May 27, 2013, 9:31 am
The FT has a long, deeply depressing portrait of conditions in Portugal, focusing on the plight of family-owned businesses — once the core of the nation’s economy and society, now going under in droves.
This is what it’s really about. And anyone playing any role in our current economic debate, whether as an actual policy maker or as an analyst giving advice from the sidelines, should be focused, above all, on how and why we’re allowing this nightmare to happen all over again three generations after the Great Depression.
Don’t tell me that Portugal has had bad policies in the past and has deep structural problems. Of course it has; so does everyone, and while arguably Portugal’s are worse than those of some other countries, how can it possibly make sense to “deal” with these problems by condemning vast numbers of willing workers to unemployment?
The answer to the kind of problems Portugal now faces, as we’ve known for many decades, is expansionary monetary and fiscal policy. But Portugal can’t do those things on its own, because it no longer has its own currency. OK, then: either the euro must go or something must be done to make it work, because what we’re seeing (and the Portuguese are experiencing) is unacceptable.
What could help? A much stronger expansion in the euro area as a whole; higher inflation in the European core. Looser monetary policy could help achieve these things, but bear in mind that the ECB, like the Fed, is basically up against the zero lower bound. It can and should try to push unconventional policies, but it needs as much help as possible from fiscal policy too — not a situation in which austerity in the periphery is reinforced by austerity in the core, too.
What has happened instead, however, is three years in which European policy has been focused almost entirely on the supposed dangers of public debt. I don’t think it’s a waste of time to discuss how that misplaced focus happened, including the unfortunate role played by some economists who have done fine work in the past and will presumably do fine work in the future. But the important thing now is to change the policies that are creating this nightmare.
Incubo in Portogallo
Il Financial Times presenta un lungo e assai deprimente ritratto delle condizioni del Portogallo, concentrandosi sulla brutta situazione delle imprese a proprietà familiare – una volta il cuore dell’economia e della società della nazione, e che ora affondano a frotte.
Si tratta realmente di questo. E chiunque giochi un qualsiasi ruolo nel nostro attuale dibattito economico, che sia un effettivo operatore politico o un analista che fornisce consigli dalle retrovie, dovrebbe concentrarsi soprattutto sul come e sul perché stiamo consentendo che si riproduca questo incubo tre generazioni dopo la Grande Depressione.
Non venite a raccontarmi che il Portogallo ha avuto pessime politiche nel passato e che ha profondi problemi strutturali. Naturalmente li ha; li hanno tutti, e se probabilmente quelli del Portogallo sono peggiori di quelli di qualche altro paese, come è possibile che abbia senso fare i conti con questi problemi condannando un gran numero di lavoratori volenterosi alla disoccupazione?
La risposta al genere di problemi che il Portogallo oggi fronteggia, come abbiamo compreso da molti decenni, è una politica monetaria e della finanza pubblica espansiva. Ma il Portogallo non può fare queste cose per suo conto, perché non ha più una propria valuta. E’ vero, allora: o l’euro deve uscire di scena o qualcosa deve essere fatto per renderlo funzionante, perché quello a cui stiamo assistendo (e che i portoghesi stanno sperimentando) è inaccettabile.
Cosa potrebbe essere di aiuto? Una espansione assai più forte nell’area euro nel suo complesso, una inflazione più elevata al centro dell’Europa. Una politica monetaria più permissiva potrebbe aiutare ad ottenere queste cose, ma si tenga a mente che la BCE, come la Fed, si trova fondamentalmente dinanzi al limite inferiore di zero [1]. Essa può e dovrebbe provare a promuovere politiche non convenzionali, ma c’è anche bisogno di tutto il contributo possibile da parte della politica della finanza pubblica – non di una situazione nella quale l’austerità della periferia è per giunta rafforzata dalla austerità al centro.
Quello che invece è successo sono stati tre anni nei quali la politica europea si è concentrata quasi interamente sui supposti pericoli del debito pubblico. Io non penso che sia una perdita di tempo discutere su come questo sviamento sia avvenuto, incluso il ruolo sfortunato di qualche economista che ha fatto un lavoro brillante nel passato e probabilmente lo farà nel futuro. Ma la cosa importante adesso è cambiare le politiche che hanno creato questo incubo.
By mm
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