Insurance and Freedom
By PAUL KRUGMAN
Published: April 7, 2013
President Obama will soon release a new budget, and the commentary is already flowing fast and furious. Progressives are angry (with good reason) over proposed cuts to Social Security; conservatives are denouncing the call for more revenues. But it’s all Kabuki. Since House Republicans will block anything Mr. Obama proposes, his budget is best seen not as policy but as positioning, an attempt to gain praise from “centrist” pundits.
No, the real policy action at this point is in the states, where the question is, How many Americans will be denied essential health care in the name of freedom?
I’m referring, of course, to the question of how many Republican governors will reject the Medicaid expansion that is a key part of Obamacare. What does that have to do with freedom? In reality, nothing. But when it comes to politics, it’s a different story.
It goes without saying that Republicans oppose any expansion of programs that help the less fortunate — along with tax cuts for the wealthy, such opposition is pretty much what defines modern conservatism. But they seem to be having more trouble than in the past defending their opposition without simply coming across as big meanies.
Specifically, the time-honored practice of attacking beneficiaries of government programs as undeserving malingerers doesn’t play the way it used to. When Ronald Reagan spoke about welfare queens driving Cadillacs, it resonated with many voters. When Mitt Romney was caught on tape sneering at the 47 percent, not so much.
There is, however, an alternative. From the enthusiastic reception American conservatives gave Friedrich Hayek’s “Road to Serfdom,” to Reagan, to the governors now standing in the way of Medicaid expansion, the U.S. right has sought to portray its position not as a matter of comforting the comfortable while afflicting the afflicted, but as a courageous defense of freedom.
Conservatives love, for example, to quote from a stirring speech Reagan gave in 1961, in which he warned of a grim future unless patriots took a stand. (Liz Cheney used it in a Wall Street Journal op-ed article just a few days ago.) “If you and I don’t do this,” Reagan declared, “then you and I may well spend our sunset years telling our children and our children’s children what it once was like in America when men were free.” What you might not guess from the lofty language is that “this” — the heroic act Reagan was calling on his listeners to perform — was a concerted effort to block the enactment of Medicare.
These days, conservatives make very similar arguments against Obamacare. For example, Senator Ron Johnson of Wisconsin has called it the “greatest assault on freedom in our lifetime.” And this kind of rhetoric matters, because when it comes to the main obstacle now remaining to more or less universal health coverage — the reluctance of Republican governors to allow the Medicaid expansion that is a key part of reform — it’s pretty much all the right has.
As I’ve already suggested, the old trick of blaming the needy for their need doesn’t seem to play the way it used to, and especially not on health care: perhaps because the experience of losing insurance is so common, Medicaid enjoys remarkably strong public support. And now that health reform is the law of the land, the economic and fiscal case for individual states to accept Medicaid expansion is overwhelming. That’s why business interests strongly support expansion just about everywhere — even in Texas. But such practical concerns can be set aside if you can successfully argue that insurance is slavery.
Of course, it isn’t. In fact, it’s hard to think of a proposition that has been more thoroughly refuted by history than the notion that social insurance undermines a free society. Almost 70 years have passed since Friedrich Hayek predicted (or at any rate was understood by his admirers to predict) that Britain’s welfare state would put the nation on the slippery slope to Stalinism; 46 years have passed since Medicare went into effect; as far as most of us can tell, freedom hasn’t died on either side of the Atlantic.
In fact, the real, lived experience of Obamacare is likely to be one of significantly increased individual freedom. For all our talk of being the land of liberty, those holding one of the dwindling number of jobs that carry decent health benefits often feel anything but free, knowing that if they leave or lose their job, for whatever reason, they may not be able to regain the coverage they need. Over time, as people come to realize that affordable coverage is now guaranteed, it will have a powerful liberating effect.
But what we still don’t know is how many Americans will be denied that kind of liberation — a denial all the crueler because it will be imposed in the name of freedom.
Assicurazione e libertà, di Paul Krugman
New York Times 7 aprile 2013
Il Presidente Obama metterà presto in circolazione un nuovo bilancio, e già abbondano commenti sbrigativi e frettolosi. I progressisti sono arrabbiati (a buona ragione) sulle proposte di tagli alla Previdenza Sociale; i conservatori denunciano l’appello a maggiori entrate. Ma è tutta una sceneggiata [1]. Dal momento che i Repubblicani della Camera bloccheranno tutto quello che Obama propone, il suo bilancio si comprende nel migliore dei modi come un modo di atteggiarsi, un tentativo di riscuotere elogi tra i commentatori “centristi”, piuttosto che come una politica.
No, a questo punto la reale iniziativa politica è negli Stati, dove la domanda è: “A quanti americani verrà negata la assistenza sanitaria essenziale in nome della libertà?”
Mi sto riferendo, naturalmente, alla domanda di quanti Governatori repubblicani rigetteranno l’ampliamento di Medicaid, che è un aspetto fondamentale della riforma sanitaria di Obama. Cosa ha a che fare questo con la libertà? In realtà, niente. Ma se si parla dei significati politici, la storia e tutta diversa.
Non è il caso di dire che i Repubblicani si oppongono ad ogni ampliamento dei programmi che aiutano la gente meno fortunata – assieme ai tagli alle tasse sui benestanti, questa opposizione è praticamente quello che definisce il conservatorismo moderno. Ma sembra che essi abbiano maggiori problemi che nel passato a sostenere la loro posizione senza essere percepiti come autentici meschini.
In specifico, la pratica tradizionalmente ben radicata dell’attaccare i beneficiari dei programmi governativi come fannulloni senza alcun merito non funziona più come una volta. Quando Ronald Reagan parlava delle “regine del welfare” che andavano in Cadillac, era in sintonia con molti elettori. Quando Mitt Romney è stato sorpreso da un registratore nel mentre sogghignava sul 47 per cento [2], è andata diversamente.
