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Contendere il futuro (New York Times 16 giugno 2013)

 

Fight the Future

By PAUL KRUGMAN

Published: June 16, 2013

 

Last week the International Monetary Fund, whose normal role is that of stern disciplinarian to spendthrift governments, gave the United States some unusual advice. “Lighten up,” urged the fund. “Enjoy life! Seize the day!”

O.K., fund officials didn’t use quite those words, but they came close, with an article in IMF Survey magazine titled “Ease Off Spending Cuts to Boost U.S. Recovery.” In its more formal statement, the fund argued that the sequester and other forms of fiscal contraction will cut this year’s U.S. growth rate by almost half, undermining what might otherwise have been a fairly vigorous recovery. And these spending cuts are both unwise and unnecessary.

 

 

Unfortunately, the fund apparently couldn’t bring itself to break completely with the austerity talk that is regarded as a badge of seriousness in the policy world. Even while urging us to run bigger deficits for the time being, Christine Lagarde, the fund’s head, called on us to “hurry up with putting in place a medium-term road map to restore long-run fiscal sustainability.”

So here’s my question: Why, exactly, do we need to hurry up? Is it urgent that we agree now on how we’ll deal with fiscal issues of the 2020s, the 2030s and beyond?

 

No, it isn’t. And in practice, focusing on “long-run fiscal sustainability” — which usually ends up being mainly about “entitlement reform,” a k a cuts to Social Security and other programs — isn’t a way of being responsible. On the contrary, it’s an excuse, a way to avoid dealing with the severe economic problems we face right now.

 

What’s the problem with focusing on the long run? Part of the answer — although arguably the least important part — is that the distant future is highly uncertain (surprise!) and that long-run fiscal projections should be seen mainly as an especially boring genre of science fiction. In particular, projections of huge future deficits are to a large extent based on the assumption that health care costs will continue to rise substantially faster than national income — yet the growth in health costs has slowed dramatically in the last few years, and the long-run picture is already looking much less dire than it did not long ago.

 

 

Now, uncertainty by itself isn’t always a reason for inaction. In the case of climate change, for example, uncertainty about the impact of greenhouse gases on global temperatures actually strengthens the case for action, to head off the risk of catastrophe.

But fiscal policy isn’t like climate policy, even though some people have tried to make the analogy (even as right-wingers who claim to be deeply concerned about long-term debt remain strangely indifferent to long-term environmental concerns). Delaying action on climate means releasing billions of tons of greenhouse gases into the atmosphere while we debate the issue; delaying action on entitlement reform has no comparable cost.

 

In fact, the whole argument for early action on long-run fiscal issues is surprisingly weak and slippery. As I like to point out, the conventional wisdom on these things seems to be that to avert the danger of future benefit cuts, we must act now to cut future benefits. And no, that isn’t much of a caricature.

 

Still, while a “grand bargain” that links reduced austerity now to longer-run fiscal changes may not be necessary, does seeking such a bargain do any harm? Yes, it does. For the fact is we aren’t going to get that kind of deal — the country just isn’t ready, politically. As a result, time and energy spent pursuing such a deal are time and energy wasted, which would be better spent trying to help the unemployed.

 

Put it this way: Republicans in Congress have voted 37 times to repeal health care reform, President Obama’s signature policy achievement. Do you really expect those same Republicans to reach a deal with the president over the nation’s fiscal future, which is closely linked to the future of federal health programs? Even if such a deal were somehow reached, do you really believe that the G.O.P. would honor that deal if and when it regained the White House?

 

 

When will we be ready for a long-run fiscal deal? My answer is, once voters have spoken decisively in favor of one or the other of the rival visions driving our current political polarization. Maybe President Hillary Clinton, fresh off her upset victory in the 2018 midterms, will be able to broker a long-run budget compromise with chastened Republicans; or maybe demoralized Democrats will sign on to President Paul Ryan’s plan to privatize Medicare. Either way, the time for big decisions about the long run is not yet.

 

And because that time is not yet, influential people need to stop using the future as an excuse for inaction. The clear and present danger is mass unemployment, and we should deal with it, now.

 

Contendere il futuro, di Paul Krugman

New York Times 16 giugno 2013

 

 

La scorsa settimana il Fondo Monetario Internazionale, la cui normale funzione è quella di rigido controllore di governi spendaccioni, ha dato agli Stati Uniti un consiglio inconsueto: “Rilassatevi” ha insistito il Fondo, “Godetevi la vita! Cogliete l’attimo fuggente!”

E’ vero, i dirigenti del Fondo non si sono espressi in questo modo, ma ci sono andati vicini con un articolo sulla rivista IMF Survey dal titolo “Allentare i tagli alla spesa per incoraggiare la ripresa degli Stati Uniti”. Nella sua dichiarazione più formale, il fondo ha sostenuto che il cosiddetto ‘sequestro’ e le altre forme di restrizione della finanza pubblica ridurranno di almeno la metà il tasso di crescita di quest’anno degli Stati Uniti, mettendo a repentaglio quella che altrimenti potrebbe essere una ripresa abbastanza vigorosa.  E questi tagli alla spesa sono sia imprudenti che inutili.

Sfortunatamente, il Fondo non può spingersi a rompere completamente con il discorso di austerità che è considerato come un distintivo di serietà nel mondo politico. Anche se invitandoci a sostenere deficit più elevati al presente, Christine Lagarde, la Presidentessa del Fondo, ci ha richiamati ad “accelerare la messa in opera di una road map di medio termine per ripristinare la sostenibilità delle finanze pubbliche nel lungo periodo”.

