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Commento all’articolo di Reinhart e Rogoff sul Financial Times, di Jonathan Portes (2 maggio 2013)

 

Comment on Reinhart and Rogoff’s FT article

by Jonathan Portes

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My letter to the FT responds to Ken Rogoff and Carmen Reinhart’s opinion piece (2 May):

“In their article ‘Austerity is not the only answer to a debt problem’, Ken Rogoff and Carmen Reinhart argue:

the debate needs to be reconnected to the facts. Let us start with one: the ratios of debt to gross domestic product are at historically high levels in many countries, many rising above previous wartime peaks.

 

In an effort to reconnect myself with the facts, I consulted Rogoff and Reinhart’s own database. Among G7 countries, their statement is false for the UK, US, Canada, France and Italy. They do not have data for Germany or Japan for the World War 2 peak. More importantly, the way that these very high debts were reduced was primarily by growth, not by rapid fiscal consolidation at a time of weak private demand.

 

Nevertheless, their call for more borrowing for public infrastructure investment, and their recognition that such borrowing can make the public finances more, not less, sustainable is welcome. Many of us, including of course Martin Wolf in your columns, have been arguing for some time that in the UK with demand weak, interest rates at historically extraordinarily low levels, and a legacy of underinvestment, this is both basic macroeconomics and simple common sense. The support of Professors Reinhart and Rogoff is welcome.

 

 

Unfortunately, the UK government does not appear to be listening to our advice; despite the much-trumpeted, but very small, additions to capital spending announced recently, public sector net investment over the next five years is planned to average about 1.5 percent of GDP. Three years ago, it was more than twice. So far, most deficit reduction in the UK has been achieved by cutting public investment. That was a mistake which should be reversed.”

 

The letter deliberately concentrates on the case for borrowing now to finance investment, where Reinhart and Rogoff have belatedly joined a growing consensus. In the interests of brevity and focus, I omitted a couple of points where their article is simply incoherent, which I will set out here. In particular, they argue that we should be cautious about borrowing because interest rates might rise:

“Unfortunately, ultra-Keynesians are too dismissive of the risk of a rise in real interest rates.No one fully understands why [real interest] rates have fallen so far so fast, and therefore no one can be sure for how long their current low level will be sustained…Economists simply have little idea how long it will be until rates begin to rise. If one accepts that maybe, just maybe, a significant rise in interest rates in the next decade might be a possibility, then plans for an unlimited open-ended surge in debt should give one pause.”

 

Leave aside the silly straw man (repeated elsewhere) that “ultra-Keynesians” want an “unlimited open-ended surge in debt.” Who are these “ultras”? Not Martin Wolf and Simon Wren-Lewis in the UK, or Paul Krugman and Brad Delong in the US. And, as Reinhart and Rogoff know perfectly well, of course we think (and hope!) that real interest rates will rise at some stage, when demand and confidence returns and the private sector wants to invest. Bringing that time forward is precisely the objective of the policies we advocate.
The broader point here is that Reinhart and Rogoff seem to have got their logic completely inverted. At the moment the UK (and US) can borrow very long term at very low or even negative real interest rates; the UK index-linked gilt maturing in 2055 has a real yield below zero. So what Reinhart and Rogoff are arguing is that we should not lock ourselves into long-term debt at very low real interest rates now, because real interest rates might go back up. Suffice it to say that if your financial adviser told you not to take out a long-term fixed rate mortgage now, because interest rates might go up next year, you might reasonably doubt her competence.

 

As for the reference to Keynes:

John Maynard Keynes himself wrote How to Pay for the War in 1940 precisely because he was not blasé about large deficits – even in support of a cause as noble as a war of survival.”

 

I am genuinely puzzled as to what point they are trying to make here. Of course Keynes was worried about the inflationary impact of high deficits during the War, when demand (for both guns and butter) was effectively unlimited, and supply constrained (with full employment and much of the workforce off fighting). To say the least, that’s not where we are now. It’s always a little silly speculating what eminent dead people would do today, but it’s hardly difficult to figure out what Keynes’ prescription would be when unemployment is far too high and investment too low.

 

Commento all’articolo di Reinhart e Rogoff sul Financial Times

di Jonathan Portes

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Dalla mia lettera al Financial Times che risponde ad un articolo di commento di Ken Rogoff e Carmen Reinhart (2 maggio):

“Nel loro articolo (“L’austerità non è la sola risposta a un problema di debito”), Ken Rogoff e Carmen Reinhart sostengono:

la discussione deve essere riconnessa ai fatti. Ci sia consentito di cominciare da uno: le percentuali del debito sul Prodotto Interno Lordo sono a livelli storicamente alti in molti paesi, in molti in crescita sopra i precedenti massimi dei tempi di guerra.”

Nel tentativo di riconnettermi ai fatti, ho consultato lo stesso database di Rogoff e Reinhart. Su sette paesi del G7, la loro affermazione è falsa per la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, il Canada, la Francia e l’Italia. Non forniscono alcun dato per il livello massimo della II Guerra Mondiale, nel caso della Germania e del Giappone. Più importante, il modo in cui questi altissimi debiti furono ridotti fu principalmente con la crescita, non attraverso il rapido consolidamento della finanza pubblica in un tempo di debole domanda privata.

