January 18, 2013, 9:28 am
Shinzo Abe’s turn toward expansionary policies has, rather oddly, drawn fire from economists you might have expected to be supportive. Adam Posen — who taught me most of what I know about Japan — is against the fiscal stimulus, and wants a sole focus on monetary expansion to end deflation. Richard Koo likes the stimulus but wants to forget about the whole deflation thing.
And I’m a bit puzzled. I have no stake in Abe’s success politically, and no sense of whether he knows what he’s doing. But the case for a coordinated fiscal-monetary push seems overwhelming given the intellectual framework all of us, I think, more or less share.
Start with whether deflation is a problem. The answer, surely, is yes. Expected deflation keeps short-term interest rates stuck hard against the zero lower bound, and puts a somewhat higher floor under long-term rates (they can’t go all the way to zero, because they price in the possibility that short rates may eventually rise but can’t fall). As a result, real interest rates are higher than they would be if the economy had, say, 2 percent inflation.
And those relatively high real rates do considerable damage. Even if you’re a total Kooian and don’t believe that real rates have any effect on domestic spending — which isn’t plausible — they clearly lead to an overvalued yen, and hence to reduced Japanese competitiveness.
Furthermore, a bit of inflation would help erode debt, both public and private (no, it wouldn’t just be reflected in higher interest rates; remember the zero lower bound). This would both alleviate the balance-sheet issues in the private sector and reduce concerns over the fiscal outlook.
So there is a clear case for breaking out of the deflation trap and moving to modest positive inflation. The question then is how to get there.
As far as I can tell, Posen is going with the notion that unconventional monetary policy, by working both on asset demand and on expectations, can do the job. Maybe, but most of us have taken the limited payoff to quantitative easing as a cautionary tale. There’s a lot to say for the notion of using temporary fiscal stimulus to push the output gap down, ideally even causing some economic overheating, to jump-start the transition to an inflationary regime.
And beyond that, the credibility of a higher inflation target in the face of the deflationary bias of central bankers may well be best established by (a) reducing the central bank’s autonomy and (b) getting the central bank in the business of supporting — indeed, monetizing — government deficits, at least for a while. Gauti Eggertsson made this point long ago (pdf), pointing to Japan’s successful polices in the first half of the 30s as a clear example. Indeed, Gauti argued that having a large government debt can be a real advantage in such circumstances: efforts to raise expected inflation gain extra credibility if the government would clearly benefit in fiscal terms, and the central bank is sufficiently subordinated to elected officials that investors believe that it will take these fiscal benefits into account.
Recently Paul McCulley and Zoltan Pozsar (pdf) have broadened this point, arguing that Minsky-like cycles of leveraging and deleveraging mean that there are times when a central bank that is obliged to support fiscal expansion through “helicopter money” is exactly what the economy doctor ordered. And this is one of those times.
So there seems to me to be a strong case that Abe is on the right track. Yes, the stimulus may not be efficiently spent — but we’re very much in bottles of cash/space aliens territory here, where even useless spending can serve a useful role. My biggest concern is actually that the stimulus plan may not include enough shovel-ready stuff to deliver a significant short-term boost. But here again, the news that the BoJ is bowing to the elected government may be the most important thing.
Way back in the early stages of this crisis I argued that we’d entered a looking-glass realm in which virtue was vice and prudence was folly. We’re still in that realm — and Japan, of all places, seems to be the first major government to figure that out.
Shinzo e gli elicotteri (abbastanza per esperti)
La svolta di Shinzo Abe verso politiche espansive ha, piuttosto curiosamente, provocato l’ira di economisti che ci si sarebbe aspettati la sostenessero. Adam Posen – che mi ha insegnato gran parte di quello che so sul Giappone – è contro lo stimolo della spesa pubblica, e vuole che ci si concentri soltanto sulla espansione monetaria per porre termine alla deflazione. Richard Koo è favorevole allo stimolo ma vuole lasciar perdere l’intera questione della deflazione.
Ed io sono un po’ perplesso. Politicamente, non ho alcun interesse al successo di Abe e non ho alcuna percezione che egli sappia quello che sta facendo. Ma la tesi di una spinta sia monetaria che di spesa pubblica sembra una piena concessione allo schema teorico che, penso, sia quello che più o meno tutti noi condividiamo.
Cominciamo dal punto se la deflazione sia un problema. La risposta è che sicuramente lo è. Le aspettative di deflazione tengono i tassi di interesse inchiodati al limite inferiore dello zero [1] e in qualche modo innalzano il livello che sostiene i tassi a lungo termine (questi ultimi non possono in alcun modo scendere sotto lo zero, perché si apprezzano per effetto della possibilità che i tassi a breve possano alla fine crescere, pur non potendo scendere). Come risultato, i tassi di interesse reali sono più alti di quanto sarebbero se l’economia avesse, diciamo, una inflazione al due per cento.
