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Il ‘sequestro’ degli sciocchi (New York Times 21 febbraio 2013)

 

Sequester of Fools

By PAUL KRUGMAN

Published: February 21,

They’re baaack! Just about two years ago, Erskine Bowles and Alan Simpson, the co-chairmen of the late unlamented debt commission, warned us to expect a terrible fiscal crisis within, um, two years unless we adopted their plan. The crisis hasn’t materialized, but they’re nonetheless back with a new version. And, in case you’re interested, after last year’s election — in which American voters made it clear that they want to preserve the social safety net while raising taxes on the rich — the famous fomenters of fiscal fear have moved to the right, calling for even less revenue and even more spending cuts.

 

But you aren’t interested, are you? Almost nobody is. Messrs. Bowles and Simpson had their moment — the annus horribilis of 2011, when Washington was in thrall to deficit scolds insisting that, in the face of record-high long-term unemployment and record-low borrowing costs, we forget about jobs and concentrate exclusively on a “grand bargain” that would supposedly (not actually) settle budget disputes for ever after.

 

That moment has now passed; even Mr. Bowles concedes that the search for a grand bargain is on “life support.” Let’s convene a death panel! But the legacy of that year of living foolishly lives on, in the form of the “sequester,” one of the worst policy ideas in our nation’s history.

 

Here’s how it happened: Republicans engaged in unprecedented hostage-taking, threatening to push America into default by refusing to raise the debt ceiling unless President Obama agreed to a grand bargain on their terms. Mr. Obama, alas, didn’t stand firm; instead, he tried to buy time. And, somehow, both sides decided that the way to buy time was to create a fiscal doomsday machine that would inflict gratuitous damage on the nation through spending cuts unless a grand bargain was reached. Sure enough, there is no bargain, and the doomsday machine will go off at the end of next week.

 

There’s a silly debate under way about who bears responsibility for the sequester, which almost everyone now agrees was a really bad idea. The truth is that Republicans and Democrats alike signed on to this idea. But that’s water under the bridge. The question we should be asking is who has a better plan for dealing with the aftermath of that shared mistake.

The right policy would be to forget about the whole thing. America doesn’t face a deficit crisis, nor will it face such a crisis anytime soon. Meanwhile, we have a weak economy that is recovering far too slowly from the recession that began in 2007. And, as Janet Yellen, the vice chairwoman of the Federal Reserve, recently emphasized, one main reason for the sluggish recovery is that government spending has been far weaker in this business cycle than in the past. We should be spending more, not less, until we’re close to full employment; the sequester is exactly what the doctor didn’t order.

 

Unfortunately, neither party is proposing that we just call the whole thing off. But the proposal from Senate Democrats at least moves in the right direction, replacing the most destructive spending cuts — those that fall on the most vulnerable members of our society — with tax increases on the wealthy, and delaying austerity in a way that would protect the economy.

House Republicans, on the other hand, want to take everything that’s bad about the sequester and make it worse: canceling cuts in the defense budget, which actually does contain a lot of waste and fraud, and replacing them with severe cuts in aid to America’s neediest. This would hit the nation with a double whammy, reducing growth while increasing injustice.

As always, many pundits want to portray the deadlock over the sequester as a situation in which both sides are at fault, and in which both should give ground. But there’s really no symmetry here. A middle-of-the-road solution would presumably involve a mix of spending cuts and tax increases; well, that’s what Democrats are proposing, while Republicans are adamant that it should be cuts only. And given that the proposed Republican cuts would be even worse than those set to happen under the sequester, it’s hard to see why Democrats should negotiate at all, as opposed to just letting the sequester happen.

 

So here we go. The good news is that compared with our last two self-inflicted crises, the sequester is relatively small potatoes. A failure to raise the debt ceiling would have threatened chaos in world financial markets; failure to reach a deal on the so-called fiscal cliff would have led to so much sudden austerity that we might well have plunged back into recession. The sequester, by contrast, will probably cost “only” around 700,000 jobs.

