Blog di Krugman

Ancora sulla flessibilità del prezzo dei salari in un trappola di liquidità (15 luglio 2013)

 

July 15, 2013, 3:55 pm

Wage-Price Flexibility in a Liquidity Trap, Again Again Again

One of the frustrating things about macroeconomic discussion since the Great Recession struck is the prevalence of zombie fallacies — misconceptions that one imagines have been killed by logic or evidence, but just keep coming back to eat our brains. Often, maybe usually, politics is what’s keeping these zombies alive; or, if not exactly politics, the attempt of economists to defend their intellectual investments in failed theories.

Sometimes, however, the zombies manage to eat a brain or two simply because someone wasn’t paying attention. And I think this is what has just happened to the usually excellent Noah Smith.

Smith finds Japan’s persistent shortfall puzzling, because — he claims — this isn’t supposed to happen in New Keynesian models:

In a New Keynesian model, when there is a demand shortfall, unemployment is the result. The central bank can print money in order to combat the shortfall, which raises inflation and lowers unemployment. But if the central bank does nothing, prices will eventually adjust, and unemployment will go away. This New Keynesian model corresponds nicely to the simple AD-AS model that people learn in Econ 102.

In the words of Charlie Brown, aaugh!

People, we’ve been through this.

Yes, in a standard AS-AD or NK model, high unemployment leads to falling wages and prices, and this eventually restores full employment. But how does this happen? Not because making labor cheaper increases the quantity of labor demanded — Keynes understood that point perfectly long before he even wrote the General Theory:

Or again, if a particular producer or a particular country cuts wages, then, so long as others do not follow suit, that producer or that country is able to get more of what trade is going. But if wages are cut all round, the purchasing power of the community as a whole is reduced by the same amount as the reduction of costs; and, again, no one is further forward.

No, the only reason deflation “works” in the standard model is that it increases the real money supply, which leads to lower interest rates; in effect, it acts like an expansionary monetary policy.

But Japan has been in a liquidity trap during the whole period Smith looks at. Monetary expansion is ineffective unless it can raise expectations of future inflation. Deflation is definitely not going to help. In fact, by raising the real burden of debt, it makes things worse

A corollary is that while sticky wages are a real phenomenon — the evidence just keeps getting stronger — their importance has to be appreciated correctly. You need them to understand what we’re seeing, which is the failure of deflation to appear in the US now (and the slow pace of deflation in Japan). They are not, repeat NOT the reason either Japan or we have failed to recover.

How is it that this stuff — which is more or less where we came in – hasn’t gotten through?

 

Ancora sulla flessibilità del prezzo dei salari in un trappola di liquidità.

 

Una delle cose frustranti nel dibattito macroeconomico dallo scoppio della Grande Recessione è la prevalenza di errori zombie – idee sbagliate che uno immagina siano state liquidate dalla logica o dai fatti, ma tornano proprio indietro per mangiarti il cervello. Spesso, forse comunemente, la politica consiste nel tener vivi questi zombie; oppure, se non esattamente la politica, il tentativo degli economisti di difendere i loro investimenti intellettuali in teorie andate a male.

Talvolta, tuttavia, gli zombie minacciano di mangiare un cervello o due perché qualcuno non ha fatto attenzione. E penso che questo sia il caso del di solito eccellente Noah Smith.

Smith trova la crisi persistente del Giappone sconcertante; perché – sostiene, non è quello che si supponeva accadesse nei modelli neokeynesiani:

“In un modello neokeynesiano, quando c’è una caduta della domanda, la conseguenza è la disoccupazione. La banca centrale può stampare moneta allo scopo di combattere la caduta, la qualcosa aumenta l’inflazione e abbassa la disoccupazione. Ma se la banca centrale non fa niente, alla fine c’è una correzione per effetto dei prezzi, e la disoccupazione scompare. Questo modello neokeynesiano corrisponde in modo soddisfacente al semplice modello Domanda Aggregata/ Offerta Aggregata che le persone apprendono su semplici libri di testo”.

Come direbbe Charlie Brown: “aaugh!”.

Gente, ci siamo passati [1].

Si, in un modello standard DA/OA o in un modello neokeynesiano, l’elevata disoccupazione porta ad una caduta dei salari e dei prezzi, e questo alla fine ripristina la piena occupazione. Ma come accade questo? Non perché rendere il lavoro più conveniente aumenti la quantità richiesta di lavoro – Keynes comprese il punto perfettamente perfino molto tempo prima che scrivesse la Teoria Generale [2]:

“O ancora, se un particolare produttore od un particolare paese tagliano i salari, allora, per tutto il tempo in cui gli altri non fanno la stessa cosa, quel produttore o quel paese sarà capace di ottenere di più di quanto gli verrebbe dal commercio. Ma se i salari sono tagliati dappertutto, il potere di acquisto della comunità nel suo complesso è ridotto della stessa quantità della quale sono ridotti i costi; e, di nuovo, niente si è spostato”.

No, la sola ragione per la quale la deflazione “funziona” in un modello standard è che essa accresce l’offerta reale di moneta, il che porta a tassi di interesse più bassi; in effetti essa funziona come una politica monetaria espansiva.

Ma il Giappone è stato in una trappola di liquidità per l’intero periodo al quale Smith fa riferimento. L’espansione monetaria è inefficace a meno che essa non possa accrescere le aspettative di inflazione futura. La deflazione non è destinata in via definitiva ad essere d’aiuto. Di fatto, accrescendo il peso reale del debito, essa rende le cose peggiori.

Un corollario è che mentre la vischiosità dei salari è un fenomeno reale – le prove sono sempre più forti – la importanza di quel fenomeno deve essere apprezzata correttamente. C’è bisogno di capire quello che si osserva, ovvero il fatto che la deflazione non si sta materializzando oggi negli Stati Uniti (ed il ritmo comunque lento della deflazione in Giappone). Queste non sono affatto le ragioni per le quali  sia il Giappone che noi stiamo mancando la ripresa.

Come è possibile che su questa roba – che più o meno è ciò in cui noi siamo stati rilevanti – non ci si sia intesi?


[1] Krugman si riferisce al fatto che aveva trattato la stessa questione in una polemica con Amity Shlaes nel novembre del 2008.

[2] Il riferimento è ad un articolo di Keynes dal titolo “La grande depressione del 1930”, che venne pubblicato appunto nel 1930.

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