June 18, 2013, 10:29 am
My dialogue with Monti, to the extent that it was a “debate”, focused on the whole issue of structural reform; not on whether it’s a good thing (of course it depends on what’s being reformed, but surely every economy has structural problems that need work), but on whether it deserves the kind of star billing it gets in discussions of crisis response. More on that in another post, I think.
What I want to talk about right now is a different issue that cropped up (not with Monti, but elsewhere); the assertion that globalization has changed the rules for macroeconomics.
Now, there were some assertions to the effect that this crisis was totally different from 1929, because that wasn’t a global crisis — which those of us who know a bit about the history found jaw-dropping. Of course 1929 was global. And in general people tend to be strangely unaware of the extent to which a global system of trade and finance existed before World War I. Keynes memorably wrote about this system in The Economic Consequences of the Peace:
What an extraordinary episode in the economic progress of man that age was which came to an end in August, 1914! … The inhabitant of London could order by telephone, sipping his morning tea in bed, the various products of the whole earth, in such quantity as he might see fit, and reasonably expect their early delivery upon his doorstep; he could at the same moment and by the same means adventure his wealth in the natural resources and new enterprises of any quarter of the world, and share, without exertion or even trouble, in their prospective fruits and advantages; or be could decide to couple the security of his fortunes with the good faith of the townspeople of any substantial municipality in any continent that fancy or information might recommend.
Yet it would be wrong to suggest that all we have done is return to a pre-World War I level of globalization. That was arguably true into the early 1970s, but since then trade in manufactured goods –driven largely by falling transport costs and the advent of containerization — has indeed reached previously unseen levels (pdf):
The question is, does this change macroeconomics in a fundamental way? In particular, does it mean that nations no longer have much control over their own destiny, even if they retain their own currencies?
I say no. There are several reasons for this, but one important point is the nature of that rapid growth in manufactures trade. For it mainly involves vertical specialization, breaking up the value chain, so that in the course of producing $1 of final consumer goods one may have several dollars’ worth of trade. The gains from this trade are as real as those from any kind of trade; but the macro implications are different. Put it this way: while we trade a lot more than we used to, we probably if anything spend a higher share of our income on nontraded goods and (mostly) services than we did a few decades ago, and maybe even more than in 1913.
As a result, statements you commonly hear, like “Stimulus doesn’t work, because all the money ends up being spent on stuff made in China”, are just not true. Actually, even a dollar spent on Chinese-made consumer goods has a large U.S. value-added component. Yes, some demand leaks abroad — but not nearly as much as people imagine. In general, I’d argue that the rules for macro policy have changed relatively little since the 1930s, and globalization certainly hasn’t produced a qualitative change.
A while back Mark Thoma joked that “new economic thinking means reading old books”. And it should: those old books remain deeply relevant.
Globalizzazione e macroeconomia
Il mio dialogo con Monti, nella misura in cui è stato un “dibattito”, verteva sulla tematica complessiva delle riforme strutturali; non se siano una buona cosa (naturalmente ciò dipende da cosa si sta riformando, ma certamente ogni economia ha problemi strutturali che richiedono interventi), ma se esse meritino quel ruolo di azioni di supporto [1] che hanno nei dibattiti sulla risposta alla crisi. Penso che tornerò sul tema in un altro post.
Quello che voglio dire in questo momento è al riguardo di una differente questione che è affiorata (non con Monti, ma in qualche altra occasione); il concetto che la globalizzazione abbia cambiato le regole della macroeconomia.
