Blog di Krugman

Sulla non equivalenza tra ‘gas serra’ e spesa pubblica sui programmi di assistenza (17 gennaio 2013)

 

January 17, 2013, 7:21 am

On the Non-equivalence of Greenhouse Gases and Entitlement Spending

One fairly common trope in budget discussions – I’m pretty sure I’ve done it myself, somewhere along the line – is to compare attitudes toward fiscal issues and those toward environmental issues. The usual version, which I must have used, is to compare attitudes toward the long run: pointing out how strange it is that many people profess to be deeply concerned about the state of the Social Security trust fund in the year 2037, while being apparently indifferent to the state of the climate around the same time, which is all too likely to involve things like a permanent drought in the southwest and so on.

 

But can you make the analogy work in reverse, and say that liberals concerned about the future of the environment should be equally concerned about the long-run budget outlook? Tom Friedman recently made that argument, so it’s worth pointing out, respectfully, why I disagree. And I think that explaining what’s wrong here helps make the broader point that we are spending far too much time worrying about long-term budget projections.

 

So, let’s start with climate change. Serious people are and should be deeply worried, indeed horrified, by the lack of action on greenhouse gases. But why? Why not just assume that when climate change becomes undeniable, we’ll do whatever is necessary?

 

The answer, first and foremost, is that each year we fail to act has more or less irreversible physical consequences. We’re pumping around 35 billion tons of carbon dioxide into the atmosphere annually; this stuff will stick around for a very long time, and its consequences for warming and sea level rise will last even longer. So each year that we fail to act has a direct physical impact on the future.

There’s also an investment aspect: each year that we fail to get the incentives right, people commit limited resources to the wrong technologies, especially coal-fired power plants instead of wind, solar, conservation, whatever. Again, these choices have a physical impact on the world of the future.

 

 

Now ask, what in the debate about “entitlements” corresponds at all to this kind of impact? Nothing physical, clearly. You could argue that it would have helped to prepay some of our future costs by paying down debt and indeed having the government acquire assets while the demography was favorable – not because this would have directly increased future resources (debt is money we owe to ourselves) but because it would have reduced the need for higher taxes, and hence the distortionary effect of those taxes. And this argument was, indeed, the reason people like me wanted to protect the Social Security lockbox way back when.

 

But we didn’t; Bush squandered the surplus on tax cuts and unfunded wars (and was, with notably rare exceptions, cheered on by the very people now lecturing us solemnly on the need to cut entitlements). Now the baby boomers are retiring fast, and as far as I can tell none of the deficit scolds are pushing for a big effort to pay debt down over the course of the next few years.

Instead, they’re pushing for things like a gradual rise in the retirement age and a change in the formulas used to compute benefits – things that will cut future rather than present outlays. Or to put it differently, they aren’t really trying to cut debt; they’re simply trying to lock us in now to the spending cuts they think we’ll eventually have to make anyway. And they never, as far as I can tell, really ask why it’s important to do this now.

 

But think about it; use Social Security as the example, although much the same argument applies to other programs. It seems probable if not certain that we will eventually either have to cut SS benefits (relative to current law) or raise additional revenue. So the threat, if you like, is that future benefits will fall short of what people now expect. To avert this threat, the usual suspects insist that we must gradually reduce the program’s generosity. That is, in order to guard against cuts in future benefits we must … cut future benefits. Huh?

 

OK, there are some arguments you could make; maybe the adjustment would be smoother, with less of a “cliff” when the trust fund runs out, if we set benefits on a downward glide path. But that’s a second-order issue, literally: we aren’t talking about preserving the overall level of benefits, we’re just talking about reducing its variance around a smooth trend. And given how uncertain we are about what the world will look like in 25 years, preemptively cutting right now could mean a gratuitous sacrifice of future benefits that may eventually turn out to have been affordable after all.

The point is that there’s a pretty good case for letting the future of entitlements take care of itself. It’s not a slam-dunk case, but the case for urgency right now is quite weak, and nothing at all like the case that we need to stop pouring all that CO2 into the atmosphere as soon as possible.

