For three years and more, policy debate in Washington has been dominated by warnings about the dangers of budget deficits. A few lonely economists have tried from the beginning to point out that this fixation is all wrong, that deficit spending is actually appropriate in a depressed economy. But even though the deficit scolds have been wrong about everything so far — where are the soaring interest rates we were promised? — protests that we are having the wrong conversation have consistently fallen on deaf ears.
What’s really remarkable at this point, however, is the persistence of the deficit fixation in the face of rapidly changing facts. People still talk as if the deficit were exploding, as if the United States budget were on an unsustainable path; in fact, the deficit is falling more rapidly than it has for generations, it is already down to sustainable levels, and it is too small given the state of the economy.
Start with the raw numbers. America’s budget deficit soared after the 2008 financial crisis and the recession that went with it, as revenue plunged and spending on unemployment benefits and other safety-net programs rose. And this rise in the deficit was a good thing! Federal spending helped sustain the economy at a time when the private sector was in panicked retreat; arguably, the stabilizing role of a large government was the main reason the Great Recession didn’t turn into a full replay of the Great Depression.
But after peaking in 2009 at $1.4 trillion, the deficit began coming down. The Congressional Budget Office expects the deficit for fiscal 2013 (which began in October and is almost half over) to be $845 billion. That may still sound like a big number, but given the state of the economy it really isn’t.
Bear in mind that the budget doesn’t have to be balanced to put us on a fiscally sustainable path; all we need is a deficit small enough that debt grows more slowly than the economy. To take the classic example, America never did pay off the debt from World War II — in fact, our debt doubled in the 30 years that followed the war. But debt as a percentage of G.D.P. fell by three-quarters over the same period.
Right now, a sustainable deficit would be around $460 billion. The actual deficit is bigger than that. But according to new estimates by the budget office, half of our current deficit reflects the effects of a still-depressed economy. The “cyclically adjusted” deficit — what the deficit would be if we were near full employment — is only about $423 billion, which puts it in the sustainable range; next year the budget office expects that number to fall to just $172 billion. And that’s why budget office projections show the nation’s debt position more or less stable over the next decade.
So we do not, repeat do not, face any kind of deficit crisis either now or for years to come.
There are, of course, longer-term fiscal issues: rising health costs and an aging population will put the budget under growing pressure over the course of the 2020s. But I have yet to see any coherent explanation of why these longer-run concerns should determine budget policy right now. And as I said, given the needs of the economy, the deficit is currently too small.
Put it this way: Smart fiscal policy involves having the government spend when the private sector won’t, supporting the economy when it is weak and reducing debt only when it is strong. Yet the cyclically adjusted deficit as a share of G.D.P. is currently about what it was in 2006, at the height of the housing boom — and it is headed down.
Yes, we’ll want to reduce deficits once the economy recovers, and there are gratifying signs that a solid recovery is finally under way. But unemployment, especially long-term unemployment, is still unacceptably high. “The boom, not the slump, is the time for austerity,” John Maynard Keynes declared many years ago. He was right — all you have to do is look at Europe to see the disastrous effects of austerity on weak economies. And this is still nothing like a boom.
Now, I’m aware that the facts about our dwindling deficit are unwelcome in many quarters. Fiscal fearmongering is a major industry inside the Beltway, especially among those looking for excuses to do what they really want, namely dismantle Medicare, Medicaid and Social Security. People whose careers are heavily invested in the deficit-scold industry don’t want to let evidence undermine their scare tactics; as the deficit dwindles, we’re sure to encounter a blizzard of bogus numbers purporting to show that we’re still in some kind of fiscal crisis.
But we aren’t. The deficit is indeed dwindling, and the case for making the deficit a central policy concern, which was never very strong given low borrowing costs and high unemployment, has now completely vanished.
