Blog di Krugman

La politica economica di Abe ed i tassi di interesse: una esercitazione a spanne (per esperti). (10 giugno 2013)

 

Abenomics and Interest Rates: A Finger Exercise (Wonkish)

 

 

Japan has announced a long-term turn to easier money and a higher inflation target. Stocks are up (if bouncing around a lot), the yen is down, but long-term interest rates are somewhat higher (although still very low). Is this a puzzle or a problem?

Richard Koo, Nick Rowe, and Noah Smith have all weighed in. So I guess I should put in my bit. Basically, I think Rowe is mostly right; Koo isn’t making sense; and Smith is worried for no good reason.

 

Let me start, as I often do, with my original 1998 itsy-bitsy liquidity trap model. This was an infinite-horizon model, but one in which all the action took place in either the first or the second period, since it was assumed that nothing would change after period 2. I imagined a situation in which a temporary negative shock to demand pushed the economy in period 1 up against the zero lower bound, and showed that in that case increasing the monetary base in period 1 had no effect. To get traction, the central bank would have to convince the public that it would increase the base in period 2 — e.g., that it would not withdraw any quantitative easing it was doing now — so as to generate expected inflation.

 

In that model, I only talked about the one-period-ahead interest rate. But we certainly could imagine two-period, three-period etc. bonds. How would an Abenomics-style monetary policy affect these longer-term rates?

 

Well, the answer would depend on what monetary policy is expected to do after period 2. If we’re looking at a one-time step up in the monetary base, which was my thought experiment in 1998, the short-term rate would remain at zero, and future interest rates would also remain unchanged, so no effect. But it’s easy to imagine that the change in monetary policy involves not just a one-time jump in the monetary base but faster growth forever after, or at least for a long time. In that case, future short-term rates will be higher in nominal (though not real) terms, and so long-term rates will rise even in period 1. The long rate will, however, rise by less than expected inflation, because the one-period-ahead nominal rate will stay at zero, so even as nominal rates rise, real rates will fall.

 

I think this is pretty much where Rowe is. Smith, however, loses the thread a bit, if I’m reading him correctly; he worries that the rising rates will cause a problem because of Japan’s huge public debt. But remember, while nominal rates may be going up, real rates are going down; so Japan’s debt becomes more, not less, sustainable. Also, bear in mind that there’s a lot of preexisting long-term nominal debt, whose real value will be eroded by inflation. So Abenomics is all good from a fiscal point of view, even if it makes headline interest payments rise.

 

 

Finally, Koo seems to regard higher inflation expectations as a disaster, when in reality they are the whole point of the exercise. What?

 

I guess I’ve always found Koo fairly incomprehensible on monetary policy. He emphasizes the importance of balance-sheet constraints, and deserves a lot of credit for being ahead of the pack here. He’s also right in emphasizing the useful role budget deficits can play in a balance-sheet recession. However, he has this violent opposition to monetary expansion that, as far as I can tell, isn’t actually justified — actually, isn’t at all justified — by his underlying analysis. On the contrary, when some of us (pdf) try to model Koo-type problems, we find that monetary policy that raises expected inflation could be quite helpful.

 

Maybe part of the problem is that Koo envisages an economy in which everyone is balance-sheet constrained, as opposed to one in which lots of people are balance-sheet constrained. I’d say that his vision makes no sense: where there are debtors, there must also be creditors, so there have to be at least some people who can respond to lower real interest rates even in a balance-sheet recession.

Also, if the problem is a debt overhang, isn’t debt-eroding inflation a good thing?

As I said, I just don’t understand Koo’s position here. If he wants to argue that monetary policy is unlikely to be effective, fine; but he wants to claim that it’s positively harmful, and I just don’t get the logic.

Anyway, back to Japanese interest rates: they really don’t pose a puzzle, nor, at least so far, do they pose a threat.

 

La politica economica di Abe ed i tassi di interesse: una esercitazione a spanne (per esperti)

 

Il Giappone ha annunciato una svolta a lungo termine per una moneta  più facile e per un obbiettivo di inflazione più alto. Le azioni sono in crescita (anche se un po’ altalenanti), lo yen scende, ma i tassi di interesse a lungo termine sono un po’ più alti (sebbene ancora molto bassi). E’ un enigma o è un problema?

Richard Koo, Nick Rowe e Noah Smith sono tutti intervenuti sull’argomento.  Dunque suppongo che dovrei dire la mia. Fondamentalmente, io penso che Rowe abbia in gran parte ragione; che Koo non stia dicendo cose sensate e che Smith sia preoccupato per ragioni infondate.

Consentitemi di partire, come faccio spesso, dal mio piccolissimo modello sulla trappola di liquidità del 1998. Si trattava di un modello ad orizzonte-infinito [1], ma uno di quelli nei quali tutta la azione si svolge sia nel primo che nel secondo periodo, dal momento che si assume che niente cambierà dopo il periodo 2. Immaginavo una situazione nella quale un temporaneo shock negativo sulla domanda aveva spinto l’economia contro il limite inferiore di zero nel periodo 1, ed avevo dimostrato che in quel caso incrementare la base monetaria nel periodo 1 non produceva effetti. Per ottenere presa, la banca centrale avrebbe dovuto convincere l’opinione pubblica che avrebbe incrementato la base monetaria in un periodo 2 – ad esempio, che non sarebbe tornata indietro da “facilitazioni quantitative” [2] che aveva in corso – in modo da generare una inflazione attesa.