Esiste, tuttavia, un’altra possibilità. Dalla accoglienza entusiastica dei conservatori americani al libro “La via per la servitù” di Friedrich Hayek sino a Reagan, e poi sino sino ai Governatori che oggi si oppongono all’ampliamento delle funzioni di Medicaid, la destra americana ha cercato di rappresentare la propria posizione non come se fosse una tutela dei benestanti ed una punizione per coloro che stanno male, ma come una coraggiosa difesa della libertà.
I conservatori amano, ad esempio, citare un entusiasmante discorso che Reagan tenne nel 1961, nel quale egli metteva in guardia su un triste futuro se i patrioti non avessero alzato la testa (Liz Cheney lo ha utilizzato in un commento sul Wall Street Journal solo pochi giorni fa). “Se io e voi non facciamo questo”, dichiarò Reagan, “poi ci ritroveremo a passare i nostri anni del tramonto raccontando ai nostri figli ed ai figli dei nostri figli che c’era un tempo nel quale gli americani erano uomini liberi”. Quello che potreste non immaginare da tale linguaggio retorico è che quel “questo”, quell’atto eroico che Reagan raccomandava ai suoi sostenitori di mettere in pratica, era una sforzo congiunto per bloccare il varo di Medicare.
Ai nostri giorni, i conservatori avanzano argomenti del tutto simili contro la riforma della assistenza sanitaria di Obama. Ad esempio, il Senatore Ron Johnson del Wisconsin lo ha definito “il più grande assalto alla libertà nel corso delle nostre esistenze”. E questo genere di retorica è importante, perché quando si viene al principale ostacolo che oggi resta in piedi per una assistenza sanitaria più o meno universalistica, la riluttanza dei Governatori repubblicani a consentire quell’ampliamento di Medicaid che è il punto chiave della riforma, è praticamente tutto quello che la destra ha in mano.
Come ho già indicato, il vecchio trucco del dare la colpa ai bisognosi per i loro bisogni non sembra funzionare come un tempo, e in particolare non nel caso della assistenza sanitaria: forse perché l’esperienza del perdere l’assicurazione è talmente diffusa, Medicaid gode di un sostegno pubblico considerevolmente robusto. Ed ora che la riforma sanitaria è legge dello Stato, la tesi economica e fiscale della accettazione da parte dei singoli Stati della espansione delle funzioni di Medicaid è generale. Questo è il motivo per il quale gli interessi affaristici stanno fortemente sostenendo quell’ampliamento quasi dappertutto – persino nel Texas. Ma tali preoccupazioni pratiche possono essere messe da parte se si riesce con qualche fortuna a sostenere che l’assicurazione equivale alla schiavitù.
Naturalmente, non è così. In effetti, è arduo pensare ad una affermazione che sia stata in modo più definitivo confutata dalla storia, quanto il concetto secondo il quale l’assicurazione sociale metterebbe a repentaglio una società libera. Sono passati quasi 70 anni dal momento in cui Friedrich Hayek aveva previsto (o, in ogni caso, questo è quanto compresero i suoi ammiratori) che lo stato assistenziale britannico avrebbe messo la nazione sulla brutta china dello Stalinismo; sono passati 46 anni dal momento in cui Medicare venne messa in atto; per quello che la gran parte di noi possono constatare, la libertà non è morta su nessuna delle due sponde dell’Atlantico.
Di fatto, l’esperienza reale vissuta della riforma sanitaria di Obama è probabile sia piuttosto quella di una liberta individuale accresciuta in modo significativo. Con tutto il nostro discorrere sull’essere la patria della libertà, coloro che si tengono stretti quel certo numero di sempre meno numerosi posti di lavoro che comportano decenti sussidi sanitari, si sentono tutto meno che liberi, nel sapere che se, per una qualsiasi ragione, lasciano o perdono il loro lavoro, possono non essere nelle condizioni di recuperare la assistenza sanitaria di cui hanno bisogno. Con il passar del tempo, come la gente arriva a capire che una assistenza sostenibile è oggi garantita, la cosa produce un potente effetto liberatorio.
Ma quello che ancora non sappiamo è a quanti americani questo genere di liberazione verrà negato. Un diniego ancora più crudele, visto che verrà imposto nel nome della libertà.
[1] Traduciamo con una espressione più generica. In realtà, con il termine kabuki (歌舞伎) si indica una forma di teatro sorta in Giappone all’inizio del Seicento. Il Kabuki fu l’espressione teatrale favorita dei cosiddetti chōnin (lett. abitante della città), cioè della emergente classe borghese cittadina che comprendeva commercianti, professionisti, artigiani. Quindi di fatto si tratta di una forma popolare, inteso come rivolta ad uno strato ampio della popolazione. La novità di queste opere consisteva nella rappresentazione di fatti, solitamente drammatici, realmente accaduti. Anzi spesso tra l’accaduto e la rappresentazione trascorreva pochissimo tempo. Quindi la rappresentazione teatrale costituiva un vero e proprio mezzo di comunicazione che portava a conoscenza di un gran numero di persone l’accaduto (Wikipedia). Mi pare che il riferimento nell’articolo sia però assai più generico ed indichi semplicemente quello che definiremmo un “gioco delle parti”..
[2] Si riferisce alla famosa gaffe di Romney, che, ad un incontro di suoi finanziatori, si lasciò sfuggire la frase secondo la quale il 47 per cento degli americani erano scrocconi di programmi assistenziali che non potevano essere una preoccupazione per i Repubblicani.
By mm
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