The Urge to Purge
By PAUL KRUGMAN
Published: April 4,
When the Great Depression struck, many influential people argued that the government shouldn’t even try to limit the damage. According to Herbert Hoover, Andrew Mellon, his Treasury secretary, urged him to “Liquidate labor, liquidate stocks, liquidate the farmers. … It will purge the rottenness out of the system.” Don’t try to hasten recovery, warned the famous economist Joseph Schumpeter, because “artificial stimulus leaves part of the work of depressions undone.”
Like many economists, I used to quote these past luminaries with a certain smugness. After all, modern macroeconomics had shown how wrong they were, and we wouldn’t repeat the mistakes of the 1930s, would we?
How naïve we were. It turns out that the urge to purge — the urge to see depression as a necessary and somehow even desirable punishment for past sins, while inveighing against any attempt to mitigate suffering — is as strong as ever. Indeed, Mellonism is everywhere these days. Turn on CNBC or read an op-ed page, and the odds are that you won’t see someone arguing that the federal government and the Federal Reserve are doing too little to fight mass unemployment. Instead, you’re much more likely to encounter an alleged expert ranting about the evils of budget deficits and money creation, and denouncing Keynesian economics as the root of all evil.
Now, the fact is that these ranters have been wrong about everything, at every stage of the crisis, while the Keynesians have been mostly right. Remember how federal deficits were supposed to cause soaring interest rates? Never mind: After four years of such warnings, rates remain near historic lows — just as Keynesians predicted. Remember how running the printing presses was going to cause runaway inflation? Since the recession began, the Fed has more than tripled the size of its balance sheet, but inflation has averaged less than 2 percent.
But the Mellonites just keep coming. The latest example is David Stockman, Ronald Reagan’s first budget director, who has just published a mammoth screed titled “The Great Deformation.”
His book doesn’t have much new to say. Although Mr. Stockman’s willingness to criticize some Republicans and praise some Democrats has garnered him a reputation as an iconoclast, his analysis is pretty much standard liquidationism, with a strong goldbug streak. We’ve been doomed to disaster, he asserts, ever since F.D.R. took us off the gold standard and introduced deposit insurance. Everything since has been a series of “sprees” (his favorite word): spending sprees, consumption sprees, debt sprees, and above all money-printing sprees. If disaster was somehow avoided for 70-plus years, it was thanks to a series of lucky accidents.
So it’s more or less the usual stuff. In particular, like so many in his camp, Mr. Stockman misunderstands the meaning of rising debt. Yes, total debt in the U.S. economy, public and private combined, has risen dramatically relative to G.D.P. No, this doesn’t mean that we as a nation have been living far beyond our means, and must drastically tighten our belts. While we have run up a significant foreign debt (although not as big as many imagine), the rise in debt overwhelmingly represents Americans borrowing from other Americans, which doesn’t make the nation as a whole any poorer, and doesn’t require that we collectively spend less. In fact, the biggest problem created by all this debt is that it’s keeping the economy depressed by causing us collectively to spend too little, with debtors forced to cut back while creditors see no reason to spend more.
So what should we be doing? By all means, let’s restore the kind of effective financial regulation that, in the years before the Reagan revolution, helped deter excessive leverage. But that’s about preventing the next crisis. To deal with the crisis that’s already here, we need monetary and fiscal stimulus, to induce those who aren’t too deeply indebted to spend more while the debtors are cutting back.
But that prescription is, of course, anathema to Mellonites, who wrongly see it as more of the same policies that got us into this trap. And that, in turn, tells you why liquidationism is such a destructive doctrine: by turning our problems into a morality play of sin and retribution, it helps condemn us to a deeper and longer slump.
The bad news is that sin sells. Although the Mellonites have, as I said, been wrong about everything, the notion of macroeconomics as morality play has a visceral appeal that’s hard to fight. Disguise it with a bit of political cross-dressing, and even liberals can fall for it.
But they shouldn’t. Mellon was dead wrong in the 1930s, and his avatars are dead wrong today. Unemployment, not excessive money printing, is what ails us now — and policy should be doing more, not less.
Il desiderio della purga, di Paul Krugman
New York Times 4 aprile 2013
Quando arrivò il colpo della Grande Depressione, molte persone influenti sostennero che il Governo non avrebbe dovuto nemmeno cercare di limitare il danno. Secondo Herbert Hoover, Andrew Mellon, il suo Segretario al Tesoro, lo spingeva a “liberarsi dei posti di lavoro, liberarsi delle azioni, liberarsi degli agricoltori … ciò eliminerà il marcio dal sistema”. Non cercate di accelerare la ripresa, ammoniva il famoso economista Joseph Schumpeter, “il sostegno artificiale impedisce che il lavoro delle depressioni sia fatto per intero”. Come molti economisti, anch’io avevo l’abitudine di citare questi luminari del passato in modo un po’ troppo spavaldo. In fin dei conti, mi dicevo, la scienza economica moderna aveva dimostrato sino a che punto avevano avuto torto, e non avremmo voluto ripetere gli errori degli anni Trenta.
Quanto siamo stati ingenui. Si scopre che il desiderio di una purga – di considerare la depressione come una punizione necessaria e in qualche modo persino desiderabile, e al tempo stesso di accanirsi contro ogni tentativo di mitigare le sofferenze – è più forte che mai. Il “mellonismo”, in effetti, di questi tempi è dappertutto. Accendete il canale della CNBC o leggete una pagina di commenti ed è probabile che non troverete qualcuno che sostiene che il Governo Federale o la Federal Reserve stiano facendo troppo poco per combattere le disoccupazione di massa. E’ molto più probabile, invece, che vi imbattiate in un sedicente esperto che strepita sulle disgrazie dei deficit di bilancio e della creazione di moneta, e denuncia l’economia keynesiana come l’origine di tutti i mali.
