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Tiratela alle lunghe (New York Times 7 febbraio 2013)

 

Kick That Can

By PAUL KRUGMAN
Published: February 7,

 

John Boehner, the speaker of the House, claims to be exasperated. “At some point, Washington has to deal with its spending problem,” he said Wednesday. “I’ve watched them kick this can down the road for 22 years since I’ve been here. I’ve had enough of it. It’s time to act.”

Actually, Mr. Boehner needs to refresh his memory. During the first decade of his time in Congress, the U.S. government was doing just fine on the fiscal front. In particular, the ratio of federal debt to G.D.P. was a third lower when Bill Clinton left office than it was when he came in. It was only when George W. Bush arrived and squandered the Clinton surplus on tax cuts and unfunded wars that the budget outlook began deteriorating again.

But that’s a secondary issue. The key point is this: While it’s true that we will eventually need some combination of revenue increases and spending cuts to rein in the growth of U.S. government debt, now is very much not the time to act. Given the state we’re in, it would be irresponsible and destructive not to kick that can down the road.

 

Start with a basic point: Slashing government spending destroys jobs and causes the economy to shrink.

This really isn’t a debatable proposition at this point. The contractionary effects of fiscal austerity have been demonstrated by study after study and overwhelmingly confirmed by recent experience — for example, by the severe and continuing slump in Ireland, which was for a while touted as a shining example of responsible policy, or by the way the Cameron government’s turn to austerity derailed recovery in Britain.

 

 

Even Republicans admit, albeit selectively, that spending cuts hurt employment. Thus John McCain warned earlier this week that the defense cuts scheduled to happen under the budget sequester would cause the loss of a million jobs. It’s true that Republicans often seem to believe in “weaponized Keynesianism,” a doctrine under which military spending, and only military spending, creates jobs. But that is, of course, nonsense. By talking about job losses from defense cuts, the G.O.P. has already conceded the principle of the thing.

 

Still, won’t spending cuts (or tax increases) cost jobs whenever they take place, so we might as well bite the bullet now? The answer is no — given the state of our economy, this is a uniquely bad time for austerity.

One way to see this is to compare today’s economic situation with the environment prevailing during an earlier round of defense cuts: the big winding down of military spending in the late 1980s and early 1990s, following the end of the cold war. Those spending cuts destroyed jobs, too, with especially severe consequences in places like southern California that relied heavily on defense contracts. At the national level, however, the effects were softened by monetary policy: the Federal Reserve cut interest rates more or less in tandem with the spending cuts, helping to boost private spending and minimize the overall adverse effect.

 

 

Today, by contrast, we’re still living in the aftermath of the worst financial crisis since the Great Depression, and the Fed, in its effort to fight the slump, has already cut interest rates as far as it can — basically to zero. So the Fed can’t blunt the job-destroying effects of spending cuts, which would hit with full force.

The point, again, is that now is very much not the time to act; fiscal austerity should wait until the economy has recovered, and the Fed can once again cushion the impact.

 

But aren’t we facing a fiscal crisis? No, not at all. The federal government can borrow more cheaply than at almost any point in history, and medium-term forecasts, like the 10-year projections released Tuesday by the Congressional Budget Office, are distinctly not alarming. Yes, there’s a long-term fiscal problem, but it’s not urgent that we resolve that long-term problem right now. The alleged fiscal crisis exists only in the minds of Beltway insiders.

 

 

Still, even if we should put off spending cuts for now, wouldn’t it be a good thing if our politicians could simultaneously agree on a long-term fiscal plan? Indeed, it would. It would also be a good thing if we had peace on earth and universal marital fidelity. In the real world, Republican senators are saying that the situation is desperate — but not desperate enough to justify even a penny in additional taxes. Do these sound like men ready and willing to reach a grand fiscal bargain?

 

Realistically, we’re not going to resolve our long-run fiscal issues any time soon, which is O.K. — not ideal, but nothing terrible will happen if we don’t fix everything this year. Meanwhile, we face the imminent threat of severe economic damage from short-term spending cuts.

 

So we should avoid that damage by kicking the can down the road. It’s the responsible thing to do.