 

But the looming mess remains a monument to the power of truly bad ideas — ideas that the entire Washington establishment was somehow convinced represented deep wisdom.

 

Il sequestro [1] degli sciocchi, di Paul Krugman

New York Times 21 febbraio 2013

 

Rieccoli! Solo circa due anni orsono, Erskine Bowles ed Alan Simpson, i copresidenti della passata non compianta Commissione sul debito [2], ci ammonivano ad aspettarci una tremenda crisi delle finanze pubbliche nel giro, diciamo, di due anni, se non avessimo adottato il loro piano. La crisi non si è materializzata, nondimeno essi sono tornati con una nuova versione. E, nel caso foste interessati, dopo le elezioni dell’anno passato – con le quali i cittadini americani hanno chiarito di voler preservare la rete della sicurezza sociale e nel contempo aumentare le tasse sui ricchi – i noti agitatori di ossessioni sulla finanza pubblica si sono spostati a destra, chiedendo ancora minori entrate e maggiori tagli alla spesa.

Ma non siete interessati, non è così? Quasi nessuno lo è. I signori Bowles e Simpson hanno avuto il loro momento – l’annus horribilis del 2011, quando Washington era alla mercé degli allarmisti del deficit, secondo i quali, nonostante una disoccupazione di lungo periodo da record e bassi costi sul debito altrettanto da record, dovevamo dimenticarci dei posti di lavoro e concentrarci esclusivamente su una “Grande Intesa” che, in teoria più che in pratica, avrebbe risolto da allora in poi ogni contrasto sul bilancio.

Ora quel momento è passato: persino il signor Bowles ammette che la ricerca di una grande intesa è “tenuta artificialmente in vita”. Si convochi una “giuria della morte”! [3] Ma l’eredità di quell’anno pazzesco sopravvive, nella forma del cosiddetto “sequestro”, ovvero di una delle peggiori idee politiche della storia della Nazione.

Ecco come è successo: i Repubblicani si erano impegnati in una politica ricattatoria senza precedenti, minacciando di spingere l’America al default attraverso il rifiuto di innalzare il ‘tetto del debito’ se il Presidente Obama non avesse dato il proprio avallo ad una grande intesa alle loro condizioni. Obama, ahimè, non si comportò con fermezza; cercò, piuttosto, di prendere tempo. E, in qualche modo, entrambi gli schieramenti decisero che il modo di prender tempo era quello di creare una sorta di meccanismo da giorno del giudizio della finanza pubblica, che avrebbe inflitto una gran danno al paese con tagli alla spesa pubblica, se non fosse intervenuto  il grande accordo. Come era evidente, non c’è alcun accordo, e il meccanismo del giorno del giudizio scatterà alla fine della prossima settimana.

E’ in corso una stupida discussione su chi porti la responsabilità del “sequestro”, che quasi tutti oggi riconoscono essere stata una pessima idea. La verità è che i Repubblicani ed i Democratici hanno sottoscritto assieme quest’idea. Ma questa è roba passata. La domanda che ci dovremmo porre è chi abbia il piano migliore per fare i conti con le conseguenze di quel comune sbaglio.

La politica giusta sarebbe quella di mettere una pietra sopra l’intera faccenda. L’America non è di fronte ad una crisi del deficit, né lo sarà in alcun modo prossimamente. Di contro, abbiamo un’economia debole che si sta riprendendo anche troppo lentamente dalla recessione che cominciò nel 2007. E, come ha di recente messo in evidenza Janet Yellen, la Vicepresidente della Federal Reserve, una principale ragione della ripresa fiacca è che la spesa pubblica è stata assai più debole in questo ciclo economico, che non nel passato. Dovremmo spendere di più, non di meno, finché non saremo in prossimità della piena occupazione; il ‘sequestro’ è esattamente quello che il dottore ha sconsigliato.