E quei tassi di interesse relativamente elevati provocano una danno considerevole. Persino se sposate interamente le tesi di Koo e non credete che i tassi reali abbiano alcun effetto sulla spesa interna – il che non è plausibile – essi chiaramente portano ad una sopravvalutazione dello yen, e di conseguenza ad una competitività ridotta del Giappone.
Inoltre, un po’ di inflazione aiuterebbe ad erodere il debito, sia pubblico che privato (e non sarebbe affatto riflessa in tassi di interesse più elevati; si ricordi il limite inferiore di zero). Questo renderebbe più lievi i problemi delle contabilità nel settore privato ed anche ridurrebbe le preoccupazioni sulla prospettive della finanza pubblica.
C’è dunque un chiaro argomento a favore di un venir fuori dalla trappola della deflazione e di spostarsi verso una positiva modesta inflazione. La domanda allora è come ottenere quel risultato.
Per quello che posso comprendere, Posen si indirizza verso l’idea che una politica monetaria non convenzionale, operando sia sulla domanda di assets che sulle aspettative, possa ottenere lo scopo. Può darsi, ma la maggior parte di noi ha appreso alla stregua di una lezione di cautela i vantaggi limitati della ‘facilitazione quantitativa’ [2]. Ci sono molti argomenti a favore del concetto dell’utilizzo di una stimolo temporaneo della spesa pubblica [3], teoricamente anche quando provoca un qualche surriscaldamento dell’economia, per dare un colpo d’avvio ad un passaggio ad un regime inflazionistico.
E, oltre a ciò, la credibilità di un obbiettivo di maggiore inflazione a fronte delle tendenze deflazionistiche dei banchieri centrali può ben essere perseguita nel migliore dei modi: a) riducendo l’autonomia delle banche centrali e b) affidando alle banche centrali il compito di sostenere – in effetti, di monetizzare – i deficit dei governi, almeno per un periodo. Gauti Eggertsson indicò molto tempo fa questo aspetto (disponibile in pdf), segnalando le politiche di successo del Giappone nei primi anni ’30 come un chiaro esempio. In effetti, Gauti sostenne che avere un grande debito statale, in tali circostanze può costituire un reale vantaggio: gli sforzi per elevare l’inflazione attesa guadagnano una credibilità aggiuntiva se il Governo ne potrà derivare un evidente beneficio in termini di finanza pubblica, e la Banca Centrale è sufficientemente subordinata ai legislatori eletti, perché gli investitori credano che essa metterà nel conto questi vantaggi della finanza pubblica.
Recentemente Paul McCulley e Zoltan Pozsar (disponibile in pdf) hanno ampliato questo punto, sostenendo che i cicli dell’aumento e della caduta dei rapporti di indebitamento alla Minsky [4] significano che ci sono tempi nei quali una banca centrale è costretta a sostenere l’espansione della domanda pubblica attraverso “denaro dall’elicottero” [5], e che questa è esattamente la ricetta più consigliabile. E questo è uno di quei momenti.
Mi sembra dunque esserci un forte argomento secondo il quale Abe sarebbe sulla strada giusta. E’ vero, lo stimolo può non essere speso in modo efficace, ma a questo proposito siamo davvero nel campo delle bottiglie di contante o degli extraterrestri nello spazio [6], dove persino una spesa pubblica inutile può servire ad uno scopo utile. La mia preoccupazione più grande, in questo momento, è che il programma di sostegno possa non comprendere sufficienti oggetti di immediata cantierazione, in modo da dare una spinta significativa nel breve termine. Ma anche qua, la notizia che la Banca del Giappone si sta inchinando al (neo)governo eletto può essere la cosa più importante.
Tornando indietro ai primi passi di questa crisi, avevo sostenuto che saremmo entrati in un regno di specchi deformanti, nel quale la virtù è vizio e la prudenza follia. Siamo ancora in quel regno – e il Giappone, tra tutti i posti, sembra essere il primo importante Governo che lo capisce.
[1] Per il concetto di ‘limite inferiore di zero’, vedi le Note sulla traduzione.
[2] Per “quantitative easing” vedi le Note finali sulla traduzione.’
