Blog di Krugman

L’austerità dei tempi andati (18 maggio 2013)

 

Old-fashioned Austerity

Matthew Yglesias piles on Michael Kinsley too, and makes a point I’ve also tried to make in the past: if the real problem is that we overspent and lived beyond our means, we should be working harder, not throwing millions of people into unemployment. Yglesias makes his point with the case of Iceland, which has indeed restored relatively full employment while continuing to suffer somewhat reduced real income.

 

But there’s an even better example from the historical record: Britain after World War II.

 

In fact, when people used to refer to Austerity Britain, they were referring to the half-dozen years after the war when Britain had very high public debt, much reduced overseas assets, and in general found its economic situation much straitened.

So what was the British economy like? Well, there was rationing, which people hated. There were exchange controls. There was financial repression. All very terrible things, unacceptable by modern standards, right? But there was full employment! Here’s a chart from here, mysteriously missing the year labels, but you can see the war clearly:

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And here’s UK public debt as a percentage of GDP over the same period:

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So, our grandfathers (or strictly speaking the grandfathers of the Brits — we never had austerity of any kind) — responded to high levels of debt with an economy in which life was pretty hard for investors, luxuries were hard to come by even for the middle class, and everyone worked hard — but, you know, everyone had a job. We’ve responded to much lower levels of debt by ensuring that the economy functions far below potential, millions of people who want to work can’t find jobs, and many people see all their hopes for the future slipping away.

Progress!

 

L’austerità dei tempi andati

Anche Matthew Yglesias si aggiunge alla discussione con Michael Kinsley e avanza un argomento che anch’io avevo cercato di porre nel passato: se il problema reale è che abbiamo avuto un eccesso di spesa e vissuto oltre i nostri mezzi, dovremmo star lavorando più duramente, e non gettare milioni di persone nella disoccupazione. Yglesias pone questa questione facendo l’esempio dell’Islanda, che in effetti ha relativamente ripristinato la piena occupazione mentre continua a soffrire qualcosa come riduzione del reddito reale.

Ma c’è anche un altro esempio dalla serie storica: l’Inghilterra dopo la II Guerra Mondiale.

Di fatto, quando le persone si riferivano di solito alla ‘austerità inglese’, intendevano quella dozzina di anni dopo la guerra quando gli inglesi avevano un debito pubblico molto elevato, assets all’estero molto ridotti  e in generale si ritrovarono in una situazione economica con molte ristrettezze.

A cosa assomigliava, dunque, l’economia britannica? Bene, c’era il razionamento, che la gente odiava. C’erano i controlli sugli scambi [1]. C’era l’inibizione finanziaria [2]. Tutte cose tremende, inaccettabili secondo gli standards attuali, non è così? Ma c’era la piena occupazione! Ecco un diagramma [3], nel quale si sono misteriosamente perduti i riferimenti agli anni, ma nel quale si può bene distinguere il periodo della Guerra:

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Ed ecco il debito pubblico inglese nello stesso periodo:

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Dunque, i nostri nonni (o strettamente parlando i nonni degli inglesi – noi non avemmo austerità di alcun genere) risposero agli altri livelli del debito con un’economia nella quale la vita era piuttosto dura per gli investitori, i lussi arrivavano con difficoltà anche per la classe media, e tutti lavoravano duramente – ma, considerate che ognuno aveva un lavoro. Noi abbiamo risposto a livelli del debito molto più bassi facendo in modo che l’economia funzioni molto al di sotto del suo potenziale, che milioni di persone che vogliono lavorare non possano trovare lavoro, e molte persone vedono le loro speranze sul futuro spegnersi.

 

Il progresso !



[1] Gli ‘exchange controls” sono una serie di misure imposte da un Governo sulla vendita/acquisto di valute straniere da parte dei residenti oppure sulla vendita/acquisto di valuta nazionale da parte dei non residenti.

[2] Per “financial repression” vedi le note finali sulla traduzione.

[3] Tratto da un saggio di Timothy J. Hatton e George R. Boyer del 2005.

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