato le entrate perdute tagliando spese inutili. Ma quello a cui stiamo assistendo è un aperto, esplicito “robin hoodismo” alla rovescia: prendere dalle famiglie normali per dare ai ricchi. Vale a dire, anche se i Repubblicani cercano un modo per apparire più gioviali e meno estremisti, le loro politiche effettive conoscono una ulteriore brusca svolta a destra.

Perché accade questo? In particolare, perché accade ora, proprio all’indomani di elezioni nelle quali il Partito Repubblicani ha pagato un prezzo per le sue posizioni antipopolari [4]?

Ebbene, non ho una risposta esauriente, ma penso sia importante capire in quale misura i dirigenti repubblicani vivano in una specie di bolla intellettuale. Prendono le loro notizie da Fox e da altri media asserviti, prendono le loro analisi da gruppi di ricerca di destra finanziati da miliardari, e il più delle volte sono allegramente inconsapevoli sia delle prove che li contraddicono, sia di come le loro posizioni trovino udienza all’esterno.

 

Così, quando il signor Romney avanzò le sue famigerate osservazioni sul “47 per cento” [5], egli, nella sua testa, non riteneva di dire niente di oltraggioso e neppure di discutibile. Stava solo ripetendo una opinione diventata sempre di più dominante all’interno del mondo chiuso della destra, ovvero che un grande e sempre crescente numero di americani non intende prendersi responsabilità della propria vita e vive a scrocco del duro lavoro dei ricchi. La disoccupazione crescente si pretende che non metta in evidenza una mancanza di posti di lavoro, ma infingardaggine; la crescente quota di disabili si pretende non mostri i reali problemi di salute di una forza di lavoro che invecchia, ma la tendenza a darsi malati.

Data questa visione del mondo, i repubblicani considerano interamente appropriato ridurre le tasse sui ricchi e far pagare di più tutti gli altri.

Ora, gli uomini politici di livello nazionale hanno appreso l’anno passato che un linguaggio del genere funziona male con l’opinione pubblica, stanno dunque cercando di annebbiare le loro posizioni. Paul Ryan, ad esempio, ha recentemente messo in atto un tentativo chiaramente disonesto di sostenere che quando parlava degli “assistiti” che campano sugli sforzi dei “produttori” – in una occasione egli assegnò il 60 per cento degli americani alla categoria degli “assistiti” – non stava parlando delle persone che ricevono la Previdenza Sociale e Medicare (ma si trattava di quello).

Ma negli Stati come la Louisiana o il Kansas, dove è più intenso il seguito dei Repubblicani, essi si sentono più liberi di agire secondo i loro convincimenti – il che significa muoversi con decisione per favorire i benestanti e per dare contro i negletti.

La qualcosa mi riporta al signor Jindal, che nel suo discorso ha dichiarato: “Noi siamo un partito populista”. No, non lo siete. Voi siete un partito che disprezza una larga fetta di americani. E l’opinione pubblica pare l’abbia compreso.



[1] La traduzione migliore è quella letterale, anche se si deve considerare che in America il termine “populist” non ha necessariamente il significato negativo che ha da noi. Corrisponde più alla constatazione di qualcosa che va nella direzione di incontrare il favore della opinione pubblica.

[2] Piyush “Bobby” Jindal (Baton Rouge, 10 giugno 1971) è un politico statunitense, attuale Governatore della Louisiana. Proveniente da una famiglia di religione indù, negli anni del college si è convertito al cristianesimo, ricevendo il battesimo come cattolico mentre studiava alla Brown University. Per 2 anni (dal 2001 al 2003), su proposta del Presidente George W. Bush e con l’approvazione unanime del Senato, è stato assistente segretario al Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti. Ha rinunciato a questo incarico per candidarsi come Governatore della Louisiana. Nella campagna elettorale per la presidenza degli Stati Uniti del 2008, il suo nome è stato suggerito da alcuni importanti commentatori politici come possibile candidato alla vicepresidenza al fianco del candidato repubblicano John McCain. La sua giovane età, il suo curriculum del tutto eccezionale nonché le sue origini asiatiche sarebbero stati, secondo alcuni, elementi molto utili per affrontare un candidato come Barack Obama.

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[3] Le “tasse sulle vendite” sono un complesso di misure fiscali sui beni e sui servizi, delle quali fanno parte le tasse sul valore aggiunto (per le quali la tassazione è applicata a cascata su ogni bene venduto, ovvero sulla differenza di valore tra il prezzo pagato dal primo acquirente ed i prezzi pagati da ogni successivo acquirente dello stesso articolo), le accise ed altre forme di tassazione sugli scambi. Negli Stati dell’Europa settentrionale, come è noto, le tasse sulle vendite si applicano in percentuali elevate (in Norvegia, Svezia e Danimarca l’IVA è al 25%). Negli Stati Uniti non esiste una tassazione generalizzata nazionale sulle vendite; le tasse federali sulle vendite sono imposte su particolari beni e servizi,  ma anche gli Stati e le comunità locali possono applicare tasse sulle vendite. In quest’ultimo caso le tasse sono distribuite tra Stati, città, contee, autorità regionali dei trasporti etc.

 

[4] Questo, ad esempio, è un esempio nel quale tradurre “populist” con “populista” non risulterebbe corretto.

[5] Romney, nel corso della campagna elettorale, mentre parlava ad un incontro pubblico di finanziatori, se ne uscì con l’affermazione secondo la quale il 47 per cento degli americani erano fannulloni assistiti.

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