Il disordine del deficit che scompare, di Paul Krugman
10 marzo 2013
Da tre anni e più, il dibattito politico a Washington è dominato dagli ammonimenti sui pericoli dei deficit di bilancio. Pochi isolati economisti hanno sin dall’inizio cercato di mettere in evidenza come questa fissazione fosse del tutto sbagliata, in una economia depressa la spesa pubblica in deficit è, in realtà, opportuna. Ma, pur avendo gli allarmisti del deficit avuto torto su tutto – dove sono i tassi di interesse alle stelle che avevano pronosticato? – all’obiezione per un dibattito privo di senso si è regolarmente fatto orecchi da mercante.
A questo punto, tuttavia, quello che è davvero rilevante è la persistenza della fissazione sul deficit a fronte di fatti in rapido mutamento. La gente discute ancora come si il deficit stesse per esplodere, come se il bilancio degli Stati Uniti fosse su un sentiero insostenibile; di fatto, il deficit sta calando più velocemente di quanto non avveniva da generazioni, è già sceso a livelli sostenibili e, nelle condizioni date dell’economia, è troppo piccolo.
Cominciamo da dati elementari. Il deficit di bilancio dell’America salì alle stelle dopo la crisi finanziaria del 2008 e la recessione che la accompagnò, quando le entrate crollarono e la spesa per i sussidi di disoccupazione e gli altri programmi della assistenza crebbero. E questa crescita del deficit fu un bene! La spesa pubblica federale aiutò a sostenere l’economia in un momento nel quale il settore privato si ritirava in preda al panico; probabilmente, il ruolo stabilizzante di una ampia spesa pubblica fu la principale ragione per la quale la Grande Recessione non si trasformò in una riedizione integrale della Grande Depressione [1].
Ma dopo il suo picco ai 1.400 miliardi di dollari del 2009, il deficit ha cominciato a scendere. Il Congressional Budget Office [2] prevede che il deficit per l’anno finanziario 2013 (che comincia in ottobre ed è quasi alla metà) sia di 845 miliardi di dollari. Questo potrebbe ancora apparire un dato rilevante, ma date le condizioni dell’economia in realtà non lo è.
Si tenga a mente che il bilancio non deve andare in pareggio per metterci sui binari della sostenibilità finanziaria; tutto quello che serve è un deficit piccolo a sufficienza perché la crescita del debito cresca più lentamente di quella dell’economia. Per prendere l’esempio classico, l’America non ha mai ripagato il debito della II Guerra Mondiale – di fatto, negli anni che seguirono la guerra, il nostro debito raddoppiò. Ma nello stesso periodo il debito come percentuale del PIL diminuì di tre quarti.
In questo momento, un deficit sostenibile sarebbe attorno ai 460 miliardi di dollari. Il deficit attuale è più alto. Ma secondo le nuove stime dell’ufficio del bilancio, metà del nostro deficit attuale riflette gli effetti di un’economia ancora depressa. Il deficit “corretto sulla base del ciclo” – quello che sarebbe il deficit se fossimo vicini alla piena occupazione – è solo attorno ai 423 miliardi di dollari, con il che si colloca in un raggio di sostenibilità; il prossimo anno l’ufficio del bilancio si aspetta che quel dato diminuisca a soli 172 miliardi. E quella è la ragione per la quale le previsioni dell’ufficio del bilancio mostrano la posizione del debito nazionale più o meno stabile nel prossimo decennio.
Dunque non dobbiamo, ripeto non dobbiamo, far fronte a nessun genere di crisi de deficit, ora o negli anni avvenire.
Ci sono, naturalmente, problemi di lungo periodo della finanza pubblica: la crescita dei costi della sanità e l’invecchiamento della popolazione provocheranno una pressione crescente sul bilancio, nel corso degli anni Venti di questo millennio. Ma devo ancora leggere una spiegazione esauriente della ragione per la quale queste preoccupazioni di lungo periodo dovrebbero determinare la politica di bilancio di oggi. E come ho detto, dati i bisogni dell’economia, il deficit è attualmente troppo piccolo.
Mettiamola così: una politica intelligente comporta che lo Stato spenda quando il settore privato non lo fa, sostenendo l’economia quando è debole e riducendo il debito soltanto quando è forte. Tuttavia il deficit come percentuale del PIL, corretto sulla base del ciclo, è attualmente grosso modo quello che era nel 2006, al picco del boom immobiliare – e sta calando.
