Blog di Krugman

Svalutazione del capitale umano (10 giugno 2013)

 

Devaluing Human Capital

 

Nancy Folbre suggests that the golden age of human capital – roughly speaking, the era in which the economy strongly demanded the kinds of skills we teach in liberal-arts colleges and universities – is already behind us. She may well be right: after a long stretch when both technology and trade seemed to be undermining only manual labor, it does look as if many skilled occupations are now under threat by Big Data, Bangalore, or both.

 

I’d just like to add a sort of footnote, inspired by a conversation I had the other day with a Congressional aide. Has there ever before, he asked, been a time when technology undermined skilled labor, instead of making it more necessary than ever?

And the answer is of course yes, once you realize that there are many kinds of skill, and book learning hasn’t always been the one that mattered.

 

As it happens, I’m in my Princeton office right now – and it’s worth thinking about why Princeton was founded. It wasn’t as a prep school for investment bankers, even though that’s largely what the school became, for a while anyway. It was to train ministers. In the 18th century, there really weren’t that many places where anything even vaguely resembling a modern college education was valuable, and surely many if not most of those places involved preaching.

 

Yet there were skilled laborers, who were paid much more than their peers; it’s just that those skills tended to involve craftsmanship rather than pushing around words and other symbols. And – crucially – the truth is that quite a few of those skills did indeed end up being devalued by technology. Remember, the Luddites weren’t unskilled manual workers; they were skilled weavers and others who found themselves displaced by such technologies as the power loom.

 

After that, by the way, institutions like Princeton evolved into something more like finishing schools, where the elite acquired manners and connections. (Yes, there’s still more than a bit of that aspect today). The role of higher education as a creator of human capital came along quite late. And maybe, as Nancy Folbre says, this role is already waning.

 

And you know what? I wrote about this way back in 1996, when the Times Magazine, on its 100th birthday, asked various people to write articles as if looking back from 2096. Some of it looks dated, but not too bad, I’d say.

 

Svalutazione del capitale umano

 

Nancy Folbre suggerisce che il periodo aureo del capitale umano – parlando semplicemente, il periodo in cui dall’economia veniva una forte domanda di quel genere di competenze che insegniamo nei colleges e nella università delle ‘arti liberali’ [1] – è già alle nostre spalle. Può aver ragione: dopo un lungo tratto nel quale sia la tecnologia che il commercio sembravano stare indebolendo il solo lavoro manuale, oggi sembra che molte occupazioni specialistiche siano sotto la nuova minaccia di Big Data [2]o Bangalore, o di tutte e due.

Mi fa piacere solo aggiungere una noterella, ispirata da una conversazione che ho avuto giorni fa con un funzionario del Congresso. C’è mai stato in precedenza, mi chiedeva, un tempo nel quale la tecnologia minacciava il lavoro specialistico, piuttosto che renderlo sempre più necessario?

E la risposta è certamente affermativa, una volta che si comprenda che esistono molti tipi di specialismo, e che leggere i libri non è sempre stato l’unico importante.

Capita che in questo momento mi trovi nel mio studio di Princeton – ed ha un certo valore riflettere sulle ragioni per le quali Princeton fu fondata. Essa non era una sorta di scuola professionale privata per banchieri di banche di investimento, anche se divenne almeno in un certo periodo una scuola del genere. Serviva ad addestrare sacerdoti. Nel 18° Secolo, in realtà, non c’erano molti posti nei quali si potevano apprezzare cose neanche lontanamente somiglianti ad una istruzione moderna di tipo universitario, e certamente molte, se non la gran parte di esse, avevano a che fare con il predicare.

 

Tuttavia c’erano lavoratori specializzati, che venivano pagati molto di più dei loro colleghi; solo che quelle competenze riguardavano di preferenza la maestria artigianale, piuttosto che  il mettere in circolazione parole od altri simboli. E – fondamentale – la verità è che solo poche di quelle specialità in effetti  finirono con l’essere svalutate dalla tecnologia. Ricordiamoci che i luddisti non erano lavoratori manuali senza competenze; erano tessitori specializzati ed altri che si trovarono spiazzati da tecnologie come quella dei telai che funzionavano con la corrente.

Dopo ciò, per inciso, istituzioni come Princeton ebbero una evoluzione in qualcosa di più simile a scuole di completamento, nelle quali le classi dirigenti acquisivano buone maniere e conoscenze (si, c’è ancora molto di questo aspetto anche oggi). Il ruolo della educazione superiore come creatrice di capitale umano comparve abbastanza tardi. E forse, come dice Nancy Folbre, quella funzione è già indebolita.

 

E sapete cosa? Scrissi su questi temi nel lontano 1996, in occasione del 100° anniversario di Times Magazine, quando la rivista chiese a varie persone di scrivere articoli come se stessero guardando indietro dal 2096. Direi che alcune cose sono datate, ma non così brutte.



[1] Per ‘arti liberali’ noi intendiamo, secondo la tradizione latina, medioevale e rinascimentale, studi umanistici. In termini moderni, mi pare di comprendere che nei paesi anglosassoni si intende riferirsi anche a materie come la matematica, la psicologia e le scienze; in ogni caso si tratta di istruzione non direttamente professionalizzante.

[2] La analitica di “Big Data” è il processo con il quale si esaminano grandi quantità di dati di varia natura per scoprire correlazioni non note, schemi nascosti o altre informazioni utili. Il primo obbiettivo di “Big Data” è aiutare le imprese a prendere migliori decisioni economiche mettendo nelle condizioni gli scienziati delle statistiche e gli altri utilizzatori di analizzare grandi volumi di transazioni. Suppongo che questa nuova frontiera sia in qualche modo connessa con l’utilizzo di nuovi linguaggi nell’immagazzinamento e nella analisi dei dati, che consentono appunto di elaborare enormi materiali analitici.

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