Ciononostante, la loro presa di posizione per un maggiore indebitamento in investimenti in infrastrutture pubbliche, ed il loro riconoscimento che tale indebitamento può rendere le finanze pubbliche più, e non meno, sostenibili, è benvenuto. Molti di noi, incluso ovviamente Martin Wolf sulle vostre colonne, stanno sostenendo da un po’ di tempo che in Inghilterra, con una domanda debole, con tassi di interesse a livelli straordinariamente bassi e con un’eredità di investimenti insufficienti, questa sia macroeconomia elementare e semplice senso comune. Il sostegno dei professori Reinhart e Rogoff è benvenuto.

 

Sfortunatamente, il Governo britannico sembra non dare ascolto al loro consiglio; a dispetto delle tanto strombazzate, ma assai modeste, aggiunte di spesa pubblica in cinto capitale annunciate di recente, l’investimento netto del settore pubblico nei prossimi cinque anni è programmato ad una media di circa l’1,5 per cento del PIL. Tre anni fa era più del doppio. Sinora, gran parte della riduzione del deficit in Inghilterra è stata ottenuta con il taglio degli investimenti pubblici. Questo è stato un errore che dovrebbe essere cancellato.”

La lettera si concentra deliberatamente sulla ipotesi di indebitarsi adesso per finanziare investimenti, per la quale Reinhart e Rogoff sono tardivamente pervenuti ad un crescente consenso. Per brevità e per concentrazione, avevo omesso un paio di punti sui quali il loro articolo è semplicemente incoerente, che voglio avanzare qua. In particolare, essi sostengono che dovremmo essere cauti nell’indebitamento perché i tassi di interesse potrebbero crescere:

Sfortunatamente, gli ultra-keynesiani sono troppo semplicistici sul rischio di una crescita dei tassi di interesse reali. Nessuno comprende pienamente perché i tassi (di interesse reali) siano così tanto scesi e in così breve tempo, e di conseguenza nessuno può essere sicuro per quanto tempo si manterrà il loro attuale basso livello … Semplicemente gli economisti hanno poche idee su quanto tempo ci vorrà perché i tassi comincino a crescere. Se uno accetta la possibilità, solo la possibilità, di una significativa crescita nei tassi di interesse nel prossimo decennio, allora i piani per una crescita illimitata del debito dovrebbero avere una pausa.

Lasciamo da parte questo sciocco diversivo (ripetuto in continuazione) secondo il quale gli “ultra-keynesiani” vorrebbero “una crescita senza limiti di quantità e di tempo nel debito” Chi sono questi “ultras”? Non Martin Wolf e Simon Wren-Lewis in Inghilterra, o Paul Krugman e Brad DeLong negli USA. E, come Reinhart e Rogoff sanno perfettamente, naturalmente noi pensiamo (e speriamo) che i tassi di interesse reali ad una certo momento cresceranno, quando la domanda e la fiducia riprenderanno e il settore privato vorrà investire. Anticipare quel tempo è esattamente  l’obbiettivo delle politiche che sosteniamo.

Il punto più generale è che Reinhart e Rogoff sembrano avere una loro logica completamente all’inverso. In questo momento l’Inghilterra (e gli USA) possono indebitarsi nel lunghissimo termine a tassi di interesse reali molto bassi o  persino negativi: i bonds indicizzati inglesi [1] che vanno a maturazione nel 2055 hanno un rendimento inferiore allo zero. Dunque, quello che Reinhart e Rogoff stanno sostenendo è che non dovremmo rinchiuderci in questo momento in un debito a lungo termine a tassi di interesse reali bassissimi, perché i tassi di interesse reali potrebbero risalire. E’ sufficiente dire che il vostro consulente finanziario vi dicesse di non richiedere in questo momento un mutuo a lungo termine a tasso di interesse fisso perché i tassi di interesse potrebbero salire, a buon diritto dubitereste della sua competenza.

Per quanto riguarda il riferimento a Keynes:

John Maynard Keynes stesso scrisse nel 1940 ‘Come finanziare la guerra’ precisamente perché non si faceva illusioni sui grandi deficit – persino a sostegno di una causa così nobile come una guerra di sopravvivenza.”

Mi chiedo davvero cosa intendano cercare di dire con tutto questo. Naturalmente Keynes era preoccupato dell’effetto inflazionistico degli alti deficit durante la guerra, quando la domanda (sia per i fucili che per il burro) era effettivamente illimitata, ed obbligata dall’offerta (con la piena occupazione e con molta forza lavoro allontanata sui fronti di battaglia). Per dire il minimo, quella non è la situazione di oggi. E’ sempre un po’ stupido speculare su quello che le persone decedute farebbero oggi, ma non è per davvero difficile immaginarsi quale sarebbe il consiglio di Keynes con una disoccupazione così tanto elevata ed investimenti così bassi.



[1] Il “gilt” è il termine con il quale si indicano le obbligazioni di alcuni paesi (Inghilterra, ma anche India e Sudafrica), così chiamate perché agli inizi la Banca d’Inghilterra le emetteva con la forma del bordo dorata.

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