Ora, ci sono state alcune dichiarazioni riguardo al fatto che questa crisi sia stata del tutto diversa da quella del 1929, perché quella non fu una crisi globale – il che lascia un po’ con la bocca aperta coloro tra noi che conoscono un po’ di storia. Naturalmente il 1929 fu globale. E in generale le persone tendono ad essere stranamente inconsapevoli della misura in cui un sistema globale di commerci e di finanza esisteva prima delle Prima Guerra Mondiale. Keynes scrisse parole memorabili su questo sistema in “Le Conseguenze economiche della pace”:
“Quale straordinario episodio nel progresso economico dell’umanità fu quel periodo che giunse al termine nell’agosto del 1914! …. Un cittadino di Londra poteva ordinare per telefono, nel mentre sorseggiava il suo tè del mattino al letto, i vari prodotti della terra intera, nelle quantità che gli sembravano opportune, e ragionevolmente attendere la loro pronta consegna sulla sua soglia; poteva nello stesso momento e con il solito sistema rischiare la sua ricchezza in risorse naturali ed in nuove imprese in ogni angolo del mondo e partecipare, senza sforzo e senza neppure difficoltà, dei loro frutti e dei loro vantaggi; oppure poteva [2] decidere di raddoppiare la sicurezza delle sue fortune con la fiducia dei cittadini di ogni rilevante comune in ogni continente che l’immaginazione o la informazione gli potevano consigliare”.
Tuttavia sarebbe sbagliato dedurne che quello che abbiamo fatto è stato di tornare al livello di globalizzazione precedente la Prima Guerra Mondiale. Questo era probabilmente vero sino ai primi anni ’70, ma da allora il commercio nei beni manifatturieri – sospinto in larga parte dalla caduta dei costi di trasporto e dall’avvento dell’uso dei containers – ha in effetti raggiunto livelli mai visti in precedenza (connessione con pdf):
La domanda è: questo cambia in modo fondamentale la macroeconomia? In particolare, significa che le nazioni non hanno più un gran controllo sul loro proprio destino, anche se mantengono le loro valute?
Io dico di no. Ci sono varie ragioni per questo, ma un punto importante è la natura di quella rapida crescita nei commerci dei beni manifatturieri. Perché essa riguarda principalmente la specializzazione verticale, scomponendo la catena del valore, cosicché nel corso della produzione di 1 dollaro di beni finali di consumo si può avere l’equivalente di vari dollari di commerci. I guadagni di questi commerci sono altrettanto reali di quelli di ogni altro genere di commercio; ma le implicazioni macroeconomiche sono diverse. Diciamo così: mentre commerciamo un po’ di più di quanto eravamo abituati, probabilmente soprattutto spendiamo una parte più elevata del nostro reddito in beni che non vengono scambiati e (in gran parte) in servizi, rispetto a quanto facevamo pochi decenni orsono, e più ancora forse rispetto al 1913.
Di conseguenza, le affermazioni che si sentono comunemente, come “Le misure di sostegno non funzionano, perché tutto il denaro finisce con l’essere speso per roba fabbricata in Cina”, sono proprio non vere. Effettivamente, persino un dollaro speso per beni di consumo fabbricati in Cina ha una grande componente di valore aggiunto statunitense. Sì, un po’ di domanda si perde all’estero – ma neppure lontanamente così grande come le persone si immaginano. In generale, direi che le regole per la politica macro sono cambiate relativamente poco dagli anni ’30, e la globalizzazione certamente non ha prodotto una mutamento di qualità.
Un po’ di tempo fa Mark Thoma scherzava scrivendo che “il nuovo pensiero economico significa leggere vecchi libri”. E così dovrebbe essere: quei vecchi libri restano sostanzialmente rilevanti.
[1] “Star billing” (Wordreferencecom English definition, Forum del 17/01/2007) pare che siano quegli artisti che, ad esempio in un concerto, sono di supporto al protagonista che in genere appare per ultimo. E “billing” deriverebbe da “bills”, ovvero dai manifesti pubblicitari dei concerti. Adatto un po’ la traduzione al contesto.
[2] Nel testo inglese c’è un errore, non “be” ma “he”.
[1] “Star billing” (Wordreferencecom English definition, Forum del 17/01/2007) pare che siano quegli artisti che, ad esempio in un concerto, sono di supporto al protagonista che in genere appare per ultimo. E “billing” deriverebbe da “bills”, ovvero dai manifesti pubblicitari dei concerti. Adatto un po’ la traduzione al contesto.
[2] Nel testo inglese c’è un errore, non “be” ma “he”.
By mm
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