E’ vero, dovremmo ridurre i deficit una volta che l’economia si riprenderà, e ci sono segnali confortevoli che una solida ripresa sia finalmente in atto. Ma la disoccupazione, specialmente quella di lungo periodo, è ancora inaccettabilmente alta. “Le grandi espansioni, non le crisi, sono il momento dell’austerità”, dichiarò molti anni orsono John Maynard Keynes. Aveva ragione – basta guardare l’Europa per vedere gli effetti disastrosi dell’austerità su economie deboli. E la nostra situazione non ha niente di simile ad una grande espansione.
Ora, sono consapevole che i fatti che concernono la riduzione del nostro deficit sono mal tollerati in molti ambienti. Seminare paure sulla situazione finanziaria è la principale attività della Capitale, specialmente tra coloro che cercano scuse per fare l’unica cosa che hanno a cuore, ovvero smantellare Medicare, Medicaid e la Previdenza Sociale. Gli individui le cui carriere sono pesantemente implicate nell’industria dell’allarmismo sul deficit non intendono consentire che i fatti mettano a repentaglio le loro tecniche terroristiche; come il deficit comincia scomparire, si può star certi che è in arrivo un tempesta di statistiche contraffatte, che mostrano come in qualche modo siamo ancora dentro una crisi fiscale.
Ma non è così. Il deficit in effetti si sta riducendo, e l’occasione per fare del deficit la preoccupazione politica centrale, che non è mai stata persuasiva dati i bassi costi dell’indebitamento e l’elevata disoccupazione, ora è del tutto svanita.
[1] Come è noto – a prescindere dalle diverse forme di delimitazione che gli economisti utilizzano per distinguere la situazione di “recessione” da quella di “depressione” – è la seconda che è la più grave. Negli Stati Uniti si parla di “recessione” quando il PIL reale diminuisce per almeno due trimestri consecutivi. In Europa si parla di recessione quando il PIL è inferiore di più dell’1 % rispetto all’anno precedente (sotto l’1 % si parla semplicemente di “crisi economica”. Wikipedia). Quando la recessione si avvita su se stessa – forte crescita della disoccupazione e significativa riduzione della produzione, diminuzione dei tassi di interesse a seguito della forte riduzione della domanda di credito etc.) – si parla di “depressione”. La crisi degli anni ’30 fu definita la “Grande Depressione”. Krugman, dunque, chiama quella di questi anni “Grande Recessione”, per distinguerla da quella “Grande Depressione” del passato. Ma talora usa anche, per quella odierna, il termine “Lesser Depression” (“Depressione Minore”).
Probabilmente, la situazione italiana attuale è più propriamente definibile come una “depressione”, così come quella degli altri paesi dell’Europa del Sud, ed anche come quella inglese. Quanto al fatto che sia una “depressione minore”, la cosa comincia ad essere dubbia, se almeno si considera la durata del fenomeno recessivo-depressivo. Recentemente Stiglitz ha fatto notare come, nel caso dell’Italia, tale durata si avvii ad essere maggiore di quella degli anni Trenta. Krugman ha più volte notato lo stesso per la Gran Bretagna. E’ probabile che una delle ragioni che provocano tale persistenza sia quella di politiche di contenimento della spesa superiori, almeno in termini relativi al PIL. Occorre anche considerare che nella seconda metà degli anni Trenta si concentrò l’inizio di una forte crescita delle spese militari. Alla fine, la II Guerra Mondiale fu il rimedio “keynesiano” definitivo, un po’ per tutte le nazioni.
[2] Il Congressional Budget Office (CBO) è l’ “ufficio” del Congresso americano che studia la situazione di bilancio del Paese e gli effetti delle varie proposte sul bilancio stesso. Si tratta di una agenzia indipendente, anche se finanziata dallo Stato, e normalmente opera con grande competenza ed è diretta da economisti o esperti di statistica autorevoli. Normalmente le sue analisi hanno un peso rilevante nel dibattito politico.
By mm
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