Blog di Krugman

Ben Bernanke sostiene una aliquota fiscale al 73 per cento (3 giugno 2013)

Ben Bernanke Endorses A 73 Percent Tax Rate

 

OK, he didn’t actually say that in so many words. But if you follow through on the logic of his excellent speech at Princeton yesterday, that’s where you end up.

Actually, there were several things Bernanke said that were politically controversial. When he declared that

physical beauty is evolution’s way of assuring us that the other person doesn’t have too many intestinal parasites

he was endorsing the theory of evolution — which puts him at odds with a large majority of Republicans, 58 percent of whom believe that man was created in his present form within the last 10,000 years.

But the big thing in Bernanke’s remarks was his discussion of the obligations of the successful, even within a supposedly meritocratic society:

We have been taught that meritocratic institutions and societies are fair. Putting aside the reality that no system, including our own, is really entirely meritocratic, meritocracies may be fairer and more efficient than some alternatives. But fair in an absolute sense? Think about it. A meritocracy is a system in which the people who are the luckiest in their health and genetic endowment; luckiest in terms of family support, encouragement, and, probably, income; luckiest in their educational and career opportunities; and luckiest in so many other ways difficult to enumerate–these are the folks who reap the largest rewards. The only way for even a putative meritocracy to hope to pass ethical muster, to be considered fair, is if those who are the luckiest in all of those respects also have the greatest responsibility to work hard, to contribute to the betterment of the world, and to share their luck with others.

 

OK, this is, whether BB realizes it or not (he probably does) basically a Rawlsian view of the world, in which you think of life as a kind of lottery in which you draw a ticket that includes things like your genetic endowment as well as the wealth of your parents. And what you’re supposed to do, ethically, is support the economic and social system you would choose if you had to enter that lottery not knowing what ticket you were going to draw — if you were making political choices behind the “veil of ignorance”.

 

As soon as you portray the choice that way, you’ve introduced a strong presumption in favor of redistribution. After all, if you should happen to end up as a member of the top 1 percent, an extra dollar at the margin won’t mean a lot to you; but if you should happen to end up as a member of, say, the bottom quintile, an extra dollar could make a lot of difference. So you should, other things equal, favor a system of progressive taxation and generous aid to the poor and unlucky.

 

So why not favor complete leveling, America as Cuba? Because for many reasons, both economic and political, we favor a market economy in which people make decentralized decisions about working, saving, and so on. And this means that incentive effects become important; you can’t levy 100 percent taxation on the rich, or completely insulate the poor from any consequences of low income, without destroying the incentives you need to make the economy work.

 

The question then becomes one of numbers. In particular, how high should we set the top tax rate? From a Rawlsian perspective, the key thing about very high incomes is that making them a bit higher or lower basically doesn’t matter — if you are lucky enough to find yourself in the top 0.1 percent (say), the marginal value of a dollar to your welfare is trivial compared with the value of that dollar to almost anyone else. So the top tax rate should be set solely with regard to the amount of money it raises for other purposes; essentially, you should soak the rich up to the point where any further rise in the tax rate would actually reduce revenue.

And we have a pretty good idea, based on careful statistical studies, of where that optimal top rate lies; 73 percent, say Diamond and Saez, maybe 80 percent, say Romer and Romer.

Does this sound wildly radical to you? Well, it’s just where the logic and evidence take you once you adopt a more or less Rawlsian view of social justice — which is exactly what Ben Bernanke did at Princeton.

Some people have suggested that BB’s speech had a touch of radicalism to it. Little did they know!

Ben Bernanke sostiene una aliquota fiscale al 73 per cento

Va bene, Non ha effettivamente detto questo in così tante parole. Ma se seguite la logica del suo eccellente discorso a Princeton di ieri, è lì che andate a finire.

In effetti, ci sono state alcune cose che Bernanke ha detto che erano politicamente controverse. Quando ha dichiarato che:

“la bellezza fisica è il modo nel quale l’evoluzione ci rassicura che l’altra persona non ha troppi parassiti intestinali …”

egli stava sostenendo la teoria dell’evoluzione – la qual cosa lo pone in contrasto con una larga maggioranza di repubblicani, il 58 per cento dei quali crede che l’uomo sia stato creato nella sua forma presente entro gli ultimi 10.000 anni.

Ma la cosa importante tra le osservazioni di Bernanke è stata la sua esposizione degli obblighi della persona di successo, anche all’interno di una sedicente società meritocratica:

“Abbiamo imparato che le istituzioni meritocratiche e le società sono giuste. A parte il fatto che nessun sistema, compreso il nostro, non è realmente interamente meritocratico, le meritocrazie possono essere più giuste e più efficaci di alcune alternative. Ma giuste in senso assoluto? Riflettiamoci. Una meritocrazia è un sistema nel quale le persone che sono più fortunate nella loro salute e nel loro capitale genetico: più fortunate in termini di sostegno familiare, di stimoli e verosimilmente di reddito; più fortunate nelle loro opportunità di istruzione e di carriera; e più fortunate in tanti altri modi che non è semplice  elencare – questi sono gli individui che raccolgono i più ampi riconoscimenti. Il solo modo persino per una presunta meritocrazia di guadagnarsi quella reputazione morale, di essere considerata giusta, è che coloro che sono i più fortunati sotto tutti questi aspetti abbiano anche la maggiore responsabilità di lavorare duramente, di contribuire al progresso del mondo, e di condividere la loro fortuna con gli altri.”

