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Austerità, modello italiano (New York Times 24 febbraio 2013)

 

Austerity, Italian Style

By PAUL KRUGMAN
Published: February 24, 2013

 

Two months ago, when Mario Monti stepped down as Italy’s prime minister, The Economist opined that “The coming election campaign will be, above all, a test of the maturity and realism of Italian voters.” The mature, realistic action, presumably, would have been to return Mr. Monti — who was essentially imposed on Italy by its creditors — to office, this time with an actual democratic mandate.

 

Well, it’s not looking good. Mr. Monti’s party appears likely to come in fourth; not only is he running well behind the essentially comical Silvio Berlusconi, he’s running behind an actual comedian, Beppe Grillo, whose lack of a coherent platform hasn’t stopped him from becoming a powerful political force.

It’s an extraordinary prospect, and one that has sparked much commentary about Italian political culture. But without trying to defend the politics of bunga bunga, let me ask the obvious question: What good, exactly, has what currently passes for mature realism done in Italy or for that matter Europe as a whole?

 

For Mr. Monti was, in effect, the proconsul installed by Germany to enforce fiscal austerity on an already ailing economy; willingness to pursue austerity without limit is what defines respectability in European policy circles. This would be fine if austerity policies actually worked — but they don’t. And far from seeming either mature or realistic, the advocates of austerity are sounding increasingly petulant and delusional.

Consider how things were supposed to be working at this point. When Europe began its infatuation with austerity, top officials dismissed concerns that slashing spending and raising taxes in depressed economies might deepen their depressions. On the contrary, they insisted, such policies would actually boost economies by inspiring confidence.

 

But the confidence fairy was a no-show. Nations imposing harsh austerity suffered deep economic downturns; the harsher the austerity, the deeper the downturn. Indeed, this relationship has been so strong that the International Monetary Fund, in a striking mea culpa, admitted that it had underestimated the damage austerity would inflict.

 

Meanwhile, austerity hasn’t even achieved the minimal goal of reducing debt burdens. Instead, countries pursuing harsh austerity have seen the ratio of debt to G.D.P. rise, because the shrinkage in their economies has outpaced any reduction in the rate of borrowing. And because austerity policies haven’t been offset by expansionary policies elsewhere, the European economy as a whole — which never had much of a recovery from the slump of 2008-9 — is back in recession, with unemployment marching ever higher.

 

The one piece of good news is that bond markets have calmed down, largely thanks to the stated willingness of the European Central Bank to step in and buy government debt when necessary. As a result, a financial meltdown that could have destroyed the euro has been avoided. But that’s cold comfort to the millions of Europeans who have lost their jobs and see little prospect of ever getting them back.

Given all of this, one might have expected some reconsideration and soul-searching on the part of European officials, some hints of flexibility. Instead, however, top officials have become even more insistent that austerity is the one true path.

Thus in January 2011 Olli Rehn, a vice president of the European Commission, praised the austerity programs of Greece, Spain and Portugal and predicted that the Greek program in particular would yield “lasting returns.” Since then unemployment has soared in all three countries — but sure enough, in December 2012 Mr. Rehn published an op-ed article with the headline “Europe must stay the austerity course.”

Oh, and Mr. Rehn’s response to studies showing that the adverse effects of austerity are much bigger than expected was to send a letter to finance minsters and the I.M.F. declaring that such studies were harmful, because they were threatening to erode confidence.

Which brings me back to Italy, a nation that for all its dysfunction has in fact dutifully imposed substantial austerity — and seen its economy shrink rapidly as a result.

 

Outside observers are terrified about Italy’s election, and rightly so: even if the nightmare of a Berlusconi return to power fails to materialize, a strong showing by Mr. Berlusconi, Mr. Grillo, or both would destabilize not just Italy but Europe as a whole. But remember, Italy isn’t unique: disreputable politicians are on the rise all across Southern Europe. And the reason this is happening is that respectable Europeans won’t admit that the policies they have imposed on debtors are a disastrous failure. If that doesn’t change, the Italian election will be just a foretaste of the dangerous radicalization to come.

 

Austerità, modello italiano, di Paul Krugman

New York Times 24 febbraio 2013

 

Due mesi orsono, quando Mario Monti si dimise da Primo Ministro, The Economist espresse questa opinione: “La campagna  elettorale in arrivo sarà, soprattutto, un test sulla maturità ed il realismo degli elettori italiani”. Presumibilmente, il comportamento maturo e realistico avrebbe dovuto consistere nel ritorno in carica del signor Monti, che fondamentalmente era stato imposto all’Italia dai suoi creditori, questa volta con un effettivo mandato democratico.

Ebbene, non è andata in quel modo. Il partito di Monti sembra probabile si piazzi al quarto posto; non solo è assai distanziato dal fondamentalmente caricaturale Silvio Berlusconi, è anche molto indietro rispetto al comico di professione Beppe Grillo, la cui mancanza di una piattaforma coerente non gli ha impedito di divenire una forza politica potente.

