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Anche tu, Bernanke? (New York Times 23 giugno 2013)

 

Et Tu, Bernanke?

By PAUL KRUGMAN

Published: June 23, 2013

For the most part, Ben Bernanke and his colleagues at the Federal Reserve have been good guys in these troubled economic times. They have tried to boost the economy even as most of Washington seemingly either forgot about the jobless, or decided that the best way to cure unemployment was to intensify the suffering of the unemployed. You can argue — and I would — that the Fed’s activism, while welcome, isn’t enough, and that it should be doing even more. But at least it didn’t lose sight of what’s really important.

Until now.

Lately, Fed officials have been issuing increasingly strong hints that rather than doing more, they want to do less, that they are eager to start “tapering,” returning to normal monetary policy. The impression that the Fed is tired of trying so hard got even stronger last week, after a news conference in which Mr. Bernanke seemed quite happy to reinforce the message of an imminent reduction in stimulus.

 

The trouble is that this is very much the wrong signal to be sending given the state of the economy. We’re still very much living through what amounts to a low-grade depression — and the Fed’s bad messaging reduces the chances that we’re going to exit that depression any time soon.

The first thing you need to understand is how far we remain from full employment four years after the official end of the 2007-9 recession. It’s true that measured unemployment is down — but that mainly reflects a decline in the number of people actively seeking jobs, rather than an increase in job availability. Look, for example, at the fraction of adults in their prime working years (25 to 54) who have jobs; that ratio fell from 80 to 75 percent in the recession, and has since recovered only to 76 percent.

 

Given this grim reality — plus very low inflation — you have to wonder why the Fed is talking at all about reducing its efforts on the economy’s behalf.

Still, it’s just talk, right? Well, yes — but what the Fed says often matters as much as or more than what it does. This is inherent in the relationship between what the Fed more or less directly controls, namely short-term interest rates, and longer-term rates, which reflect expected as well as current short-term rates. Even if the Fed leaves short rates unchanged for now, statements that convince investors that these rates will be going up sooner rather than later will cause long rates to rise. And because long rates are what mainly matter for private spending, this will weaken growth and employment.

 

 

Sure enough, rates have shot up since the tapering talk started. Two months ago the benchmark interest rate on 10-year U.S. government bonds was only 1.7 percent, close to a historic low. Since then the rate has risen to 2.4 percent — still low by normal standards, but, as I said, this isn’t a normal economy. Maybe the economic recovery will, as the Fed predicts, continue and strengthen despite that increase in rates. But maybe not, and in any case higher rates will surely mean a slower recovery than we would have had if Fed officials had avoided all that talk of tapering.

Fed officials surely understand all of this. So what do they think they’re doing?

One answer might be that the Fed has quietly come to agree with critics who argue that its easy-money policies are having damaging side-effects, say by increasing the risk of bubbles. But I hope that’s not true, since whatever damage low rates may do is trivial compared with the damage higher rates, and the resulting rise in unemployment, would inflict.

 

In any case, my guess is that what’s really happening is a bit different: Fed officials are, consciously or not, responding to political pressure. After all, ever since the Fed began its policy of aggressive monetary stimulus, it has faced angry accusations from the right that it is “debasing” the dollar and setting the stage for high inflation — accusations that haven’t been retracted even though the dollar has remained strong and inflation has remained low. It’s hard to avoid the suspicion that Fed officials, worn down by the constant attacks, have been looking for a reason to slacken their efforts, and have seized on slightly better economic news as an excuse.

And maybe they’ll get away with it; maybe the economic recovery will strengthen and all will be well. But rising interest rates make that happy outcome less likely. And now that everyone knows that the Fed is eager to slacken off, it will be hard to get interest rates back down to where they were.

It’s sad and depressing, in both senses of the word. The fundamental reason our economy is still depressed after all these years is that so many policy makers lost the thread, forgetting that job creation was their most urgent task. Until now the Fed was an exception; but now it seems to be joining the club. Et tu, Ben?

 

Anche tu, Bernanke? Di Paul Krugman

New York Times 23 giugno 2013

 

In linea di massima Ben Bernanke ed i suoi colleghi, in questi tempi di difficoltà economiche, si sono comportati bene alla Federal Reserve. Hanno provato a sostenere l’economia anche se quasi tutti a Washington in apparenza si erano dimenticati della mancanza di lavoro, oppure avevano deciso che il modo migliore per curare la disoccupazione era intensificare le sofferenze dei disoccupati. Si può sostenere – è la mia posizione – che l’attivismo della Fed, per quanto benvenuto, non sia stato sufficiente, e che si dovrebbe fare ancora di più. Ma almeno essa non ha perso di vista quello che è realmente importante. Sino ad ora.

Ultimamente, i dirigenti della Fed hanno sempre più frequentemente espresso forti segnali secondo i quali, anziché fare di più, intenderebbero fare di meno, essendo ansiosi di avviare la fase di “restringimento”,  di ritorno alla normale politica monetaria. L’impressione che la Fed sia stanca di tentativi ardui è diventata nell’ultima settimana anche più forte, dopo una conferenza stampa nella quale Bernanke è apparso piuttosto contento di rafforzare il messaggio di una imminente riduzione dello “stimulus”.