 

Tiratela alle lunghe [1], di Paul Krugman

New York Times 7 febbraio 2013

 

John Boehner, lo speaker della Camera, sostiene di essere esasperato. “Prima o poi Washington deve misurarsi con i problemi della sua spesa pubblica”, ha detto mercoledì. “Da quando sono qua, sono 22 anni che li vedo tirarla alle lunghe. Ne ho abbastanza. E’ tempo di agire.”

Effettivamente, il signor Boehner ha bisogno di rinfrescarsi la memoria. Durante il primo decennio del suo periodo nel Congresso, il Governo americano stava facendo proprio bene sul fronte della finanza pubblica. In particolare la percentuale del debito federale sul PIL era un terzo più bassa quando Bill Clinton lasciò la Presidenza rispetto a quando assunse l’incarico. Fu solo quando George W. Bush  arrivò e scialacquò il surplus di Clinton in sgravi fiscali e in guerre prive di copertura che il bilancio ricominciò a deteriorarsi.

Ma quello è un tema secondario. La questione chiave è questa: se è vero che alla fine avremo bisogno di una qualche combinazione di aumenti di entrate e di tagli alle spese per tenere sotto controllo la crescita del debito del Governo degli Stati Uniti, ora non è affatto il momento di farlo. Dato lo stato in cui ci troviamo, sarebbe irresponsabile e distruttivo non tirarla alle lunghe.

Cominciamo da un punto fondamentale: tagliare la spesa pubblica distrugge posti di lavoro e induce una restrizione all’economia.

A questo punto questa non è proprio una affermazione discutibile. Gli effetti di contrazione della austerità della finanza pubblica sono stati dimostrati da uno studio dietro l’altro, e confermati in modo schiacciante dalla recente esperienza –  per esempio, dalla grave e perdurante crisi dell’Irlanda, che per un certo periodo era stata presentata come un esempio luminoso di politica responsabile, o dal modo in cui la svolta dell’austerità del Governo Cameron ha fatto deragliare la ripresa in Inghilterra.

 

Persino i Repubblicani ammettono, per quanto selettivamente, che i tagli alla spesa danneggino l’occupazione. E’ per  questo che agli inizi di questa settimana John McCain  ha ammonito che i tagli che sono previsti alla difesa nelle condizioni del cosiddetto “sequestro” [2] del bilancio provocheranno la perdita di un milione di posti di lavoro. E’ vero che i Repubblicani spesso sembrano credere in una sorta di “keynesismo degli armamenti”, una dottrina secondo la quale la spesa militare, e solo la spesa militare, crea posti di lavoro. Il che, ovviamente, è un controsenso. Sennonché, parlando di perdite dei posti di lavoro a seguito di tagli alla difesa, il Partito Repubblicano ha già ammesso l’aspetto di principio.

Ancora: i tagli alla spesa pubblica (o gli aumenti delle tasse) non ci costeranno posti di lavoro in qualsiasi momento vengano decisi, cosicché tanto varrebbe battere sul chiodo subito? La risposta è no – dato lo stato dell’economia questo periodo sarebbe soltanto negativo per l’austerità.

Lo si può capire con un confronto tra la situazione economica di oggi ed il contesto che prevaleva durante un precedente episodio di tagli alla difesa:  la grande riduzione della spesa militare sulla fine degli anni ’80 ed agli inizi degli anni ’90, che fece seguito alla fine della guerra fredda. Quei tagli alla spesa distrussero posti di lavoro, con conseguenze particolarmente dure in posti come la California meridionale, che facevano un pesante affidamento ai contratti della difesa. Al livello nazionale, tuttavia, gli effetti furono attenuati dalla politica monetaria: la Federal Reserve tagliò i tassi di interesse più o meno contestualmente ai tagli alla spesa, contribuendo a spingere il settore privato a spendere ed a minimizzare l’effetto negativo complessivo.

Oggi, al contrario, stiamo ancora vivendo le conseguenze della peggiore crisi finanziaria dal momento della Grande Depressione, e la Fed, nel suo sforzo di contrastare la caduta, ha già tagliato i tassi di interesse quanto poteva – in sostanza a zero. In tal modo, la Fed non può smussare gli effetti di distruzione di posti di lavoro dei tagli alla spesa, che lascerebbero il segno con tutta la loro forza.

