March 8, 2013, 12:36 pm
Oh, my. David Greenlaw, James Hamilton, Peter Hooper, and Rick Mishkin have published an op-ed in the WSJ (where else?) based on their recent paper on debt, deficits, and interest rate spreads. They really shouldn’t have — the argument in that paper collapsed under scrutiny almost the moment it was released.
Matt O’Brien sums it up. Greenlaw et al start by saying that they’re going to restrict their analysis to advanced countries, because developing countries generally can’t borrow in their own currencies, and this lack of monetary independence makes them vulnerable to shocks in a way advanced countries historically haven’t been. But the authors then proceed to offer statistical results in which the majority of their sample consists of euro area countries, which by definition can’t borrow in their own currencies — because they no longer have their own currencies.
And even a quick pass at the numbers shows that all, yes all, of their claimed result comes from troubled euro area nations:
O’Brien does a more careful takedown, doing the same regressions they do but separating non-euro from euro countries, and confirms that their result is euro-exclusive. He also finds that the really strong relationship within the euro is between interest spreads and current account deficits, which is in line with the conclusion many of us have reached, that the euro area crisis is really a balance of payments crisis, not a debt crisis.
This leaves us with a puzzle: what were the authors thinking? Particularly when one bears in mind the fact that there is, let’s say, a bit of history (from 2010) here:
Morgan Stanley Issues a Mea Culpa on Treasuries Forecast That Was `Wrong’
Morgan Stanley had forecast that a strengthening U.S. economy would lead to private credit demand, higher stock prices and diminish the refuge appeal of Treasuries, pushing yields higher. David Greenlaw, chief fixed-income economist at Morgan Stanley, said in December that yields on benchmark 10-year notes would climb about 40 percent to 5.5 percent, the biggest annual increase since 1999. The New York-based firm reduced its forecast to 4.5 percent in May and to 3.5 percent last week.
Maybe a bit of caution, indeed a willingness to bend over backwards to avoid once again crying wolf about interest rates, would have been in order?
But there’s something about fiscal scare stories that makes economists who have done good work elsewhere careless, all too ready to jump on results that seem to reinforce fiscal fears without engaging in self-reflection and self-criticism. Maybe it’s the morality-play aspect; maybe it’s the realization, conscious or not, that you can’t go wrong with the Very Serious People by playing deficit scold.
Whatever the reason, it’s very disappointing to see economists feeding fiscal fears with work that is so obviously flawed.
Fatali attrazioni di finanza pubblica
Dio mio! David Greenlaw, James Hamilton, Peter Hooper e Rick Mishkin hanno pubblicato un commento sul Wall Street Journal (dove, sennò) basato su una loro recente saggio sul debito, sui deficits e sugli spreads dei tassi di interesse. Non avrebbero davvero dovuto farlo – l’argomento di quel saggio è andato in frantumi alla prova dei fatti quasi nel momento in cui è stato pubblicato.
Matt O’Brien lo sintetizza. Greenlaw e gli altri cominciano col dire che intendono restringere la loro analisi ai paesi avanzati, giacché di solito i paesi in via di sviluppo in generale non possono indebitarsi nella loro valuta, e la mancanza di questa indipendenza monetaria li rende vulnerabili agli shocks, diversamente dai paesi avanzati. Ma poi gli autori procedono col mostrare risultanze statistiche nelle quali la maggioranza dei loro esempi riguardano paesi dell’area euro, che per definizione non si indebitano nelle loro valute – giacché non hanno più le loro valute.
E persino una rapida scorsa ai numeri mostra che tutti, proprio tutti, i loro pretesi risultati provengono dalle nazioni in difficoltà dell’area euro:
O’Brien fa una annotazione più scrupolosa, facendo le stesse regressioni degli altri ma separando i paesi non euro da quelli euro, e conferma che il risultato è solo relativo ai secondi. Egli scopre anche che la relazione davvero forte all’interno dell’auro è tra gli spreads sugli interessi ed i deficit dei conti correnti, la qualcosa è in linea con le conclusioni alle quali erano giunti molti di noi, che la crisi dell’area euro è in realtà una crisi della bilancia dei pagamenti, non una crisi di debito.
Questo ci lascia con un interrogativo su quale fosse il pensiero degli autori. In particolare, quando uno tenga a mente il fatto che c’è, lasciatemi dire, un po’ di storia a proposito (dal 2010):
“Morgan Stanley fa un ‘mea culpa’ sulla previsione dei Buoni del Tesoro che era “sbagliata”:
“Morgan Stanley aveva previsto che un rafforzamento dell’economia americana avrebbe provocato una domanda di credito da parte dei privati, valori azionari più alti ed una diminuzione della attrattiva di rifugio dei Buoni del Tesoro, spingendo i rendimenti in alto. David Greenlaw, economista dirigente in pianta stabile alla Morgan Stanley, ha detto in dicembre che i rendimenti di riferimento dei titoli decennali sarebbero saliti di circa il 40 per cento sino a 5,5 punti percentuali, il più grande incremento annuale dal 1999. La società newyorkese ha ridotto la sua previsione a 4,5 punti percentuali in maggio ed a 3,5 punti percentuali la scorsa settimana”.
Forse un po’ di cautela, una semplice volontà di girarsi indietro per evitare un’altra volta di gridare al lupo sui tassi di interesse, sarebbe stata obbligata?
Ma c’è qualcosa a proposito dei racconti sulla finanza pubblica che mettono paura, che rendono sbadati alcuni economisti che pure hanno fatto discreti lavori in altre circostanze, anche troppo pronti a correre a conclusioni che rafforzano le paure in tema di finanza pubblica senza alcun impegno di riflessione e di autocritica. Forse è l’aspetto di una sorta di moralismo; forse è la comprensione, consapevoli o meno, che si finisce sempre col fare una bella figura con le Persone Molto Serie atteggiandosi a Cassandre del deficit.
Qualsiasi sia la ragione, è davvero deludente vedere economisti che alimentano timori finanziari con lavori così evidentemente viziati.
By mm
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