In quel modello, io parlavo soltanto del tasso di interesse dal periodo uno in avanti. Ma potremmo certamente immaginare due periodi, tre periodi etc. Come potrebbe influenzare questi tassi a più lungo termine una politica monetaria del genere della politica economica di Abe?

Ebbene, la risposta dipenderebbe da quale politica monetaria si attende sia attuata dopo il periodo 2.  Se noi guardiamo ad un incremento una volta per tutte nella base monetaria, come era nel mio esperimento teorico nel 1998, il tasso di interesse a breve termine sarebbe rimasto a zero, ed anche i futuri tassi di interesse sarebbero rimasti invariati, dunque nessun effetto. Ma è facile immaginare che il cambiamento nella politica monetaria non riguardi soltanto un salto una volta per tutte nella politica monetaria, bensì una successiva crescita più veloce per sempre, o almeno per un lungo periodo. In quel caso i futuri tassi di interesse sarebbero più elevati in termini nominali (sebbene non in termini reali), e dunque i tassi di interesse a lungo termine crescerebbero anche nel periodo 1. Il tasso a lungo, tuttavia, crescerebbe meno della inflazione attesa, perché il tasso nominale dal primo periodo in avanti resterebbe a zero,  dunque anche quando crescessero i tassi nominali, quelli reali calerebbero.

Questo è il punto nel quale grosso modo si colloca Rowe. Smith, tuttavia, perde un po’ il filo, se lo leggo correttamente; egli teme che i tassi crescenti provocheranno un problema a causa del grande debito pubblico del Giappone. Ma si ricordi, mentre i tassi nominali possono salire, i tassi reali scendono; dunque il debito del Giappone diventa più, e non meno, sostenibile. Si tenga anche a mente che esiste una quantità di debito nominale a lungo termine preesistente, il cui valore reale sarà erosa dall’inflazione. Dunque la politica economica di Abe va benissimo dal punto di vista della finanza pubblica, anche se fa crescere i pagamenti degli interessi che finiscono sui titoli dei giornali.

Infine, Koo sembra considerare le aspettative di inflazione più elevata come un disastro, quando in realtà esse sono l’intera sostanza della operazione. Che significa?

Credo di aver sempre trovato Koo abbastanza incomprensibile quanto a politica monetaria. Egli enfatizza l’importanza dei limiti degli stati patrimoniali, e merita un po’ di credito per essere il migliore in questa materia. Ha anche ragione nell’enfatizzare il ruolo utile che i deficit di bilancio possono giocare in una recessione originata da squilibri patrimoniali. Egli ha, tuttavia, questa violenta opposizione alla espansione monetaria che, per quanto posso dire, non è effettivamente giustificata – davvero, non è per niente giustificata – dalla sua analisi sottostante. Al contrario, quando alcuni di noi [3] (connessione in pdf)  hanno cercato di ricondurre ad un modello i problemi del genere di quelli di Koo, hanno scoperto che la politica monetaria che accresce l’inflazione attesa potrebbe essere abbastanza utile.

Forse il problema in parte è che Koo si immagina una economia nella quale tutti sono limitati dagli stati patrimoniali, che è una cosa diversa da una economia nella quale molte persone sono limitate dagli stati patrimoniali. Direi che questa visione non ha senso: dove ci sono debitori ci devono essere anche creditori, dunque ci devono essere almeno alcune persone che possono rispondere a tassi di interesse più bassi persino in una recessione originata da squilibri nei bilanci.

Inoltre, se il problema è una eccessiva esposizione debitoria, una inflazione che erode il debito non è una buona cosa?

Come ho detto, in questo caso non capisco la posizione di Koo. Se egli vuole sostenere che è improbabile che la politica monetaria sia efficace, va bene; ma se egli vuole sostenere che essa è decisamente dannosa, proprio non comprendo la logica.

In ogni modo, torniamo ai tassi di interesse del Giappone: essi non costituiscono proprio un enigma, né, almeno sinora, costituiscono davvero una minaccia.



[1] Credo che in modo semplicistico si possa dire questo: in economia evidentemente ha una grande importanza la dimensione temporale (comprendere il valore di un investimento è possibile solo in riferimento ad un arco di tempo etc.). Spesso è però utile assumere che l’orizzonte temporale sia infinito, se si vuole individuare soluzioni e concetti che siano validi in contesti temporali diversi. Questo richiede strumenti che consentano una “ottimizzazione dinamica” di ciò che si sta studiando, e quegli strumenti sono modelli ad orizzonte-infinito, ovvero modelli che, ad esempio, aiutano a comprendere le correlazioni tra vari orizzonti temporali possibili. Talora questi modelli si basano su una comparazione più semplice di due periodo talora di un maggior numero di simulazioni.

[2] Per “quantitative easing” vedi le note sulla traduzione.

[3] La connessione è con un saggio di Krugman ed Eggertsson del 2010, dal titolo “Debito, riduzione dell’indebitamento e trappola di liquidità: un approccio Fisher, Minsky, Koo”.

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