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Ingannare i nostri figli (New York Times 28 marzo 2013)

 

Cheating Our Children

By PAUL KRUGMAN

Published: March 28, 2013

So, about that fiscal crisis — the one that would, any day now, turn us into Greece. Greece, I tell you: Never mind.

 

Over the past few weeks, there has been a remarkable change of position among the deficit scolds who have dominated economic policy debate for more than three years. It’s as if someone sent out a memo saying that the Chicken Little act, with its repeated warnings of a U.S. debt crisis that keeps not happening, has outlived its usefulness. Suddenly, the argument has changed: It’s not about the crisis next month; it’s about the long run, about not cheating our children. The deficit, we’re told, is really a moral issue.

 

There’s just one problem: The new argument is as bad as the old one. Yes, we are cheating our children, but the deficit has nothing to do with it.

Before I get there, a few words about the sudden switch in arguments.

There has, of course, been no explicit announcement of a change in position. But the signs are everywhere. Pundits who spent years trying to foster a sense of panic over the deficit have begun writing pieces lamenting the likelihood that there won’t be a crisis, after all. Maybe it wasn’t that significant when President Obama declared that we don’t face any “immediate” debt crisis, but it did represent a change in tone from his previous deficit-hawk rhetoric. And it was startling, indeed, when John Boehner, the speaker of the House, said exactly the same thing a few days later.

 

What happened? Basically, the numbers refuse to cooperate: Interest rates remain stubbornly low, deficits are declining and even 10-year budget projections basically show a stable fiscal outlook rather than exploding debt.

 

So talk of a fiscal crisis has subsided. Yet the deficit scolds haven’t given up on their determination to bully the nation into slashing Social Security and Medicare. So they have a new line: We must bring down the deficit right away because it’s “generational warfare,” imposing a crippling burden on the next generation.

 

What’s wrong with this argument? For one thing, it involves a fundamental misunderstanding of what debt does to the economy.

 

Contrary to almost everything you read in the papers or see on TV, debt doesn’t directly make our nation poorer; it’s essentially money we owe to ourselves. Deficits would indirectly be making us poorer if they were either leading to big trade deficits, increasing our overseas borrowing, or crowding out investment, reducing future productive capacity. But they aren’t: Trade deficits are down, not up, while business investment has actually recovered fairly strongly from the slump. And the main reason businesses aren’t investing more is inadequate demand. They’re sitting on lots of cash, despite soaring profits, because there’s no reason to expand capacity when you aren’t selling enough to use the capacity you have. In fact, you can think of deficits mainly as a way to put some of that idle cash to use.

 

 

 Yet there is, as I said, a lot of truth to the charge that we’re cheating our children. How? By neglecting public investment and failing to provide jobs.

 

You don’t have to be a civil engineer to realize that America needs more and better infrastructure, but the latest “report card” from the American Society of Civil Engineers — with its tally of deficient dams, bridges, and more, and its overall grade of D+ — still makes startling and depressing reading. And right now — with vast numbers of unemployed construction workers and vast amounts of cash sitting idle — would be a great time to rebuild our infrastructure. Yet public investment has actually plunged since the slump began.

 

Or what about investing in our young? We’re cutting back there, too, having laid off hundreds of thousands of schoolteachers and slashed the aid that used to make college affordable for children of less-affluent families.

Last but not least, think of the waste of human potential caused by high unemployment among younger Americans — for example, among recent college graduates who can’t start their careers and will probably never make up the lost ground.

And why are we shortchanging the future so dramatically and inexcusably? Blame the deficit scolds, who weep crocodile tears over the supposed burden of debt on the next generation, but whose constant inveighing against the risks of government borrowing, by undercutting political support for public investment and job creation, has done far more to cheat our children than deficits ever did.

Fiscal policy is, indeed, a moral issue, and we should be ashamed of what we’re doing to the next generation’s economic prospects. But our sin involves investing too little, not borrowing too much — and the deficit scolds, for all their claims to have our children’s interests at heart, are actually the bad guys in this story.

 

Ingannare i nostri figli, di Paul Krugman

New York Times 28 marzo 2013

 

Dunque, a proposito di quella crisi della finanza pubblica, proprio di quella che, un giorno o l’altro potrebbe trasformarci come la Grecia, niente di meno che come la Grecia:  ebbene, non è quello il punto.

Nelle settimane passate c’è stato un considerevole mutamento di atteggiamento tra gli allarmisti del deficit che hanno dominato il dibattito di politica economica per più di tre anni. E’ come se qualcuno ci avesse spedito un messaggio spiegandoci come la scena di “Chicken Little[1], con i ripetuti ammonimenti su una crisi da debito degli Stati Uniti che continua a non materializzarsi, abbia mantenuto un suo senso. Improvvisamente, l’argomento è cambiato: non riguarda la crisi del mese prossimo; riguarda il lungo periodo, riguarda il non ingannare i nostri figli. Il deficit, ci si racconta, è per davvero un tema morale.

C’è solo un problema: il nuovo argomento è cattivo come quello vecchio. E’ vero, stiamo ingannando i nostri figli, ma il deficit non c’entra nulla.

Prima di arrivarci, poche parole sull’improvviso mutamento dell’argomento.

