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La grande indifferenza (New York Times 9 giugno 2013)

 

The Big Shrug

By PAUL KRUGMAN

Published: June 9, 2013

I’ve been in this economics business for a while. In fact, I’ve been in it so long I still remember what people considered normal in those long-ago days before the financial crisis. Normal, back then, meant an economy adding a million or more jobs each year, enough to keep up with the growth in the working-age population. Normal meant an unemployment rate not much above 5 percent, except for brief recessions. And while there was always some unemployment, normal meant very few people out of work for extended periods.

 

So how, in those long-ago days, would we have reacted to Friday’s news that the number of Americans with jobs is still down two million from six years ago, that 7.6 percent of the work force is unemployed (with many more underemployed or forced to take low-paying jobs), and that more than four million of the unemployed have been out of work for more than six months? Well, we know how most political insiders reacted: they called it a pretty good jobs report. In fact, some are even celebrating the report as “proof” that the budget sequester isn’t doing any harm.

 

 

In other words, our policy discourse is still a long way from where it ought to be.

For more than three years some of us have fought the policy elite’s damaging obsession with budget deficits, an obsession that led governments to cut investment when they should have been raising it, to destroy jobs when job creation should have been their priority. That fight seems largely won — in fact, I don’t think I’ve ever seen anything quite like the sudden intellectual collapse of austerity economics as a policy doctrine.

 

But while insiders no longer seem determined to worry about the wrong things, that’s not enough; they also need to start worrying about the right things — namely, the plight of the jobless and the immense continuing waste from a depressed economy. And that’s not happening. Instead, policy makers both here and in Europe seem gripped by a combination of complacency and fatalism, a sense that nothing need be done and nothing can be done. Call it the big shrug.

Even the people I consider the good guys, policy makers who have in the past shown real concern over our economic weakness, aren’t showing much sense of urgency these days. For example, last fall some of us were greatly encouraged by the Federal Reserve’s announcement that it was instituting new measures to bolster the economy. Policy specifics aside, the Fed seemed to be signaling its willingness to do whatever it took to get unemployment down. Lately, however, what one mostly hears from the Fed is talk of “tapering,” of letting up on its efforts, even though inflation is below target, the employment situation is still terrible and the pace of improvement is glacial at best.

 

 

And Fed officials are, as I said, the good guys. Sometimes it seems as if nobody in Washington outside the Fed even considers high unemployment a problem.

Why isn’t reducing unemployment a major policy priority? One answer may be that inertia is a powerful force, and it’s hard to get policy changes absent the threat of disaster. As long as we’re adding jobs, not losing them, and unemployment is basically stable or falling, not rising, policy makers don’t feel any urgent need to act.

Another answer is that the unemployed don’t have much of a political voice. Profits are sky-high, stocks are up, so things are O.K. for the people who matter, right?

 

A third answer is that while we aren’t hearing so much these days from the self-styled deficit hawks, the monetary hawks — economists, politicians and officials who keep warning that low interest rates will have dire consequences — have, if anything, gotten even more vociferous. It doesn’t seem to matter that the monetary hawks, like the fiscal hawks, have an impressive record of being wrong about everything (where’s that runaway inflation they promised?). They just keep coming back; the arguments change (now they’re warning about asset bubbles), but the policy demand — tighter money and higher interest rates — is always the same. And it’s hard to escape the sense that the Fed is being intimidated into inaction.

 

 

The tragedy is that it’s all unnecessary. Yes, you hear talk about a “new normal” of much higher unemployment, but all the reasons given for this alleged new normal, such as the supposed mismatch between workers’ skills and the demands of the modern economy, fall apart when subjected to careful scrutiny. If Washington would reverse its destructive budget cuts, if the Fed would show the “Rooseveltian resolve” that Ben Bernanke demanded of Japanese officials back when he was an independent economist, we would quickly discover that there’s nothing normal or necessary about mass long-term unemployment.

 

So here’s my message to policy makers: Where we are is not O.K. Stop shrugging, and do your jobs.

 

La grande indifferenza, di Paul Krugman

New York Times 9 giugno 2013

 

E’ un po’ che mi occupo di questa faccenda dell’economia. Precisamente, me ne occupo da così tanto che ricordo ancora quello che la gente considerava normale in quei lontani giorni, prima della crisi finanziaria. Normale, a quei tempi, significava una economia che ogni anno aumentava di un milione o più di posti di lavoro, abbastanza da tenersi al passo con la crescita delle popolazione in età lavorativa. Normale significava un tasso di disoccupazione di poco superiore al 5 per cento, con l’eccezione di brevi recessioni. E se c’era sempre un po’ di disoccupazione, normale significava che pochissimi stavano senza lavoro per periodi prolungati.

Come avremmo reagito, dunque, in quei giorni andati, alla notizia di venerdì secondo la quale il numero degli americani con il posto di lavoro è ancora inferiore di due milioni rispetto a sei anni fa [1], che il 7,6 per cento della forza lavoro è ancora disoccupato (con molti più sottoccupati o costretti ad accettare lavori sotto pagati) e che più di quattro milioni di disoccupati sono rimasti senza lavoro da più di sei mesi? Ebbene, sappiamo come ha reagito gran parte dei nostri addetti ai lavori della politica: l’hanno definito un rapporto sull’occupazione abbastanza buono.  Nei fatti, alcuni hanno persino celebrato il rapporto come una “prova” che il cosiddetto ‘sequestro’ [2] del bilancio non starebbe provocando alcun danno.

