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Investire, disinvestire e prosperare (New York Times 27 giugno 2013)

 

Invest, Divest and Prosper

By PAUL KRUGMAN

Published: June 27, 2013

 

It has been a busy news week, what with voting rights, gay marriage and Paula Deen. Even so, it’s remarkable how little attention the news media gave to President Obama’s new “climate action plan.” Discount, if you like, the terrific speech he gave when unveiling the proposal; this is, nonetheless, a very big deal. For this time around, Mr. Obama wasn’t touting legislation we know won’t pass. The new plan is, instead, designed to rely on executive action. This means that, unlike earlier efforts to address climate change, it can bypass the anti-environmentalists who control the House of Representatives.

 

 

Republicans realize this, and they’re stamping their feet in frustration. All they can do, it seems, is fulminate (and perhaps scare the administration into backing down). Interestingly, however, right now they don’t seem eager to attack climate science, maybe because that would make them sound unreasonable (which they are). Instead, they’re going for the economic angle, denouncing the Obama administration for waging a “war on coal” that will destroy jobs.

And you know what? They’re half-right. The new Obama plan is, to some extent, a war on coal — because reducing our use of coal is, necessarily, going to be part of any serious effort to reduce greenhouse gas emissions. But making war on coal won’t destroy jobs. In fact, serious new regulation of greenhouse emissions could be just what our economy needs.

 

So, what is the plan? Mainly, Mr. Obama announced his intention to use the powers of the Environmental Protection Agency to impose limits on carbon emissions from power plants. Such plants aren’t the only source of greenhouse gases, but they do account for about 40 percent of emissions. Furthermore, regulating power-plant emissions is standard practice; we already have policies limiting these plants’ emissions of pollutants such as sulfur dioxide and mercury, so adding carbon to the list isn’t that much of a departure, at least in principle.

But wouldn’t imposing carbon limits raise the cost of electricity? And wouldn’t that destroy jobs? The answer is, yes and no.

Yes, new rules on carbon emissions would increase the costs of electricity generation. Power companies would probably close some old coal-fired plants, turning to more expensive lower-emission alternatives — to some extent renewables like wind, but mainly natural gas. Furthermore, they would be forced to invest in new capacity to replace the old sources.

All of this would, indeed, lead to somewhat higher electricity bills — although not nearly as high as the usual suspects claim. It’s kind of funny, actually: right-wingers love to praise the power of free markets and declare that the private sector can deal with any problem, but then turn around and insist that the private sector will just throw up its hands in despair and collapse in the face of new environmental rules. The actual lesson of history — for example, from efforts to protect the ozone layer and reduce acid rain — is that business can generally reduce emissions much more cheaply than you think, as long as regulation is flexible to allow innovative solutions.

 

Still, there will be some cost. Won’t this destroy jobs? Actually, no.

It’s always important to remember that what ails the U.S. economy right now isn’t lack of productive capacity, but lack of demand. The housing bust, the overhang of household debt and ill-timed cuts in public spending have created a situation in which nobody wants to spend; and because your spending is my income and my spending is your income, this leads to a depressed economy over all.

 

How would forcing the power industry to clean up its act worsen this situation? It wouldn’t, because neither costs nor lack of capacity are constraining the economy right now.

 

And, as I’ve already suggested, environmental action could actually have a positive effect. Suppose that electric utilities, in order to meet the new rules, decide to close some existing power plants and invest in new, lower-emission capacity. Well, that’s an increase in spending, and more spending is exactly what our economy needs.

O.K., it’s still not clear whether any of this will happen. Some of the people I talk to are cynical about the new climate initiative, believing that the president won’t actually follow through. All I can say is, I hope they’re wrong.

Near the end of his speech, the president urged his audience to: “Invest. Divest. Remind folks there’s no contradiction between a sound environment and strong economic growth.” Normally, one would be tempted to dismiss this as the sound of someone waving away the need for hard choices. But, in this case, it was simple good sense: We really can invest in new energy sources, divest from old sources, and actually make the economy stronger. So let’s do it.

 

Investire, disinvestire e prosperare, di Paul Krugman

New York Times 27 giugno 2013

 

E’ stata una settimana densa di notizie: i diritti elettorali, il matrimonio dei gay e Paula Deen [1]. Anche tenuto conto di ciò, si deve rilevare quanta poca attenzione i media abbiano riservato al nuovo “piano di azione sul clima” del Presidente Obama. Lasciate pure da parte, se preferite, il magnifico discorso da lui pronunciato in occasione della presentazione delle sue proposte; nondimeno, si tratta di un fatto importante. Questa volta Obama non ha sollecitato  una legislazione che sappiamo non destinata ad essere approvata. Invece, il nuovo piano è destinato a basarsi sulla iniziativa dell’esecutivo. Questo significa che, diversamente da precedenti tentativi di affrontare i cambiamenti climatici, esso può aggirare gli antiambientalisti che hanno il controllo della Camera dei Rappresentanti.

I Repubblicani lo capiscono, per questo puntano i piedi un po’ frustrati. Tutto quello che possono fare, sembra, è scagliarsi contro (e forse intimorire la Amministrazione a tornare indietro). E’ interessante, tuttavia, che essi in questo momento non sembrino ansiosi di attaccare la scienza del clima, forse a causa del fatto che apparirebbero irragionevoli (quali sono). Piuttosto, scelgono un punto di vista economico, denunciando la Amministrazione Obama di intraprendere una “guerra al carbone” che distruggerà posti di lavoro.