Ora, il fatto è che i protagonisti di queste invettive hanno sbagliato su tutto, ad ogni stadio della crisi, mentre i keynesiani hanno avuto quasi del tutto ragione. Ricordate come si riteneva che i deficit federali avrebbero spinto i tassi di interesse alle stelle? Neanche è il caso di dirlo: dopo quattro anni di ammonimenti del genere, i tassi restano attorno ai minimi storici – proprio come avevano previsto i Keynesiani. Ricordate come lo stampare banconote fosse destinato ad innescare un’inflazione fuori controllo? Dall’inizio della recessione, la Fed ha più che triplicato il suo bilancio, ma l’inflazione ha pesato in media meno del 2 per cento.
Ma i “melloniani” sono proprio un flusso continuo. L’ultimo esempio è David Stockman, il primo Direttore del Bilancio di Ronald Reagan, che ha appena pubblicato un mastodontico sermone dal titolo “La Grande Deformazione”.
Il suo libro non contiene cose nuove. Sebbene l’attitudine del signor Stockman a criticare alcuni repubblicani ed a elogiare alcuni democratici gli abbia guadagnato una reputazione da iconoclasta, la sua analisi consiste in un liquidazionismo [1] piuttosto tradizionale, con una forte venatura di fanatismo aureo [2]. Noi siamo stati condannati al disastro, egli sostiene, dal momento in cui Franklin Delano Roosevelt ci portò fuori dal gold standard e introdusse l’assicurazione sui depositi bancari. Da allora è stata tutta una serie di “frenesie” (la sua espressione preferita): frenesie di spesa pubblica, frenesie di consumi, frenesie di debito e, sopra tutto, la frenesia dello stampare moneta. Se il disastro è stato evitato per più di 70 anni, è stato grazie ad una serie di fortunate combinazioni.
Dunque, più o meno è la solita roba. In particolate, come tanti nel suo campo, il signor Stockman confonde il significato del debito crescente. E’ vero, il debito complessivo nell’economia americana, pubblica e privata assieme, è aumentato in modo spettacolare rispetto al PIL. Ma questo non significa che siamo una nazione che ha vissuto oltre i propri mezzi, e dobbiamo drasticamente stringere la cinghia. Se abbiamo fatto crescere rapidamente un significativo debito estero (per quanto non così grande come molti immaginano), la crescita del debito è rappresentata in modo preponderante da americani che si sono indebitati con altri americani, la qualcosa non ci rende una nazione nel suo complesso più povera, e non richiede che collettivamente si spenda di meno. Nei fatti, il problema più grande creato da tutto questo debito è stato che esso ha mantenuto l’economia depressa spingendoci collettivamente a spendere di meno, con i debitori costretti a far tagli ed i creditori che non vedono ragioni per spendere maggiormente.
Cosa dovremmo fare, dunque? Certamente, dovremmo ripristinare quel genere di efficace regolamentazione finanziaria che, negli anni precedenti alla rivoluzione di Reagan, contribuì ad impedire un indebitamento eccessivo. Ma questo riguarda la prevenzione di crisi future. Per fare i conti con la crisi che è in atto, abbiamo bisogno di misure di sostegno monetario e della finanza pubblica, in modo da indurre coloro che non sono troppo gravemente indebitati a spendere di più, nel mentre i debitori riducono la loro esposizione.
Naturalmente, questa ricetta è una bestemmia per i melloniani, che sbagliando la considerano una soluzione peggiore delle politiche che ci hanno spinto in questa trappola. Il che, a sua volta, ci spiega perché il liquidazionismo sia una dottrina così distruttiva: trasformando i nostri problemi in una rappresentazione morale di peccati e di penitenze, esso ci condanna ad una crisi più profonda e più lunga.
La cattiva notizia è che il moralismo paga. Per quanto i melloniani, come ho detto, abbiano avuto torto su tutto, l’idea dell’economia come una rappresentazione morale ha un fascino viscerale che è difficile combattere. Mascheratelo con un po’ di travestitismo politico, e persino i progressisti ci possono cascare.
Eppure non dovrebbero. Mellon ebbe torto marcio negli anni Trenta, e le sue reincarnazioni [3] hanno torto marcio ai nostri giorni. La disoccupazione, non l’eccessiva creazione di moneta, è quello che ci affligge – e la politica dovrebbe fare di più, non di meno.
[1] Qua il termine “liquidazionismo” indica le posizioni sopra ricordate di Mellon (“liquidate labor, stocks, farmers …”), ovvero l’idea che la risposta alla recessione debba essere il “sacrificio” di tutto quello che non sta al passo dell’economia – posti di lavoro, valori azionari etc.
[2] “Gold bug” (“Scarabeo d’oro”) è il termine con il quale si definisce la posizione di coloro che pensano che l’oro sia ancora – come all’epoca del ‘gold standard’ – il migliore fattore di sicurezza finanziaria.
[3] La parola “avatar”, che è in lingua sanscrita, è originaria della tradizione induista, nella quale ha il significato di incarnazione, di assunzione di un corpo fisico da parte di un dio (Avatar: “Colui che discende”). Per traslazione metaforica, nel gergo di internet si intende che una persona reale che scelga di mostrarsi agli altri, lo faccia attraverso una propria rappresentazione, un’incarnazione (Wikipedia).
By mm
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