Now, you might ask whether it’s really possible that the whole Serious consensus about the budget is based on such weak logical underpinnings. Don’t the great and the good think things through before getting all committed to their views?

Hey, who said I don’t have a sense of humor?

 

Sulla non equivalenza tra ‘gas  serra’ e spesa pubblica sui programmi di assistenza

 

Un luogo comune abbastanza frequente nei dibattiti sul bilancio – sono quasi certo di averlo fatto io stesso di recente da qualche parte – è quello di confrontare gli atteggiamenti verso i temi della finanza pubblica e quelli verso i temi ambientali. La versione più comune è quella di confrontare gli atteggiamenti verso il lungo periodo: sottolineando quanto sia strano che le stesse persone affermino di essere profondamente preoccupate sulla situazione dei fondi fiduciari della Previdenza Sociale all’anno 2037, mentre sembrano abbastanza indifferenti alle condizioni del clima alla stessa data, la qual cosa del tutto probabilmente riguarda anche aspetti come una permanente siccità nel sudest e così via.

Ma si può far operare tale analogia anche all’opposto, e dire che i progressisti preoccupati per il futuro dell’ambiente dovrebbero allo stesso modo essere preoccupati sulle prospettive di lungo periodo del bilancio? Tom Friedman [1]ha di recente avanzato quell’argomento, cosicché merita che io indichi, rispettosamente, perché non sono d’accordo. E penso che spiegare cosa ci sia di sbagliato in questo abbia a che fare con la questione più generale del troppo tempo che stiamo spendendo nel preoccuparci delle previsioni sul lungo periodo del bilancio.

Cominciamo dunque col cambiamento climatico. Le persone serie sono, e giustamente, profondamente preoccupate, meglio ancora terrorizzate, dalla mancanza di iniziativa sul ‘gas serra’. Ma perché? Perché non considerare che quando il cambiamento climatico diverrà innegabile, faremmo tutto quello che sarà necessario?

La risposta, prima di tutto, è che ogni anno di inazione ha conseguenze materiali più o meno irreversibili. Noi stiamo riversando nell’atmosfera all’incirca 35 miliardi di tonnellate di biossido di carbonio all’anno; questa roba resterà in sospensione per un tempo molto lungo e le sue conseguenze sul riscaldamento e sull’aumento dei livelli  del mare dureranno anche più a lungo. In tal modo ogni anno di non azione avrà un impatto materiale diretto sul futuro.

C’è anche un aspetto che riguarda gli investimenti: per ogni anno nel quale non utilizziamo correttamente gli incentivi, le persone impegnano risorse limitate nelle tecnologie sbagliate, specialmente gli impianti di produzione elettrica alimentati a carbone, anziché con l’eolico, con il solare, con il risparmio energetico, in qualsiasi modo. Queste scelte hanno ancora un impatto materiale sul mondo futuro.

Chiediamoci adesso che cosa, nel dibattito sui programmi assistenziali, corrisponda a questo genere di impatto. Chiaramente, niente di materiale. Potreste sostenere che sarebbe stato di aiuto pagare in anticipo una parte dei nostri costi futuri rimborsando il debito e mettendo in Governo nelle condizioni di avvantaggiarsi nel momento in cui la demografia era favorevole – non perché questo avrebbe direttamente incrementato le risorse future (il debito è denaro che prestiamo a noi stessi), ma perché avrebbe ridotto il bisogno di tasse più elevate, e di conseguenza l’effetto di distorsione di tali tasse. E in effetti questo fu l’argomento per il quale persone come il sottoscritto volevano proteggere il forziere della Previdenza Sociale quando era il momento.

Ma non lo facemmo: Bush sprecò gli avanzi di amministrazione sugli sgravi fiscali e sulle guerre fuori bilancio [2] (e venne sostenuto, con eccezioni assai rare, dalla stessa gente che oggi pontifica solennemente sulla necessità di tagli ai programmi dell’assistenza). Oggi i ‘baby boomers’ [3] stanno andando velocemente in pensione, e per quello che posso capire nessuno degli allarmisti dei deficit sta spingendo per un grande sforzo per rimborsare il debito nel breve corso dei prossimi anni.

