May 4, 2013, 1:24 pm
One dead giveaway that someone pretending to be an authority on economics is in fact faking it is misuse of the famous Keynes line about the long run. Here’s the actual quote:
But this long run is a misleading guide to current affairs. In the long run we are all dead. Economists set themselves too easy, too useless a task if in tempestuous seasons they can only tell us that when the storm is long past the ocean is flat again.
As I’ve written before, Keynes’s point here is that economic models are incomplete, suspect, and not much use if they can’t explain what happens year to year, but can only tell you where things will supposedly end up after a lot of time has passed. It’s an appeal for better analysis, not for ignoring the future; and anyone who tries to make it into some kind of moral indictment of Keynesian thought has forfeited any right to be taken seriously.
And there’s an important corollary: how you should go about getting to some desired long-run outcome may depend a lot on how you think the economy works in the short run.
I don’t like the framing of this Blanchard-Leigh piece , which simply takes it as a given that we should be engaged in fiscal consolidation even in the short run, and the only question is how much. The truth is that the economics suggests strongly that we should be engaged in fiscal expansion right now. Still, framing aside, Blanchard and Leigh do get at the right issue: because the short-run effects of fiscal policy may differ greatly depending on the state of the economy, appropriate policy depends hugely on where we are right now.
And look, this isn’t hard. The overwhelming fact about our current situation is that conventional monetary policy is played out, with short-run interest rates at zero. This means that there is no easy way to offset the contractionary effects of fiscal austerity (maybe there are exotic ways to do something, but they’re tricky and unproved). And this in turn means that austerity right now is a terrible idea: any fiscal savings come at the expense of reduced output and higher unemployment. Indeed, even the fiscal savings are likely to be small and maybe even nonexistent: lower output and employment reduces revenues, and may inflict long-run economic damage that actually worsens the long-run fiscal position.
The other things B-L mention,like credit constraints, just reinforce this basic point. (By the way: Gillian Tett notes today that consumer spending is now fluctuating dramatically with the timing of paychecks, suggesting a lot of people living hand to mouth. What she doesn’t point out is that this is a world in which Ricardian equivalence, in which expectations of future taxes drive current spending, is even wronger than usual — and fiscal multipliers will be large).
The point, then, is not to ignore the long run; it is to recognize that the boom, not the slump, is the time for austerity, and spending cuts right now are disastrous policy. In the long run we are all dead; the point is to avoid killing our economy before its time.
Keynes, I neokeynesiani, il lungo periodo e la politica finanziaria pubblica
Una stanca rivelazione che qualcuno che finge di essere una autorità in economia sta di fatto falsificando, consiste nell’uso distorto della famosa frase di Keynes sul lungo periodo. Questa è la citazione reale:
“Ma questo lungo periodo è una guida fuorviante per gli affari attuali. Nel lungo periodo siamo tutti morti. Gli economisti si attribuiscono un compito troppo facile e troppo inutile se nelle stagioni tempestose riescono solo a dirci che quando la tempesta sarà da un bel po’ passata il mare diventerà di nuovo piatto”.
Come ho scritto in precedenza, ho l’impressione che in questo caso l’argomento di Keynes fosse che i modelli economici sono incompleti, e non è rilevante se essi non possono spiegare cosa accade anno per anno, ma possono solo dirci come si suppone che andrà a finire dopo che un po’ di tempo è passato. E’ un appello per una analisi migliore, non per ignorare il futuro; e tutti coloro che hanno provato a farlo diventare una sorta di condanna morale del pensiero keynesiano hanno rinunciato ad ogni titolo ad essere presi su serio.
E c’è un importante corollario: il modo in cui dovreste comportarvi per pervenire a qualche risultato atteso di lungo periodo può dipendere molto dal modo in cui pensate che l’economia funzioni nel breve periodo.
Non mi è piaciuto il contesto di questo articolo di Blanchard-Leigh [1], che assume semplicemente come un dato il fatto che dovremmo essere impegnati nel consolidamento della finanza pubblica anche nel breve periodo, e che l’unico interrogativo sia il quanto. La verità è che la teoria economica indica che in questo momento dovremmo essere impegnati in una espansione della finanza pubblica. Eppure, a parte il contesto, Blanchard e Leigh vogliono proprio porre la questione giusta: giacché gli effetti di breve periodo della politica della finanza pubblica differiscono grandemente a seconda dello stato dell’economia, una politica appropriata dipende in grande misura dal punto in cui siamo adesso.
E guardate, non è difficile. Il fatto decisivo sulla nostra situazione attuale è che la politica monetaria è spiazzata, con i tassi di interesse a breve a zero. Questo significa che non c’è alcun modo semplice per bilanciare gli effetti restrittivi della austerità della finanza pubblica (forse ci sono modi esotici di farlo, ma sono complicati e non sperimentati). E questo significa a sua volta che l’austerità in questo momento è un’idea terribile: tutti i risparmi in termini di finanza pubblica si ottengono a spese di una produzione ridotta e di una disoccupazione più elevata. In effetti, è persino probabile che anche i risparmi in termini di finanza pubblica siano modesti e addirittura inesistenti: una produzione ed una occupazione più bassa riducono le entrate, e possono infliggere un danno economico di lungo periodo che effettivamente peggiore la situazione di lungo termine della finanza pubblica.
Le altre cose alle quali Blanchard e Leigh fanno riferimento, semplicemente rafforzano questo aspetto fondamentale (per inciso: osserva oggi Gillian Tett che la spesa per i consumi sta oggi fluttuando in modo spettacolare a seconda della tempistica della riscossione degli stipendi, indicando che un gran numero di persone vivono alla giornata. Quello che ella mette in evidenza è che questo è un mondo nel quale l’equivalenza ricardiana [2], nella quale l’aspettativa delle tasse future condiziona la spesa corrente, è persino più sbagliata che non a condizioni normali, e che dunque i moltiplicatori della finanza pubblica [3] sono destinati ad essere ampi).
Il punto, allora, non è ignorare il lungo periodo; è riconoscere che la forte crescita, non la recessione, è il tempo dell’austerità, e i tagli alla spesa pubblica in questo momento sono una politica disastrosa. Nel lungo periodo saremo tutti morti; il punto è evitare di ammazzare l’economia prima di allora.
[1] L’articolo è apparso il 3 maggio sul blog “Vox”. Olivier Blanchard è il principale economista del FMI e Daniel Leigh è un economista del Dipartimento Ricerca del Fondo.
[2] Vedi le Note finali sulla traduzione
[3] Per il concetto di “multiplier” vedi le Note finali sulla traduzione.
By mm
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