Sfortunatamente, nessuno dei due partiti sta proponendo ciò che eliminerebbe il problema. Ma la proposta dei Democratici del Senato almeno si muove nella direzione giusta, sostituendo i più distruttivi tagli alla spesa – quelli che ricadrebbero sulla parte più vulnerabile della nostra società – con incrementi fiscali sui ricchi, e rinviando l’austerità in modo da proteggere l’economia.

I Repubblicani della Camera, d’altra parte, del ‘sequestro’ vogliono far proprio ogni aspetto negativo e peggiorarlo: cancellare i tagli al bilancio della difesa, che effettivamente contiene quantità di sprechi e di truffe, e rimpiazzarli con duri tagli agli aiuti verso gli americani più bisognosi. Il che darebbe un doppio colpo alla nazione, attenuando la crescita ed aumentando l’ingiustizia.

Come sempre, molti esperti vogliono ritrarre l’impasse del ‘sequestro’ come una situazione della quale entrambi gli schieramenti porterebbero la responsabilità, e nella quale entrambi dovrebbero fare concessioni. Ma in questo caso non c’è davvero simmetria alcuna. Una soluzione a mezza strada presumibilmente riguarderebbe una combinazione di tagli alla spesa e di incrementi fiscali; ebbene, è quello che i Democratici stanno proponendo, mentre i Repubblicani sono irremovibili nel limitarsi ai soli tagli. E dato che i tagli proposti dai Repubblicani sarebbero persino peggiori di quelli destinati ad avvenire nelle condizioni del ‘sequestro’, è difficile capire perché i Democratici dovrebbero in ogni modo negoziare, invece che lasciare libero corso al ‘sequestro’.

Siamo, dunque, a questo punto. La buona notizia è che a confronto delle nostre due precedenti autolesionistiche crisi, il ‘sequestro’ è piuttosto una stupidaggine. Non innalzare il tetto del debito sarebbe stata una minaccia di caos per i mercati finanziari mondiali; non raggiungere un accordo sul cosiddetto ‘precipizio fiscale’ avrebbe portato ad una talmente improvvisa austerità, che saremmo ben potuti ripiombare nella recessione. Il ‘sequestro’, di contro, costerà probabilmente ‘soltanto’ 700 mila posti di lavoro, all’incirca.

Ma il disordine che si annuncia rimane un monumento al potere delle idee autenticamente sbagliate – idee che l’intera classe dirigente di Washington era in qualche modo persuasa rappresentassero profonda saggezza.



[1] “Sequestro”, come si capisce dall’articolo, è l’espressione coniata per quello che potremmo definire il terzo periodo della ‘trilogia’ del dibattito politico americano degli anni recenti. Si è passati dallo psicodramma del “debt ceiling” (“tetto del debito”) del 2011, a quello del “fiscal cliff” (“precipizio fiscale”) della parte finale del 2012, infine all’attuale “sequester”. In modi diversi, esprimono tutti e tre il confuso scontro aperto nel Congresso sui temi delle politiche fiscali e di contenimento della spesa pubblica.

Quanto al termine “sequestro” il significato mi pare questo: il bilancio è come messo sotto sequestro, nel senso che è ipotecato dalle scadenze fissate in precedenza, nella logica dei rinvii. Ma questo articolo spiega l’intera storia.

[2] Il primo è un democratico, il secondo un repubblicano.

[3] “Death panel” era la parola d’ordine del Tea Party contro la riforma sanitaria di Obama. Con essa ci si riferiva a quella parte delle proposte di riforma relativa ad un contenimento dei costi fuori controllo della sanità, che veniva demagogicamente presentata come un tentativo di interrompere la assistenza a malati terminali attraverso il pronunciamento di organi burocratici (le ‘giurie’, appunto, della morte). Nei mesi dello scontro sulla riforma quella propaganda ebbe una certa presa. Ora ironicamente l’espressione viene ripresa da Krugman in riferimento alla prospettiva di una “grande intesa fiscale”; essendo essa ‘tenuta artificialmente in vita’ (“on life support”), tanto varrebbe convocare una ‘giuria della morte’ !

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