[3] Per il termine ‘fiscal’ si legga la nota finale sulla traduzione. “Fiscal” normalmente non è traducibile in italiano con “fiscale” – anche se impropriamente si tende a farlo sempre più di frequente. In inglese “fiscal” è un aggettivo che indica il complesso dei fattori attinenti alla finanza pubblica, ovvero non solo quelli connessi con il “fisco” e con le entrate, ma anche quelli connessi con la spesa pubblica. Il punto è che in inglese il termine “fisco” – sostantivo – si traduce solo con “tax”; di contro il nostro “fisco” definisce normalmente tutto ciò che è soltanto connesso con le tasse. Di conseguenza è arduo in italiano usare il termine “fiscale” (a parte i suoi significati più astratti …) per riferirsi anche alla spesa pubblica. Per questa ragione, quando nel testo – come in questo caso – si intende chiaramente riferirsi a misure pubbliche di sostegno all’economia, mi pare più ragionevole tradurre “fiscal policy” con “politica della spesa pubblica”. In altri casi traduco anche con “politica della finanza pubblica”; ma si deve considerare che in lingua inglese è frequente – come in questo articolo – esporre distintamente, o anche contrapporre, la “monetary policy” e la “fiscal policy”, quando si parla di politiche per favorire l’espansione economica. La prima, la politica monetaria, è quella che agisce esclusivamente e direttamente sulla quantità di moneta in circolazione (prerogativa delle Banche Centrali); la seconda agisce invece sulla spesa pubblica dei governi. Tradurre, dunque, “fiscal policy” con “politica della finanza pubblica” può essere spesso improprio, perché nel significato italiano anche la politica monetaria è politica della finanza pubblica.
[4] Minsky è stato un importante economista americano, deceduto nel 1996, che ha studiato i processi di finanziarizzazione dell’economia, della creazione di bolle speculative e delle successive crisi, come fenomeni caratteristici delle società capitalistiche, alla luce di una lettura keynesiana del funzionamento dei meccanismi economici. Probabilmente è la figura principale di macroeconomista keynesiano degli ultimi decenni, ampiamente sottovalutato, sino almeno alla crisi finanziaria del 2008. Un economista italiano che si sottolineò la sua importanza fu Silvano Andriani, nel suo importante (e preveggente) “L’ascesa della finanza”, del 2006. Krugman stesso ha varie volte scritto di questa sottovalutazione, in un certo senso anche sua. Il tema, assai rilevante anche politicamente, è venuto in forte evidenza nel marzo del 2012, in occasione di un convegno a Berlino di economisti “minskyani”. Si può semplicemente notare come la rilevanza politica di quella discussione, in ultima analisi, finisca col vertere sul ruolo delle banche nel funzionamento delle economie moderne, che, come è noto, è anche una questione politica che ha finito con l’essere rilevante anche negli orientamenti di una parte della opinione pubblica di sinistra (si pensi allo stesso movimento “Occupy Wall Street”, con il quale Krugman ha comunque espresso a suo tempo un forte sentimento di condivisione, sia pure con qualche cautela). In occasione del Convegno di Berlino uno dei principali esponenti di questo neo-minskysmo, Steve Keen, polemizzò abbastanza aspramente con Krugman, provocando alcuni suoi interventi (“Minsky e la metodologia”, post del 27 marzo 2012; “Misticismo bancario”, post sempre del 27 marzo 2012; “Misticismo bancario. Continuazione”, post del 30 marzo 2012). In questa polemica intervennero anche altri esponenti ‘minskyani’ come Randall Wray, Steve Roth, Nick Rowe e Scott Fullwiler.
[5] Alcuni economisti, compreso Milton Friedman, talora hanno usato la metafora del “denaro dall’elicottero”. L’autorità monetaria caricherebbe valuta appena stampata su elicotteri, per poi mettersi a volare in giro ed a gettarla di sotto. La gente afferrerebbe il denaro o magari lo ammucchierebbe col rastrello; in sostanza, la gente spenderebbe poi il denaro, in modo tale che un incremento della quantità di denaro scaricata dagli elicotteri provocherebbe una spesa aggiuntiva. Se ci fossero problemi di inadeguata domanda, gli ‘elicotteri’ potrebbero porvi rimedio. Quello che è implicito nella storiella degli elicotteri è che la moneta legale funziona come la moneta aurea; la differenza è che non si devono sostenere alti costi di estrazione ma solo stamparla. Nello stesso modo in cui i cercatori d’oro vendono o spendono il loro prodotto senza alcun pensiero sugli effetti di tutto ciò sul potere di acquisto dell’oro, il Governo può spendere moneta stampata senza preoccuparsi dei livello dei prezzi. L’economia deciderà se la moneta scesa dagli elicotteri favorirà l’espansione o provocherà l’inflazione.
[6] La traduzione è assai azzardata, ma provo a giustificarla. Le “bottiglie di contante” che potrebbero essere sotterrate sottoterra, se ben ricordo, sono un esempio avanzato da Keynes nella Teoria Generale, esattamente a proposito della equivalenza di soluzioni monetariste paradossali e di convenzionale monetarismo aureo. Gli alieni sono invece una invenzione altrettanto paradossale di Krugman, che talvolta si è spinto ad ipotizzare lo scherzo dei possibili effetti espansivi di una inventata guerra spaziale agli effetti di un potenziamento della domanda aggregata. Il significato sarebbe che siamo in un campo nel quale un ampliamento della spesa pubblica produrrebbe effetti anche a prescindere dalla efficacia di tale spesa, come del resto chiarito dalla frase successiva.
By mm
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