E sapete quale è il punto? Hanno mezza ragione. In qualche misura, il piano di Obama è una guerra al carbone – perché la riduzione dell’uso del carbone è necessariamente destinata ad essere parte di qualsiasi serio sforzo di riduzione delle emissioni dei gas serra. Ma fare la guerra al carbone non distruggerà posti di lavoro. Di fatto, un nuovo serio regolamento delle emissioni dei gas serra potrebbe essere proprio quello di cui la nostra economia ha bisogno.

In cosa consiste, dunque, il piano? Fondamentalmente, Obama ha annunciato la sua intenzione di usare i poteri della Environmental Protection Agency [2] per imporre limiti alle emissioni di carbone sugli impianti energetici. Tali impianti non sono l’unica fonte dei gas serra, ma influiscono per circa il 40 per cento delle emissioni. Per di più, regolamentare le emissioni degli impianti energetici è una pratica ordinaria; abbiamo già politiche che limitano le emissioni in questi impianti di inquinanti come il biossido di zolfo ed il mercurio, aggiungere dunque alla lista il carbonio non è, almeno in linea di principio, un gran precedente.

Ma imporre limiti al carbonio non aumenterà il costo dell’elettricità? E questo non distruggerà posti di lavoro? La risposta è: si e no.

E’ vero, le nuove regole sulle emissioni di carbonio incrementerebbero i costi della produzione di elettricità. Le imprese energetiche probabilmente chiuderebbero alcuni vecchi impianti alimentati a carbone, spostandosi su alternative più costose ad emissioni più basse – in qualche misura rinnovabili come l’eolico, ma principalmente il gas naturale. In aggiunta, esse sarebbero costrette ad investire in nuove produzioni per rimpiazzare le vecchie fonti.

Tutto questo, in effetti, porterebbe a bollette elettriche un po’ più alte – sebbene nemmeno lontanamente alte come pretendono i soliti noti. E’ piuttosto buffo, in effetti: la destra è solita coprire di lodi i liberi mercati e dichiarare che il settore privato può affrontare ogni problema, ma poi fa dietro front e pretende che il settore privato sia con le mani nei capelli e prossimo al collasso a fronte di nuove regole ambientali. La vera lezione dell storia – ad esempio, gli sforzi per proteggere lo strato dell’ozono e ridurre le piogge acide – è che le imprese possono generalmente ridurre le emissioni molto più economicamente di quello che si pensi, nella misura in cui le regole abbiano la flessibilità di permettere soluzioni innovative.

Eppure, qualche costo ci sarà. Questo non distruggerà posti di lavoro? In realtà, no.

E’ sempre il caso di ricordare che quello che in questo momento affligge l’economia americana non è la mancanza di capacità produttiva, ma la mancanza di domanda. Lo scoppio della bolla immobiliare, la sovraesposizione al debito delle famiglie e i tagli inopportuni alla spesa pubblica hanno creato una situazione nella quale nessuno vuole spendere; e poiché la tua spesa è il mio reddito e la mia spesa è il tuo reddito, questo porta complessivamente ad un economia depressa.

In che senso il costringere l’industria energetica a darsi una ripulita rappresenterebbe un peggioramento di questa situazione? Non sarebbe così, perché né i costi né una difetto di capacità produttiva costituiscono in questo momento il limite dell’economia.

E, come ho già detto, l’azione ambientale potrebbe avere reali effetti positivi. Si supponga che le aziende elettriche, allo scopo di andare incontro alle nuove regole, decidano di chiudere alcuni impianti energetici e di investire  in nuovo potenziale a più basse emissioni. Ebbene, sarebbe un crescita delle spesa, ed una maggiore spesa è esattamente quello di cui la nostra economia ha bisogno.

E’ vero, non è ancora chiaro se avverrà mai qualcosa del genere. Alcune delle persone con le quali parlo sono scettiche sulla nuova iniziativa sul clima, ritenendo che il Presidente non sarà realmente conseguente. Tutto quello che posso dire è che spero che sbaglino.

Alla fine del suo discorso, il Presidente ha incoraggiato i proprio uditorio a: “Investire. Disinvestire. Rammentare alla gente che non c’è contraddizione tra un ambiente pulito ed una forte crescita economica”. Normalmente, si sarebbe tentati di liquidare tutto questo come il discorso di qualcuno che cerca di districarsi dalla necessità di scelte difficili. Ma, in questo caso, si tratta di semplice buon senso: possiamo realmente investire in nuove risorse energetiche, privarci delle vecchie risorse, e rendere sul serio l’economia più forte. Facciamolo dunque.


 

 


[1] Paula Deen è una star, o ex-star, americana; esperta di cucina, ristoratrice, protagonista di programmi televisivi culinari. In questi giorni ha perso vari suoi contratti con i suoi principali sponsor per una vicenda a sfondo razzistico: una sua ex dipendente la aveva denunciata per aver tenuto nei suoi confronto comportamenti offensivi,  discriminatori e razzisti.  Lei ha ammesso, si è scusata, ma pare destinata ad uscire di scena. Guarda caso, Paula Deen proviene da Albany, Georgia.

[2] La Environmental Protection Agency è una agenzia federale americana (comunemente definita EPA o talvolta USEPA) la quale, definendo e potenziando regolamenti sulla base di orientamenti legislativi generali del Congresso, ha lo scopo di proteggere la salute umana e l’ambiente. L’EPA venne proposta dal Presidente Richard Nixon ed ha un certo interesse il fatto che, già nella sua costituzione, il 2 dicembre 1970, fosse deliberata sulla base di una ordinanza del Presidente, prevedendo che Camera e Senato, nelle commissioni competenti, la ratificassero successivamente. Ha approssimativamente 17.000 dipendenti ed una quantità di contratti con singoli esperti, ingegneri, scienziati ed esperti di protezione ambientale. Questo è il suo ‘quartier generale’ a Washington.

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