Non c’è stato, ovviamente, alcun esplicito annuncio di una cambiamento di posizione. Ma i segni sono dappertutto. Gli opinionisti che hanno speso anni nel cercare di alimentare un senso di panico sul deficit, hanno cominciato a scrivere articoli rammaricandosi che, alla fin fine, non ci sarà alcuna crisi. Forse non fu così rilevante quando il Presidente Obama dichiarò che non avevamo da fronteggiare alcuna crisi da debito “immediata”, eppure rappresentò un cambiamento di toni rispetto al suo precedente linguaggio da patito del deficit. E in effetti, è stato impressionante sentire John Boehner, lo speaker della Camera, dire esattamente la stessa cosa pochi giorni orsono.

Cosa è accaduto? Fondamentalmente, i dati si rifiutano di fare la loro parte: i tassi di interesse restano testardamente bassi, i deficit stanno calando e le previsioni decennali sul bilancio fondamentalmente mostrano una prospettiva della finanza pubblica stabile, invece che un debito prossimo a scoppiare.

Parliamo dunque di una crisi fiscale che è sprofondata.  Purtuttavia, gli allarmisti del deficit non hanno dismesso la loro determinazione a intimidire la nazione perché si taglino la Previdenza Sociale e Medicare. Hanno dunque una nuova linea: dobbiamo abbassare immediatamente il deficit perché esso rappresenta una “guerra di generazioni”, che impone un peso devastante sui nostri figli.

Cosa c’è di sbagliato in questo argomento? Da una parte, lo sbaglio riguarda una incomprensione di fondo su quello che il debito provoca alla nostra economia.

Contrariamente a quasi tutto quello che leggete sui giornali o ascoltate alla televisione, il debito non rende la nostra nazione direttamente più povera; esso è essenzialmente denaro che prestiamo a noi stessi. I deficit ci renderebbero indirettamente più poveri se contemporaneamente ci stessero portando a grandi deficit commerciali, se stessero incrementando il nostro debito all’estero, togliendo spazio agli investimenti, riducendo la capacità produttiva futura. Ma non è così: il deficit commerciale sta scendendo, non salendo, mentre gli investimenti delle imprese si sono in effetti ripresi dalla caduta con discreta energia. E la principale ragione per la quale le imprese non investono maggiormente è una domanda inadeguata. Sono sedute su una montagna di capitali, nonostante che i profitti stiano salendo alle stelle, perché non c’è alcuna ragione di espandere la loro capacità produttiva se non si vende abbastanza da utilizzare la capacità produttiva di cui già si dispone. Di fatto, si può pensare ai deficit principalmente come a un modo per  mettere in opera quei capitali inerti.

Tuttavia, come ho detto, c’è molta verità nell’accusa secondo la quale stiamo ingannando i nostri figli. In che modo? Trascurando gli investimenti pubblici e non offrendo posti di lavoro.

Non c’è bisogno di essere ingegneri civili per comprendere che l’America abbia bisogno di maggiori e migliori infrastrutture, ma l’ultima “pagella” della Società Americana degli Ingegneri Civili – con il suo elenco di insufficienti dighe, ponti ed altro ancora, e con il suo complessivo punteggio di appena sufficienza – è pur sempre una lettura impressionante e deprimente. È proprio adesso – con un gran numero di lavoratori del settore delle costruzioni disoccupati e grandi quantità di denaro inutilizzate – sarebbe il momento buono per ricostruire le nostre infrastrutture. Tuttavia, l’investimento pubblico in realtà è sprofondato, dal momento in cui la crisi ha avuto inizio.

Oppure, cosa dire dell’investimento sui nostri giovani? Anche qua stiamo facendo tagli, avendo licenziato centinaia di migliaia di insegnanti e tagliato gli aiuti che normalmente rendevano le università accessibili alle famiglie meno facoltose.

Da ultimo ma non meno importante, si pensi allo spreco di potenziale umano provocato dalla elevata disoccupazione tra gli americani più giovani – ad esempio, tra coloro che si sono laureati di recente e che non possono far partire le loro carriere e che probabilmente non recupereranno mai il terreno perduto.

E perché stiamo imbrogliando in futuro in un modo così plateale e ingiustificabile? La colpa è degli allarmisti dei deficit, che piangono lacrime di coccodrillo sul presunto peso del debito sulle generazioni future, ma il cui continuo scagliarsi contro i rischi dell’indebitamento statale, erodendo il sostegno all’investimento pubblico ed alla creazione di posti di lavoro, ha fatto di più nell’ingannare i nostri figli di quello che non abbiano mai fatto i deficit.

La politica finanziaria pubblica è per davvero un tema morale, e dovremmo vergognarci di quello che stiamo facendo alle prospettive economiche delle generazioni future. Ma il nostro peccato è l’investire troppo poco,  non l’indebitarci troppo  – e proprio gli allarmisti del deficit, con tutte le loro pretese di avere a cuore gli interessi dei nostri figli, in questo racconto sono i cattivi per antonomasia.


 


[1] “Chicken Little” è il nome del protagonista di una favola, famosa negli Stati Uniti, di un pulcino sul cui capo cadde una ghianda; il pulcino si precipita dai suoi amici gridando che il cielo intero sta cadendo. Questa è la copertina del libro per le scuole:

ed mar 3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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