In altri termini, il nostro dibattito politico è ancora lontano da dove dovrebbe essere.

Sono più di tre anni che alcuni di noi combattono la nociva ossessione dei gruppi dirigenti sui deficit di bilancio, una ossessione che ha indotto i Governi a tagliare gli investimenti quando avrebbero dovuto accrescerli, a distruggere posti di lavoro quando crearne avrebbe dovuto essere la loro priorità. Quella battaglia sembra in larga parte vinta – in pratica, non credo di aver mai assistito a niente di simile all’improvviso collasso intellettuale dell’economia dell’austerità come dottrina politica.

Ma se gli addetti ai lavori sembrano non intenzionati a preoccuparsi ancora di cose sbagliate, questo non basta; c’è anche bisogno che si occupino delle cose giuste – in particolare, la difficile situazione della mancanza di lavoro e dell’immenso perdurante spreco di una economia depressa. Invece, sia qua che in Europa, gli uomini politici sembrano in preda ad un misto di noncuranza e di fatalismo, la sensazione che non si debba far niente e non si possa far niente. Diciamo, una grande alzata di spalle.

Persino le persone che io considero in buona fede, gli operatori politici che hanno mostrato in passato una preoccupazione reale per la debolezza dell’economia, in questi giorni non mostrano molta coscienza dell’urgenza. Ad esempio, lo scorso autunno alcuni di noi rimasero assai incoraggiati dall’annuncio della Federal Reserve, secondo il quale essa stava per introdurre misure di incoraggiamento dell’economia. A parte gli aspetti specifici di quella politica, la Fed sembrava segnalare la sua volontà di non lasciare niente di intentato per abbattere la disoccupazione. Recentemente, tuttavia, quello che soprattutto si sente dalla Fed sono parole di “minimizzazione”, di allentare la pressione sui suoi sforzi, anche se l’inflazione è al di sotto dell’obbiettivo programmato, la situazione dell’occupazione è ancora tremenda ed il ritmo dei miglioramenti è freddo, nel migliore dei casi.

E i dirigenti della Fed sono, come ho detto, persone per bene. Qualche volta sembra che a Washington, fuori dalla Fed, nessuno persino consideri l’elevata disoccupazione come un problema.

Perché ridurre la disoccupazione non è una priorità politica importante? Una risposta potrebbe essere che l’inerzia è una forza potente, che è difficile ottenere mutamenti della politica se non c’è l’incombenza di un disastro. Finché i posti di lavoro aumentano, invece che diminuire, e la disoccupazione è fondamentalmente stabile o in calo, non in crescita, gli uomini politici non percepiscono alcun bisogno urgente di agire.

Un’altra risposta potrebbe essere che i disoccupati non hanno molto peso politico. I profitti vanno alle stelle, le azioni sono in crescita, dunque le cose vanno bene per la gente che conta, non è così?

Una terza risposta potrebbe essere che se in questi giorni non si fanno molto sentire i sedicenti ‘falchi’  del deficit, i ‘falchi del monetarismo’ – gli economisti, i politici e gli alti funzionari che continuano ad ammonire che i bassi tassi di interesse avranno conseguenze tremende – sono, al contrario, diventati anche più chiassosi. Non sembra aver peso il fatto che i falchi del monetarismo, come i falchi della finanza pubblica, abbiano sbagliato in modo impressionante praticamente su tutto (dov’è l’inflazione fuori controllo che avevano promesso?). Essi semplicemente continuano a farsi avanti: gli argomenti cambiano (ora mettono in guardia sulle bolle degli assets), ma la domanda politica – restrizione monetaria e tassi di interesse più elevati – è sempre la stessa. Ed è difficile evitare la sensazione che la Fed venga intimidita all’inerzia.

La tragedia che è tutto privo di fondamento. E’ vero, si sente parlare di una “nuova normalità” con una disoccupazione molto più elevata, ma tutte le ragioni fornite per questa nuova pretesa normalità, come quella della supposta discrepanza tra le competenze professionali dei lavoratori e le domande di una economia moderna, cadono a pezzi quando sono sottoposte ad una analisi rigorosa. Se Washington facesse marcia indietro sui suoi distruttivi tagli al bilancio, se la Fed mostrasse quella “risolutezza rooseveltiana” che Ben Bernanke chiedeva ai dirigenti giapponesi quando era un economista indipendente [3], si scoprirebbe rapidamente che non c’è niente di normale né di necessario in una disoccupazione di massa di lungo periodo.

Ecco dunque il mio messaggio agli uomini politici: non ci siamo! Smettete di scrollare le spalle e fate il vostro lavoro.



[1] Secondo i dati forniti in connessione (fonte: Dipartimento del lavoro, Ufficio statistiche del lavoro) a dicembre del 2007 gli occupati americani nel settore non agricolo erano 138.042.000, mentre con l’ultima rilevazione sono 135.637.000.

[2] Per il significato di “sequester” nel dibattito recente degli Stati Uniti, vedi le note finali sulla traduzione.

[3] Il riferimento è alle posizioni che Bernanke assunse nel corso degli anni ’90, quando criticava l’eccessiva timidezza della Banca Centrale del Giappone nel contrastare la recessione di quel paese. Un epoca che  veniva definita come  il “decennio perduto del Giappone”, mentre oggi siamo praticamente ad un ventennio.

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