Il guaio è che questo è per davvero il segnale sbagliato, date le condizioni dell’economia. Siamo ancora in mezzo a quella che si può definire una depressione di medio livello – ed i messaggi negativi della Fed riducono le possibilità che ci si avvii ad una uscita dalla depressione in tempi brevi.

La prima cosa che si deve capire è quanto siamo ancora distanti dalla piena occupazione, quattro anni dopo la fine ufficiale della recessione del 2007-2009. E’ vero che la disoccupazione ufficiale è diminuita – ma questo riflette principalmente un declino nel numero delle persone che stanno attivamente cercando un posto di lavoro, piuttosto che un aumento della disponibilità di lavoro. Si veda, ad esempio, la parte di adulti che hanno un lavoro durante il loro principale periodo lavorativo (dai 25 ai 54 anni) [1]; nella recessione quella percentuale è caduta dall’80 al 75 per cento, e da allora è risalita soltanto al 76 per cento.

Data questa triste realtà – alla quale bisogno aggiungere una inflazione molto bassa – c’è da chiedersi perché la Fed stia apertamente parlando  di ridurre i propri sforzi nell’interesse dell’economia.

Ma si tratta solo di parole, non è così? Ebbene, si – ma quello che dice la Fed spesso conta lo stesso se non di più di quello che fa. Questo dipende dalla relazione tra quello che la Fed più o meno direttamente controlla, precisamente i tassi di interesse a breve termine,  ed i tassi di interesse a più lungo termine, che riflettono le aspettative altrettanto degli attuali tassi a breve termine. Anche se la Fed lascia per il momento immutati i tassi a breve, le dichiarazioni che persuadono gli investitori sul fatto che questi tassi saliranno, più prima che poi, provocheranno una crescita dei tassi a lungo termine. E poiché i tassi a lungo termine sono quelli che principalmente contano per la spesa privata, questo indebolirà la crescita e l’occupazione.

Come era prevedibile, i tassi hanno fatto un balzo dal momento in cui sono cominciati i discorsi sulla restrizione. Due mesi fa il tasso di interesse di riferimento sui bonds decennali statunitensi era soltanto l’1,7 per cento. Da allora è salito al 2,4 per cento – ancora basso per i normali standards, ma, come ho detto, questa non è un’economia normale. Forse, come la Fed prevede, la ripresa economica continuerà e si rafforzerà nonostante la crescita dei tassi. Ma forse no, e in ogni caso tassi più elevati significheranno sicuramente una ripresa più lenta di quella che avremmo avuto se i dirigenti della Fed avessero evitato tutto quel gran parlare di restrizione.

I dirigenti della Fed certamente capiscono tutto questo. Che cosa dunque pensano di star facendo?

Una risposta potrebbe essere che la Fed è giunta sommessamente a concordare con i critici che sostengono che le politiche del denaro facile stiano avendo effetto collaterali dannosi, ad esempio aumentando il rischio di bolle. Ma io spero che questo non sia vero, dal momento che qualsiasi danno possano fare i bassi tassi esso è banale al confronto con il danno che provocheranno gli alti tassi, e con la conseguente crescita della disoccupazione.

In ogni caso, la mia impressione su quello che sta davvero succedendo è un po’ diversa: i dirigenti della Fed, consapevolmente o meno, stanno rispondendo a pressioni politiche. Dopo tutto, dal momento in cui la Fed ha cominciato la sua politica di aggressivo sostegno monetario, ha dovuto far fronte ad indispettite accuse dalla destra, in quanto stava “svalutando” il dollaro e disponendo uno scenario di elevata inflazione – accuse che non sono state ritirate anche se il dollaro è rimasto forte e l’inflazione è rimasta bassa. E’ difficile non avere il sospetto che i dirigenti della Fed, sfiniti dagli attacchi continui, abbiano cercato un motivo per allentare i loro sforzi, ed abbiano sfruttato le notizie economiche leggermente migliori come un pretesto.

E forse in quel modo la faranno franca; forse la ripresa economica si rafforzerà e tutto andrà bene. Ma i tassi di interesse crescenti rendono meno probabile un felice sito di questo genere. Ed ora che tutti sanno che la Fed è ansiosa di arrivare ad una stretta, sarà difficile che i tassi di interesse tornino al punto in cui erano.

Questo è triste e deprimente, in tutti i sensi possibili della parola. La ragione principale per la quale la nostra economia dopo tutti questi anni è ancora depressa, è che molti uomini politici avevano perso il filo, dimenticando che la creazione di posti di lavoro era il loro compito più urgente. Sinora la Fed era una eccezione; ora sembra stia entrando nel gruppo. Anche tu, Ben?



[1] Si tratta di un riferimento statistico frequente. Lo scopo è quello di fornire un dato il meno possibile influenzato da fattori demografici variabili, che in genere si concentrano nelle classi di età dei più giovani e dei più anziani.

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