For my sins (and, yes, an honorarium too), I’m doing this. So it’s worth putting out some of the basics.
First, over the past three decades we’ve seen a soaring share of income going to the very top of the income distribution (right scale) even as tax rates on high incomes have fallen sharply, with the recent Obama increases clawing back only a fraction of the previous cuts:
Second, there is now a lot of hard empirical work on the incentive effects of high top tax rates. None of it shows the kind of huge negative effects that figure so prominently in right-wing rhetoric. In particular, none of it suggests that we are anywhere close to the point where raising taxes on the rich would reduce revenue as opposed to increasing it.
Finally, you can use the results of these studies to estimate the “optimal” tax rate on top incomes; I think the best way to think about what optimality means is, what’s best for the 99 percent, since the 1 percent will be doing fine regardless. And just about everything points to substantially higher tax rates than we now have.
This has nothing to do with envy, or a desire to punish the rich, or anything other than a recognition of tradeoffs: if we choose to raise less revenue from the rich than we can without hurting the economy, we will be forced either to raise more taxes from or provide fewer valuable services to everyone else.
Tassare i ricchi
A causa dei mie peccati (e, in effetti, anche a seguito di un compenso) sono impegnato in questo [1]. Vale dunque la pena di fornire alcuni concetti fondamentali.
In primo luogo, nei tre decenni passati abbiano assistito ad una quota cresciuta in modo impressionante che è finita ai più ricchi nella distribuzione del reddito (parte destra del diagramma), anche se le aliquote fiscali sui redditi alti sono cadute bruscamente, con i recenti incrementi di Obama che hanno recuperato solo una parte dei tagli precedenti:
In secondo luogo, oggi c’è una quantità di spietati lavori empirici sugli effetti di incentivo di elevate aliquote fiscali sui redditi più alti. Nessuno di essi mostra quel genere di ampi effetti negativi che compaiono con tanta evidenza nella propaganda della destra. In particolare, nessuno di essi indica che saremmo in qualche modo prossimi al punto in cui aumentare le tasse sui ricchi comporterebbe una riduzione del reddito piuttosto che un suo incremento.
Infine, si possono usare i risultati di questi studi per stimare l’aliquota fiscale “ottimale” sui redditi più alti: io reputo il modo migliore di tutti di pensare a cosa significhi tale situazione ottimale, quello che corrisponde al meglio per il 99 per cento, dal momento che l’1 per cento si troverà bene comunque. E a tale proposito tutto ci indica aliquote fiscale sostanzialmente più elevate di quelle che abbiamo adesso.
Questo non ha niente a che fare con l’invidia, o col desiderio di punire i ricchi, o con niente altro se non una accettazione di un compromesso: se noi scegliamo di raccogliere minori entrate dai ricchi di quelle che possiamo senza danneggiare l’economia, saremo costretti o a riscuotere più tasse o a fornire inferiori servizi preziosi a tutti gli altri.
[1] Il link nel testo inglese rinvia ad un “Munk Debate” che si sarebbe svolto tra due progressisti (Krugman ed il socialista greco George Papandreu) e due conservatori (il repubblicano Newt Gingrich e l’ex consulente economico di Reagan Arthur B. Leffer). I “Munk Debates” si tengono a Toronto, in Canada, e sono organizzati dalla associazione culturale “Aurea Foundation”, diretta da Peter Munk. Si svolgono sui temi principali della vita politica ed economica dal 2008. Nela blog Munk appare anche una stima dell’esito di questo dibattito più recente: pare che i progressisti (che godevano dei favori del 58% del pubblico in precedenza), abbiano ottenuto alla fine il consenso del 70% degli spettatori.
By mm
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