Invece, stanno spingendo per cose come un innalzamento graduale dell’età di pensionamento e per un cambiamento nelle formule di calcolo dei sussidi – cose che diminuiranno le spese nel futuro, ma non nel presente. Ovvero, per dirla diversamente, non stanno davvero cercando di tagliare il debito; stanno semplicemente cercando di fissare oggi quei tagli si spesa che credono alla fine dovremo realizzare in ogni modo. E, da quanto capisco, essi non si chiedono mai perché sia importante fare questo adesso.

Ma riflettiamoci; utilizziamo come esempio  la Previdenza Sociale, anche se lo stesso argomento si applica ad altri programmi. Sembra probabile se non certo che alla fine noi avremo o i tagli alla Previdenza Sociale (in relazione alle leggi attuali) o incrementi di entrate aggiuntive. Cosicché la minaccia, se così volete dire, è che i futuri sussidi saranno inferiori di quanto la gente si aspetti. Per evitare questa minaccia, i soliti noti insistono sul fatto che dovremmo gradualmente ridurre la generosità del programma. Cioè, al fine di stare in guardia contro tagli nei sussidi del futuro noi dobbiamo …. tagliare i sussidi del futuro. Ma guarda un po’!

E’ vero: si possono avanzare alcuni argomenti; forse la correzione potrebbe essere più morbida, con un minore ‘precipizio’ al momento in cui i fondi fiduciari andranno al termine, se poniamo i sussidi su un sentiero di graduale discesa. Ma questo, letteralmente, è un tema di secondo piano; stiamo semplicemente parlando di ridurre la sua variazione secondo una tendenza morbida. E data l’incertezza che abbiamo su come sarà il mondo tra 25 anni, anticipare i tagli sin d’ora potrebbe significare una sacrificio gratuito di sussidi futuri che alla fine si può scoprire sarebbero stati ben sostenibili.

Il punto è che si tratta di un esempio abbastanza buono per lasciare che il futuro dei programmi sociali si prenda cura di se stesso. Non è l’esempio di qualcosa da risolvere con un colpo solo [4], ma l’esempio di qualcosa la cui urgenza in questo momento è abbastanza modesta, e non è affatto un esempio comparabile con il bisogno che abbiamo di smettere di riversare il biossido di carbonio in atmosfera prima possibile.

Ora, potreste chiedervi se è davvero possibile che tutto il Serio consenso che esiste sul bilancio sia basato su supporto logici così deboli. Non riflettete sulle cose buone e importanti , prima di impegnarvi completamente a sostegno dei loro argomenti?

Ehi, chi diceva che non sono una persona di spirito?



[1] Si riferisce all’argomento utilizzato di recente da un altro famoso editorialista del New York Times – Tom Friedman – in un articolo dal titolo “Il mercato e Madre Natura” dell’8 gennaio scorso.

[2] Continuo a tradurre “unfunded war” in questo modo, perché suppongo che ci si riferisca alla famigerata clausola per la quale il “Comandante in capo” George W. Bush fece approvare la possibilità di spesa per la sicurezza nazionale fuori dalla copertura legale di bilancio. Ma non conosco i particolari tecnici di quella clausola.

[3] Ovvero, la generazione di americani nati successivamente alla II Guerra Mondiale, che fu definita un “baby boom” per tassi di natalità straordinariamente elevati. Naturalmente, quella ‘onda lunga’ di cittadini americani è successivamente transitata sulle statistiche e sulla economia reale in termini di occupazione, anche di prodotto nazionale e di consumi, e infine di costi previdenziali.

[4] “Slam-dunk” è una espressione usata sia nel significato specifico di una “schiacciata a canestro” (nel basket) sia per indicare metaforicamente una cosa molto facile, una “passeggiata” …

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