Il punto, lo ripetiamo, è che ora non è proprio il momento di farlo: l’austerità della finanza pubblica dovrebbe aspettare che l’economia si sia ripresa, e cha la Fed possa ancora una volta attenuare l’impatto.

Ma non siamo di fronte ad una crisi della finanza pubblica? No, niente affatto. Il Governo Federale può indebitarsi nel modo più conveniente che in quasi qualsiasi altro momento della sua storia, e le previsioni sul medio termine, come le proiezioni decennali rilasciate giovedì dal Congressional Budget Office, sono chiaramente non allarmanti. E’ vero, c’è un problema di finanza pubblica nel lungo termine, ma non è urgente a tal punto da costringerci a risolverlo subito. La pretesa crisi della finanza pubblica esiste soltanto nella testa degli addetti ai lavori della Capitale.

Ancora: se anche dovessimo in questo momento dilazionare i tagli alla spesa, non sarebbe una buona cosa se i nostri uomini politici riuscissero contemporaneamente a mettersi d’accordo su un piano di lungo periodo per le finanze pubbliche? In effetti, lo sarebbe. Nello stesso modo in cui sarebbe una buona cosa trovarsi d’accordo per la pace sul pianeta e per l’universale fedeltà coniugale. Nel mondo reale, i Senatori repubblicani stanno dicendo che la situazione è disperata, ma non abbastanza da giustificare nemmeno un centesimo di tasse aggiuntive. Vi pare che questo indichi persone che sono pronte a raggiungere una grande accordo finanziario con buona volontà?

Realisticamente, non siamo destinati a risolvere le nostre tematiche fiscali di lungo periodo in breve tempo, e questo è un fatto – non è l’ideale, ma non succederà niente di terribile se non mettiamo a posto ogni cosa quest’anno. Nel frattempo, facciamo fronte alla minaccia imminente di un grave danno economico che verrebbe da tagli alla spesa pubblica immediati.

Dovremmo dunque evitare quel danno lasciando tempo al tempo. E’ la cosa responsabile da fare.



[1] L’intero articolo di basa sulla espressione idiomatica: “kick the can down the road”. Essa significa alla lettera  “dare un calcio alla lattina sulla strada”. Normalmente nel senso di “spingerla avanti”, ovvero di “far passare il tempo”, di “tirarla alle lunghe”, di “restare con le mani in mano”, di “non farne di niente”.

[2] “Budget sequester” (sequestro di bilancio”) è l’ultima creatura della trilogia iniziata con il “fiscal cliff” (“precipizio fiscale”)  e proseguita con il “debt ceiling” (“tetto del debito”). In realtà il più recente “debt ceiling” si risolse in un po’ di paura, mentre il “debt ceiling” che rimane all’origine dei guai attuali è quello del 2011. Quello psicodramma del “tetto del debito” (per un migliore comprensione vedi le Note finali della Traduzione che appaiono in calce ad ogni Newsletter), allora si risolse con uno slittamento, con il che finì col gravare sulla crisi del “fiscal cliff”, che in parte a sua volta si risolse con una slittamento alle prossime settimane.  Infatti la soluzione che fu trovata pochi mesi orsono al cosiddetto “precipizio fiscale”, per una parte relativa ai tagli alle spese,  fu di farle entrare in funzione – a meno di un nuovo accordo – con il marzo del 2013. La legge sul “precipizio” ridusse i tagli del 2013 per 24 miliardi di dollari, ma senza nuovi provvedimenti una parte dei tagli entreranno tra breve in vigore (complessivamente, prima dell’accordo, i tagli erano di 1.200 miliardi di dollari in nove anni). I tagli che sarebbero dovuti scattare erano pari al 9,4% delle spese militari ed all’8,2 % per altri programmi di spesa nazionali. Ci sarebbe stato anche una taglio del 2% a Medicare, ma non a carico degli utenti. In realtà, come si è detto, alcuni di questi tagli sono già stati ridotti dall’accordo sul “precipizio fiscale”; ad esempio, quelli sulle spese militari erano già passati da 54,7 miliardi a 42,7 miliardi di dollari.

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