Va bene, questo è, che Ben Bernanke lo comprenda o meno (probabilmente lo comprende) fondamentalmente un punto di vista ‘rawlsiano’ [1] sul mondo, secondo il quale si pensa alla vita come ad una specie di lotteria nella quale si estrae un biglietto che comprende cose come il vostro corredo genetico in aggiunta alla salute dei vostri genitori. E quello che si suppone che facciate, da un punto di vista etico, è sostenere il sistema economico e sociale che avreste scelto se foste entrati in quella lotteria non sapendo quale biglietto stavate per estrarre – come se steste facendo le vostre scelte politiche dietro il “velo dell’ignoranza”.

Appena considerate la vostra scelta in quel modo, avete introdotto un forte pregiudizio a favore della redistribuzione. Dopo tutto, se vi fosse accaduto di finire col far parte dell’1 per cento dei più ricchi, un dollaro in più al margine non significherebbe granché; ma se vi fosse accaduto di essere, diciamo, un componente dell’ultimo quintile, un dollaro in più potrebbe fare bel po’ di  differenza. Dunque dovreste, fermo restando tutto il resto, essere a favore di un sistema di tassazione progressiva e di un aiuto generoso ai poveri ed ai meno fortunati.

Perché dunque non essere a favore di un livellamento totale, l’America come Cuba? Perché, per molte ragioni, noi siamo per una economia di mercato nella quale le persone assumono decisioni decentralizzate sul lavoro, sui risparmi e su tutto il resto. E questo significa che gli effetti di incentivazione diventano importanti; non si possono imporre tasse del 100 per cento sui ricchi, o proteggere interamente i poveri dalle conseguenze dei redditi bassi, senza distruggere gli incentivi di cui c’è bisogno perché l’economia funzioni.

La domanda diventa dunque una questione di numeri. In particolare, quanto dovremmo collocare in alto l’aliquota fiscale sui più ricchi? In una prospettiva rawlsiana, la questione fondamentale per i redditi altissimi è che farli diventare un po’ più alti o un po’ più bassi non è importante – se, diciamo, si è fortunati abbastanza da ritrovarsi all’apice dello 0,1 per cento, il valore marginale di un dollaro per il vostro benessere è banale a confronto del valore di quel dollaro per quasi tutti gli altri. Dunque, l’aliquota fiscale per i più ricchi dovrebbe essere stabiliti unicamente  in relazione alla quantità di denaro che essa accresce per altri scopi; essenzialmente, si dovrebbero spremere i ricchi sino al punto nel quale ogni ulteriore aumento della aliquota fiscale effettivamente ridurrebbe le entrate.

E abbiamo un’idea abbastanza precisa, basata su studi statistici scrupolosi, di dove collocare tale aliquota per i più ricchi; al 73 per cento, dicono Diamond e Saez, forse all’80 per cento dicono Romer e Romer [2].

Vi suona esageratamente radicale? Bene, è dove porta  la logica e l’esperienza una volta che si adotti il punto di vista rawlsiano sulla giustizia sociale – che è esattamente ciò che ha fatto Ben Bernanke a Princeton.

Alcuni hanno suggerito che il discorso di Ben Bernanke ha dato a tutto ciò un tocco di radicalismo. Se ne intendevano poco!

 



[1] John Bordley Rawls (Baltimora, 21 febbraio 1921Lexington, 24 novembre 2002) è stato un filosofo statunitense, figura di spicco della filosofia morale e politica. E’ stato James Bryant Conant University Professor presso la Harvard University. Il vero grande problema della filosofia politica è costituito, secondo John Rawls, non dalla ricerca del bene comune, ma da un’adeguata nozione di giustizia e da un’altrettanto adeguata procedura per comprendere come le nostre istituzioni possono essere più giuste. Il concetto di giusto deve essere considerato prioritario rispetto al bene nella teoria morale, e questo perché, se avviene il contrario, il rischio è quello di non riuscire più ad ottenere una definizione autonoma e indipendente di giustizia. Se è il bene ciò che conta, tutto ciò che massimizza il bene non può che essere giusto e ciò comporta spesso conseguenze moralmente pericolose e controintuitive. L’insistenza sulla priorità della giustizia è al centro della nota critica di Rawls all’utilitarismo, che volendo a tutti i costi massimizzare la felicità comune, semplice somma delle felicità individuali, può giungere a considerare legittima, in certi casi, la violazione di alcune libertà fondamentali. (Wikipedia)

 Rawls

 

 

 

 

 

 

 

 

[2] Sono marito e moglie …

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