March 5, 2013, 8:59 am
Whenever you see a piece suggesting that the US economy has entered a “new normal” of slow growth, you’re likely to see someone making the argument that if the economy actually had lots of excess capacity, we should be seeing deflation. And the question of why we don’t have deflation is a good one. It is, however, a question that people like me have answered repeatedly; unfortunately, it seems that this analysis hasn’t been making it to, say, a number of current and former Fed officials.
So here’s a restatement of what we think we know. Long-time readers will find this familiar, but as a number of commenters have wisely pointed out, there are a lot of people reading this blog now who weren’t reading it a year or two ago. (We’re adding Twitter followers at around 20,000 a month, which is some indication of the number of newbies).
OK, first things first: back when the crisis started, I did expect to see deflation, Japanese style, if it went on for an extended period. I was wrong — and I did what you’re supposed to do (but far too people actually do) when they’re wrong, which is to look for an explanation of your error that is consistent with the available evidence.
One immediate thing to look at was to see whether what was happening to inflation in the United States was consistent with historical experience of deep slumps that we know involved the economy operating well below capacity for an extended period. And it turned out that the Japanese deflation (which has never been very fast in any case) is pretty much unique. The IMF looked at Protracted Large Output Gaps — PLOGs — and found that in general inflation gets squeezed toward, but not below, zero:
And our own history actually points in the same direction: the 1930s were marked by sharp deflation in the early years, but considerable inflation as the economy partially recovered, even though unemployment remained very high.
So inflation seems “sticky”. But why? One immediate thought was that we might be looking at the effects of downward nominal wage rigidity: employers are very reluctant to engage in actual wage cuts. Way back in 1996 Akerlof, Dickens and Perry suggested that this would make inflation stubborn at low rates, breaking the usual link between high unemployment and disinflation.
Still, how can you tell if sticky inflation reflects sticky wages, as opposed to being the result of an economy that really doesn’t have very much slack? The answer is that sticky wages should leave a “signature” in the wage data: a large number of workers whose wages neither rise nor fall, and a rising number of such workers as the economy slumps. Sure enough, researchers at the San Franciso Fed found exactly that:
Actually, once you start looking for it, downward nominal rigidity is everywhere. For example, Catherine Rampell had a great piece pointing out that starting salaries at elite law firms have been frozen at precisely $160,000 for years:
The bottom line is that we have a lot of evidence suggesting that the failure of deflation to materialize reflects wage rigidity, not absence of economic slack. And it is therefore frustrating to see supposedly well-informed people talk about this issue as if none of that work had been done.
Perchè non abbiamo la deflazione?
Dovunque leggete un articolo che suggerisce che l’economia statunitense è entrata nella “nuova normalità” della crescita lenta, è probabile che troviate qualcuno che avanza l’argomento secondo il quale se in effetti l’economia avesse grandi potenzialità in eccesso, dovremmo essere in presenza di una deflazione. E la domanda del perché non abbiamo la deflazione è un’ottima domanda. Si tratta, tuttavia, di una domanda alla quale persone come il sottoscritto hanno risposto in molte occasioni; sfortunatamente, sembra che questa analisi non sia condivisa, diciamo, da un certo numero di dirigenti passati e presenti della Fed.
Ecco dunque una riformulazione di quello che pensiamo di conoscere. Lettori affezionati troveranno tutto questo familiare, ma c’è un gran numero di persone che oggi leggono questo blog, e non lo leggevano uno o due anni orsono (si stanno aggiungendo seguaci di Twitter ad un numero di circa 20.000 al mese, il che dà una qualche indicazione del numero dei nuovi arrivati).
Bene, partiamo dall’inizio: quando partì la crisi, io mi aspettavo di vedere le deflazione, sul modello giapponese, se essa avesse proseguito per un periodo prolungato. Mi sbagliavo – e feci quello che si suppone una persona faccia quando sbaglia (ma che la gente non fa), ovvero cercare una spiegazione al proprio errore che sia coerente con le prove disponibili.
Una cosa immediata da verificare era se quello che stava accadendo alla inflazione negli Stati Uniti era coerente con l’esperienza storica delle crisi profonde che sappiamo hanno riguardato economie che operano molto al di sotto delle proprie potenzialità per un periodo prolungato. E venne fuori che la deflazione giapponese (che in ogni caso non è mai stata molto veloce) era un caso pressoché unico. Il FMI analizzò i PLOGs – Grandi e Prolungati Deficit di Produzione – e scoprì che in generale l’inflazione si restringe verso lo zero [1], ma non al di sotto:
E la nostra stessa storia ci dà in effetti indicazioni nello stesso senso: gli anni ’30 furono segnati da una brusca deflazione nel periodo iniziale, ma da una considerevole inflazione allorquando l’economia parzialmente si riprese, anche se la disoccupazione restava molto elevata.
Dunque, l’inflazione sembra “vischiosa”. Ma perché? Un pensiero immediato fu che potevamo guardare agli effetti della rigidità nella riduzione dei salari nominali : gli impresari sono molto riluttanti ad impegnarsi in effettivi tagli salariali. Nel passato 1996 Akerlof, Dickens e Perry suggerirono che questo avrebbe reso l’inflazione refrattaria ai bassi tassi, rompendo la consueta connessione tra elevata disoccupazione e disinflazione.
Eppure, come si può sostenere che la inflazione ‘vischiosa’ riflette salari ‘vischiosi’ , invece di essere il risultato di un’economia che effettivamente non ha molti margini? La risposta è che i salari ‘vischiosi’ dovrebbero lasciare un ‘segno’ nelle statistiche sul salari: un ampio numero di lavoratori i cui salari non crescono e neppure diminuiscono, ed un numero crescente di lavoratori in quella condizione quando una economia va in crisi. Come si poteva immaginare, i ricercatori della Fed di San Francisco scoprirono esattamente quello:
Effettivamente, una volta che si comincia a cercarla, la rigidità nella riduzione dei salari nominali è dappertutto. Ad esempio, Catherine Rampell ha scritto un notevole articolo mostrando che i salari di partenza degli uffici legali di alto livello sono rimasti congelati da anni precisamente a 160.000 dollari:
La morale della favola è che abbiamo una quantità di prove che suggeriscono che la non comparsa della deflazione riflette la rigidità dei salari, non la assenza di margini per l’economia. Ed è di conseguenza frustrante dover vedere persone che si presumono ben informate che parlano di questo tema, come se nessuna di quelle analisi fosse stata fatta.
By mm
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