Blog di Krugman

Elogio dello specialismo economico (11 maggio 2013)

 

May 11, 2013, 9:13 am

In Praise of Econowonkery

Mike Konczal has an interesting piece on the general question of whether wonk-blogging — the practice of putting up fairly analytical data-heavy posts bearing on policy issues directly on the web, rather than going through more traditional publication channels — is a good thing. He puts it in the context of liberal politics, which it mostly (though not entirely) is; but I’d like to think about it more generally as a way in which data and analysis can be brought quickly to bear on policy discussion.

 

And not to create any unnecessary suspense: I think it’s had an enormously salutary effect.

First of all, what are we talking about here? Obviously the econoblogs — Mark Thoma, Brad DeLong, Konczal himself, Marginal Revolution (although it plays a surprisingly, well, marginal role in the big controversies), Yglesias, and many more. But also some of the more institutional blogs, notably FT Alphaville and Business Insider, and columns by the likes of Martin Wolf. And as a practical matter some official institutions are effectively part of the ongoing blogospheric discussion: the IMF, both through its official blogs and, if truth be told, via its semiannual World Economic Outlook and other publications, is in effect participating in the discussion more or less on Internet time. Working papers from some of the Feds, notably New York and San Francisco, do the same.

 

The overall effect is that we’re having a conversation in which issues get hashed over with a cycle time of months or even weeks, not the years characteristic of conventional academic discourse. Is that a problem?

 

OK, first point: many people seem to have a much-idealized vision of the academic process, in which wise and careful referees peer-review papers to make sure that they are rock-solid before they go out. In reality, while many referees do their best, many others have pet peeves and ideological biases that at best greatly delay the publication of important work and at worst make it almost impossible to publish in a refereed journal. Gans and Shepherd wrote about this almost 20 years ago, and the situation has surely not improved.

I’m told by younger colleagues, in particular, that anything bearing on the business cycle that has even a vaguely Keynesian feel can be counted on to encounter a very hostile reception; this creates some big problems of relevance for proper journal publication under current circumstances.

 

A second point is that events are moving fast, and the long lead times of conventional publication essentially guarantee that it will be irrelevant to current policy issues.

Still, all of this would be cold comfort if wonkblogging was just generating noise and confusion. But from where I sit, the reality has been just the opposite.

Look at one important recent case — no, not Reinhart/Rogoff, but Alesina/Ardagna on expansionary austerity. Now, as it happens the original A/A paper was circulated through relatively “proper” channels: released as an NBER working paper, then published in a conference volume, which means that it was at least lightly refereed. Proper science!

Except that it was all wrong. And how did we find out that it was all wrong? First through critiques posted at the Roosevelt Institute, then through detailed analysis of cases by the IMF. The wonkosphere was a much better,much more reliable source of knowledge than the proper academic literature.

And I would say that in general the quality of economic discussion we’ve been having in recent years is the best I’ve ever seen. Yes, there’s junk economics out there, but when was that not true? And yes, it can be hard for lay readers — or for that matter, it seems, quite a few people with heavy economic credentials — to tell the junk from the real insights; but again, when wasn’t that true? As far as real, insightful, useful discussion of matters economic is concerned, this is actually a golden age.

Of course, these useful insights have been largely ignored by policy makers. But once again, when was that not true?

So wonk on proudly. As Martha Stewart would say, it’s a good thing.

 

Elogio dello specialismo economico

 

Mike Konczal ha un articolo sul tema generale se lo specialismo tramite i  blogs – la pratica del caricare direttamente sul web posts corredati di dati abbastanza analitici che hanno effetto sulle questioni dell’agire politico, piuttosto che attraverso i canali di pubblicazioni  più tradizionali – sia una buona cosa. Se lo chiede nel contesto delle politiche progressiste, dove in gran parte (sebbene non del tutto) è una buona cosa; ma mi piacerebbe rifletterci più in generale come un modo nel quale i dati e le analisi possono rapidamente essere portati ad esercitare un peso nel dibattito politico.

E per non creare una suspense inutile: io penso che abbiano un enorme effetto salutare.