Si tratta di una prospettiva fuori dall’ordinario, che ha fatto scatenare una quantità di commenti sulla cultura politica italiana. Ma, lungi dal cercar di difendere la politica del bunga bunga, fatemi porre una domanda naturale: cosa c’è, precisamente, di buono in ciò che attualmente viene presentato come maturo realismo di marca italiana, od anche, se è per questo, dell’Europa nel suo complesso?

Perché il signor Monti, in effetti, è stato il proconsole installato dalla Germania per rafforzare l’austerità delle finanze pubbliche su di un’economia già malandata: la volontà di perseguire senza alcun limite l’austerità è quello che definisce la rispettabilità nei circoli politici europei. Questo andrebbe bene, se le politiche dell’austerità funzionassero per davvero – ma non è così. E lungi dall’apparire maturi e realistici, i sostenitori dell’austerità sembrano sempre di più petulanti e deliranti.

Si consideri come si pensava che a questo punto le cose funzionassero. Quando in Europa ebbe inizio l’infatuazione per l’austerità, gli alti dirigenti misero da parte le preoccupazioni secondo le quali tagliare la spesa ed alzare le tasse in economie depresse poteva approfondire la loro depressione. Al contrario, si insistette che politiche del genere avrebbero effettivamente incoraggiato le economie, ispirando fiducia.

Ma lo spettacolo della fata della fiducia non c’è stato. Le nazioni che hanno imposto una severa austerità hanno patito profonde regressioni economiche; più grave è stata l’austerità, più profondo il declino. In effetti, la relazione è stata così forte che il Fondo Monetario Internazionale, con un mea culpa che ha fatto scalpore, ha ammesso di aver sottostimato il danno che l’austerità avrebbe provocato.

Nel frattempo, l’austerità non ha neppure ottenuto l’obbiettivo minimo di ridurre il peso del debito. Al contrario, i paesi che hanno perseguito l’austerità più dura hanno visto crescere la percentuale del debito sul PIL, giacché la restrizione delle loro economie è andata assai più veloce di qualsiasi riduzione del tasso di interesse sui debiti. E poiché le politiche di austerità non sono state bilanciate in nessun altro luogo da politiche espansive, l’economia europea nel suo complesso – che non si era mai granché ripresa dalla crisi del 2008-9 – è tornata in recessione, con un disoccupazione che diventa persino più in elevata.

L’unica buona notizia è che il mercato dei bonds si è calmato, in gran parte grazie alla volontà espressa dalla Banca Centrale Europea di farsi avanti ed acquistare debito degli Stati ogni qualvolta necessario. Di conseguenza, è stato evitato un collasso finanziario che avrebbe potuto distruggere l’euro. Ma si tratta di un modesto conforto per milioni di europei che hanno perso il loro lavoro e che hanno poca speranza di riottenerlo.

Tutto ciò considerato, ci si sarebbe aspettati una qualche riconsiderazione ed un esame di coscienza da parte dei dirigenti europei, alcuni segni di flessibilità. Invece, gli alti dirigenti sono diventati persino più tenaci nell’indicare l’austerità come l’unica strada.

Così nel gennaio del 2011 Olli Rehn, un Vicepresidente della Commissione Europea, elogiava i programmi di austerità della Grecia, della Spagna e del Portogallo e prevedeva che i programmi in particolare della Grecia avrebbero prodotto “ritorni duraturi”. Da allora la disoccupazione è salita alle stelle in tutti e tre i paesi – ma, come previsto, nel dicembre del 2012 il signor Rehn ha pubblicato un articolo di commento dal titolo “L’Europa deve mantenere la rotta dell’austerità”.

Inoltre, la risposta del signor Rehn agli studi che mostrano come gli effetti negativi dell’austerità siano assai maggiori di quello che ci si aspettava è stata una lettera spedita ai ministri delle finanze ed al FMI, con la quale si afferma che tali studi hanno provocato danni, perché hanno minacciato di erodere la fiducia.

Il che mi riporta all’Italia, una nazione a seguito di tutte le sue disfunzioni ha in pratica disciplinatamente imposto una sostanziale austerità – ed ha visto come risultato l’economia restringersi rapidamente.

Gli osservatori esterni sono terrorizzati dalle elezioni italiane, è giustamente: persino se l’incubo di un ritorno di Berlusconi al potere non si materializzasse, un forte risultato di Berlusconi, di Grillo o di entrambi destabilizzerebbe non solo l’Italia, ma l’Europa nel suo complesso. Ma, si ricordi, l’Italia non è unica: uomini politici poco raccomandabili sono in ascesa in tutta l’Europa meridionale. E la ragione per la quale questo sta accadendo è che gli europei rispettabili non vogliono ammettere di aver imposto ai paesi debitori un fallimento disastroso. Se questo non cambia, le elezioni italiane saranno solo un assaggio di una pericolosa radicalizzazione in arrivo.

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