Ecco dunque la mia domanda: perché, esattamente, abbiamo bisogno di accelerare? E’ urgente che stabiliamo adesso quello che faremo dei problemi di finanza pubblica del 2020, del 2030 ed oltre?

No, non lo è. E in pratica concentrarci sulla “sostenibilità della finanza pubblica nel lungo periodo” – che normalmente finisce soprattutto col riguardare una “riforma dei programmi assistenziali”, vale a dire tagli alla Sicurezza Sociale e ad altri programmi – non è un modo per essere responsabili. Al contrario è un pretesto, un modo per evitare di misurarsi con i gravi problemi economici con i quali facciamo i conti in questo momento.

Quale è il  l’obiezione al   concentrarci sul lungo periodo? In parte la risposta – anche se probabilmente è la parte meno importante – è che il lontano futuro è del tutto incerto (ma guarda!) e le prospettive della finanza pubblica dovrebbero essere considerate come un ramo particolarmente noioso della fantascienza.  In particolare, la prospettiva di grandi deficit futuri è in larga misura basata sull’assunto che i costi della assistenza sanitaria continueranno a crescere in modo sostanzialmente più veloce del reddito nazionale – tuttavia la crescita dei costi sanitari è rallentata in modo spettacolare negli ultimi anni, e il quadro di lungo termine appare già assai meno terribile di non molto tempo fa.

Ora, l’incertezza non è sempre di per sé una ragione per star fermi. Nel caso dei cambiamenti climatici, ad esempio, l’incertezza sugli impatti dei ‘gas serra’ sulle temperature globali in effetti rafforza l’argomento dell’agire, al fine di sbarrare la strada al rischio di una catastrofe.

Ma la politica della finanza pubblica non è la stessa cosa della politica sul clima, anche se alcuni hanno cercato di stabilire una analogia (e pur se la destra, che pretende di essere profondamente preoccupata sul debito a lungo termine, resta stranamente indifferente alle preoccupazioni ambientali per il futuro). Rinviare l’iniziativa sul clima comporta il rilascio di miliardi di tonnellate di gas serra nell’atmosfera mentre il dibattito è in corso; rinviare l’iniziativa sui programmi assistenziali non ha alcun costo paragonabile.

Nei fatti, l’intera argomentazione per una iniziativa anticipata sui temi della finanza pubblica del futuro è sorprendentemente debole e scivolosa. Come sono solito far notare, in queste cose la saggezza convenzionale sembra consistere nel fatto che per evitare il pericolo di futuri tagli ai sussidi assistenziali, si debba provvedere sin d’ora a tagliare i sussidi del futuro. Diciamolo, questa non è niente di più che una caricatura.

Inoltre, se un “grande accordo” che metta in collegamento una riduzione dell’austerità odierna con cambiamenti nella finanza pubblica di lungo periodo non sembra necessario, è magari possibile che produca danno? Si, certamente. Perché la verità è che non siamo vicini ad un accordo del genere – il paese proprio non è pronto, da un punto di vista politico. Di conseguenza, tempo ed energia per perseguire un tale accordo, sono tempo ed energia sprecati, che sarebbe meglio spendere nel cercare di aiutare i disoccupati.

Diciamo così: i Repubblicani nel Congresso hanno votato 37 volte per abrogare la riforma della assistenza sanitaria, il risultato distintivo della politica del Presidente Obama. Vi aspettate davvero che gli stessi Repubblicani raggiungano un accordo con il Presidente sul futuro della finanza pubblica della nazione, che è intimamente connesso al futuro dei programmi sanitari federali? Anche se un accordo del genere fosse in qualche modo raggiunto, credete davvero che il Partito Repubblicano onorerebbe tale accordo se e quando riconquistasse la Casa Bianca?

Quando saremo pronti per un accordo a lungo termine sulla finanza pubblica? La mia risposta è, una volta che gli elettori si saranno pronunciati definitivamente per l’una o l’altra delle opposte concezioni che sono all’origine della nostra attuale polarizzazione politica. Può darsi che la Presidentessa Hillary Clinton, resa raggiante dalla sua impressionante vittoria nelle elezioni di medio termine del 2018 [1], sarà nelle condizioni di negoziare un bilancio di compromesso a lungo termine con i Repubblicani “pentiti”; o magari i Democratici demoralizzati daranno il loro consenso ad un programma di privatizzazione di Medicare del Presidente Paul Ryan. In ogni modo, non è ancora il tempo per grandi decisioni sul futuro.

E poiché non è ancora il tempo, è necessario che le persone influenti smettano di usare il futuro come un pretesto per l’immobilismo. Il pericolo chiaro ed attuale è la disoccupazione di massa e dovremmo misurarci su quello, adesso.



[1] Ovviamente si tratta di un molteplice ipotesi: che la Clinton venga scelta alle future primarie dei Democratici, che vinca le elezioni presidenziali del 2016 e che abbia poi anche un successo clamoroso nelle elezioni di medio termine del 2018. Ovvero, che tutto vada a gonfie vele per i Democratici, il che li autorizzerebbe a gestire un compromesso avanzato con i Repubblicani sul futuro dello Stato Assistenziale americano. Il caso contrario, è invece quello di una vittoria del possibile candidato repubblicano Paul Ryan, nel qual caso sarebbero i Democratici ad “andare a Canossa”.

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