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E Pluribus Unum, di Paul Krugman (New York Times, 4 luglio 2013)

 

E Pluribus Unum

By PAUL KRUGMAN

Published: July 4, 2013

It’s that time of year — the long weekend when we gather with friends and family to celebrate hot dogs, potato salad and, yes, the founding of our nation. And it’s also a time for some of us to wax a bit philosophical, to wonder what, exactly, we’re celebrating. Is America in 2013, in any meaningful sense, the same country that declared independence in 1776?

The answer, I’d suggest, is yes. Despite everything, there is a thread of continuity in our national identity — reflected in institutions, ideas and, especially, in attitude — that remains unbroken. Above all, we are still, at root, a nation that believes in democracy, even if we don’t always act on that belief.

And that’s a remarkable thing when you bear in mind just how much the country has changed.

America in 1776 was a rural land, mainly composed of small farmers and, in the South, somewhat bigger farmers with slaves. And the free population consisted of, well, WASPs: almost all came from northwestern Europe, 65 percent came from Britain, and 98 percent were Protestants.

America today is nothing like that, even though some politicians — think Sarah Palin — like to talk as if the “real America” is still white, Protestant, and rural or small-town.

But the real America is, in fact, a nation of metropolitan areas, not small towns. Tellingly, even when Ms. Palin made her infamous remarks in 2008 she did so in Greensboro, N.C., which may not be in the Northeast Corridor but — with a metropolitan population of more than 700,000 — is hardly Mayberry. In fact, two-thirds of Americans live in metro areas with half-a-million or more residents.

Nor, by the way, are most of us living in leafy suburbs. America as a whole has only 87 people per square mile, but the average American, according to the Census Bureau, lives in a census tract with more than 5,000 people per square mile. For all the bashing of the Northeast Corridor as being somehow un-American, this means that the typical American lives in an environment that resembles greater Boston or greater Philadelphia more than it resembles Greensboro, let alone true small towns.

What do we do in these dense metropolitan areas? Almost none of us are farmers; few of us hunt; by and large, we sit in cubicles on weekdays and visit shopping malls on our days off.

And ethnically we are, of course, very different from the founders. Only a minority of today’s Americans are descended from the WASPs and slaves of 1776. The rest are the descendants of successive waves of immigration: first from Ireland and Germany, then from Southern and Eastern Europe, now from Latin America and Asia. We’re no longer an Anglo-Saxon nation; we’re only around half-Protestant; and we’re increasingly nonwhite.

Yet I would maintain that we are still the same country that declared independence all those years ago.

It’s not just that we have maintained continuity of legal government, although that’s not a small thing. The current government of France is, strictly speaking, the Fifth Republic; we had our anti-monarchical revolution first, yet we’re still on Republic No. 1, which actually makes our government one of the oldest in the world.

More important, however, is the enduring hold on our nation of the democratic ideal, the notion that “all men are created equal” — all men, not just men from certain ethnic groups or from aristocratic families. And to this day — or so it seems to me, and I’ve done a lot of traveling in my time — America remains uniquely democratic in its mannerisms, in the way people from different classes interact.

Of course, our democratic ideal has always been accompanied by enormous hypocrisy, starting with the many founding fathers who espoused the rights of man, then went back to enjoying the fruits of slave labor. Today’s America is a place where everyone claims to support equality of opportunity, yet we are, objectively, the most class-ridden nation in the Western world — the country where children of the wealthy are most likely to inherit their parents’ status. It’s also a place where everyone celebrates the right to vote, yet many politicians work hard to disenfranchise the poor and nonwhite.

 

 

But that very hypocrisy is, in a way, a good sign. The wealthy may defend their privileges, but given the temper of America, they have to pretend that they’re doing no such thing. The block-the-vote people know what they’re doing, but they also know that they mustn’t say it in so many words. In effect, both groups know that the nation will view them as un-American unless they pay at least lip service to democratic ideals — and in that fact lies the hope of redemption.

 

So, yes, we are still, in a deep sense, the nation that declared independence and, more important, declared that all men have rights. Let’s all raise our hot dogs in salute.

 

E pluribus unum, di Paul Krugman

New York Times 4 luglio 2013

 

E’ quel periodo dell’anno – il lungo fine settimana nel quale ci riuniamo con gli amici e la famiglia per celebrare gli hot dogs, l’insalata di patate e, certo, la fondazione della nostra nazione. Ed è anche il tempo, per alcuni di noi, per allargarci un po’ col pensiero, chiedendoci esattamente che cosa stiamo celebrando. L’America del 2013 è, in qualche senso possibile, lo stesso paese che dichiarò l’indipendenza nel 1776?

Io darei una risposta affermativa. Nonostante tutto c’è un filo di continuità nella nostra identità nazionale – che si riflette nelle istituzioni, nelle idee e, in particolare, nell’atteggiamento – che rimane intatto. Soprattutto, siamo ancora, alle radici,  una nazione che crede nella democrazia, anche se non sempre siamo conseguenti.

Si tratta di una cosa considerevole, se solo si pensa a quanto il paese è cambiato.