Prima di tutto: di cosa stiamo parlando in questo caso? Chiaramente dei blogs economici – Mark Thoma, Brad DeLong, lo Konczal stesso, Marginal Revolution (sebbene questo giochi un ruolo, si, sorprendentemente marginale nelle grandi controversie), Yglesias, e molti altri. Ma anche alcuni dei blogs più istituzionali, in particolare FT Alphaville e Business Insider, ed articoli da parte di persone come Martin Wolf. E da un punto vista  pratico alcune istituzioni ufficiali sono a tutti gli effetti parte del continuo dibattito della blogosfera; il FMI, sia attraverso i blogs ufficiali che, se vogliamo dire la verità, attraverso il semestrale World Economic Outlook ed altre pubblicazioni, partecipa in effetti al dibattito più o meno con i tempi di Internet. Lo stesso fanno fogli di lavoro delle varie Fed regionali, particolarmente quelle di New York e San Francisco.

L’effetto complessivo è che stiamo avendo confronti nei quali i temi vengono sviscerati con cicli di tempo di mesi o persino di settimane, non gli anni caratteristici dei dibattiti accademici. E’ un problema?

Ebbene, il primo aspetto: molti sembrano avere una visione assai idealistica delle procedure accademiche, secondo la quale arbitri saggi e scrupolosi  visionano i lavori prima della loro uscita per esser certi del loro solido fondamento. In realtà, mentre molti supervisori fanno del loro meglio, molti altri hanno antipatie e pregiudizi ideologici che come minimo ritardano grandemente la pubblicazione di lavori importanti e nel peggiore dei casi rendono quasi impossibile pubblicarli in riviste di riferimento. Gans e Shepard scrissero venti anni orsono su questo aspetto, e la situazione non è sicuramente migliorata.

Mi è stato riferito da colleghi più giovani, in particolare, che per ogni cosa che riguardi il ciclo economico che abbia anche vagamente il sentore di keynesismo si può mettere nel conto di dover affrontare un ricevimento assai ostile; il che crea nelle circostanze attuali grandi e significativi problemi per una corretta pubblicazione su una rivista.

Un secondo aspetto è che   i fatti corrono velocemente, ed i tempi lunghi delle prime pubblicazioni convenzionali fondamentalmente garantiscono che esse saranno irrilevanti per le tematiche politiche del presente.

Ancora, tutto questo sarebbe una magra consolazione se lo specialismo sui blogs stesse davvero provocando frastuono e confusione. Ma, nella mia collocazione, ho assistito ad un realtà esattamente opposta.

Si guardi all’importante caso recente – non mi riferisco a Reinhart/Rogoff, ma ad Alesina/Ardagna sulla austerità espansiva. Ora, si dà il caso che l’originale saggio di Alesina/Ardagna fosse andato  in circolazione attraverso canali relativamente “appropriati”: presentato come un ‘documento di lavoro’ [1], poi pubblicato negli atti di una conferenza, il che significa che come minimo aveva avuto referenze. Scienza corretta!

Sennonché era tutto sbagliato. E come si si è accorti che era tutto sbagliato? In primo luogo attraverso critiche messe in rete presso il Roosevelt Institute, poi attraverso una analisi dettagliata dei casi a cura del FMI. Il mondo dei blogs specialistici è stata una risorsa di conoscenza molto migliore e molto più affidabile della corretta letteratura accademica.

Vorrei anche dire che in generale la qualità del dibattito economico che abbiamo in questi anni recenti è la migliore che abbia mai visto. E’ vero, c’è in giro molto ciarpame economico, ma quando non è stato così? Ed è vero, può essere difficile per lettori profani – o, per la stessa ragione, a quanto pare, per un po’ di individui con pesanti credenziali economiche – distinguere la spazzatura dalle intuizioni effettive; ma ancora, quando non è stato così? Dal punto di vista di un reale, fecondo, utile dibattito sui temi economici, questo è davvero un periodo aureo.

Naturalmente, queste feconde intuizioni sono state largamente ignorate dagli operatori politici. Ma, ancora una volta, quando non è stato così?

Andiamo dunque avanti con questo specialismo con orgoglio. Come direbbe Martha Stewart [2], è una buona cosa.

 


[1] Nell’ambito della ricerca scientifica, un working paper è uno scritto che viene diffuso dai suoi autori, al fine di sollecitare una preliminare discussione informale, prima dell’invio a una rivista scientifica, soprattutto se questa seleziona i contributi col metodo della revisione paritaria, oppure prima che venga presentato come comunicazione a un congresso (Wikipedia)

[2] Si tratta di una graziosa conduttrice televisiva di origine polacca, che intrattiene su piatti e manicaretti.

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