L’America del 1776 era un territorio rurale, principalmente composto da piccoli contadini e, nel Sud, da agricoltori piuttosto più grandi con schiavi. E la popolazione libera era fatta, diciamolo, da WHASPs [1]: quasi tutti vennero dal nordest dell’Europa, il 65 per cento della Bretagna, e il 98 per cento erano protestanti.

L’America di oggi non è niente del genere, anche se ad alcuni politici – si pensi a Sarah Pelin – piace parlare di una “vera America” ancora bianca, protestante e rurale, o di provincia.

Ma, di fatto, l’America vera è una nazione di aree metropolitane, non di piccole città. Significativamente, anche quando la signora Pelin fece le sue famigerate considerazioni nel 2008, ella si esprimeva in quel modo a Greensboro, North Carolina, cha magari non è sul Corridoio del Nord Est [2] ma – con una popolazione metropolitane di più di 700.000 individui – a fatica fa pensare a Mayberry [3]. Di fatto, due terzi degli americani vivono in aree metropolitane con mezzo milione o più di residenti.

Né, per inciso, sono molti quelli che tra di noi vivono in lussureggianti periferie. L’America nel suo complesso ha solo 87 persone per miglio quadrato, ma la media degli americani, secondo l’Ufficio del Censimento, vive in un segmento statistico con più di 5.000 persone per miglio quadrato. Nonostante tutte le battute sul Corridoio del Nord Est come qualcosa di non-americano, questo significa che l’americano medio vive in un ambiente che assomiglia alle aree metropolitane di Boston o di Filadelfia, più che a Greensboro, per non dire di città veramente piccole.   

Cosa facciamo in queste dense aree metropolitane? Quasi nessuno è contadino; pochi di noi vanno a caccia; in grande prevalenza durante la settimana occupiamo cubicoli e nei giorni liberi andiamo a far spese in centri commerciali.

E naturalmente, da un punto di vista etnico siamo molto diversi dai fondatori. Solo una minoranza degli americani di oggi sono discendenti dagli anglosassoni protestanti bianchi e dagli schiavi del 1776. Gli altri sono discendenti delle successive ondate di immigrazione: dapprima dall’Irlanda e dalla Germania, poi dall’Europa del Sud e dell’Est, oggi dall’America Latina e dall’Asia. Non siamo più un nazione anglo-sassone, siamo solo per circa la metà protestanti, e siamo sempre di più non-bianchi.

Tuttavia vorrei tener fermo che siamo ancora lo stesso paese che dichiarò l’indipendenza tutti quegli anni addietro.

Non si tratta solo del fatto che abbiamo mantenuto la continuità delle nostre istituzioni legali, per quanto non sia poca cosa. Le attuali istituzioni francesi sono, strettamente parlando, la Quinta Repubblica; noi avemmo agli inizi la nostra rivoluzione antimonarchica, tuttavia siamo ancora la Repubblica “numero Uno”, il che in effetti fa delle nostre istituzioni le più vecchie al mondo.

Più importante, tuttavia, è la tenuta duratura nella nostra nazione della idealità democratica, l’idea che “tutti gli uomini sono creati uguali” – tutti, non solo gli uomini di certi gruppi etnici e di certe famiglie aristocratiche. E sino ad oggi – o così a me sembra, e per mio conto ho viaggiato non poco – l’America resta inconfondibilmente democratica nelle sue abitudini, nel modo in cui la gente proveniente da classi sociali diverse interagisce.

Come è evidente, il nostro ideale democratico è sempre stato accompagnato da enorme ipocrisia, a partire dai molti padri fondatori che sposarono i diritti dell’uomo, e poi tornarono a godere dei frutti del lavoro degli schiavi. L’America di oggi è un posto nel quale ognuno sostiene di essere a favore della eguaglianza delle opportunità, tuttavia siamo, obiettivamente, la nazione più afflitta dalle differenze di classe del mondo occidentale – il paese dove i figli dei ricchi è più probabile che ereditino lo status dei loro genitori. E’ anche il posto nel quale tutti celebrano il diritto di voto, e tuttavia molti uomini politici lavorano alacremente per privare i poveri ed i non-bianchi dei diritti civili.

Ma quella vera e propria ipocrisia è, a suo modo, un buon segno. I ricchi possono difendere i loro privilegi, ma considerato il carattere dell’America, essi devono fingere di non farlo. Gli individui che sono a favore di forme di impedimento del diritto di voto sanno cosa stanno facendo, ma sanno anche di non poterlo granché argomentare. In effetti, entrambi quei gruppi sanno che la nazione li considererà “non-americani” se non offrono almeno una adesione di facciata agli ideali democratici – ed è in quella circostanza che risiede la speranza di una riscossa.

Dunque, è vero, siamo ancora in un senso profondo la nazione che dichiarò l’indipendenza e che, ancora più importante, dichiarò che tutti gli individui hanno diritti. Alziamo tutti, dunque, i nostri hot dogs  in segno di saluto.


[1] E’ l’acronimo di Anglo-sassoni Protestanti Bianchi. Naturalmente  in sé il significato è neutro, anche se è possibile che sia usato con una qualche intenzionalità, di solito svalutativa, anche perché si presta ad una ironia significando “whasp” anche “vespa”.

[2] Per “Corridoio del Nord Est” si intende qua, più in generale, il territorio servito dalla omonima linea ferroviaria della azienda ferroviaria Amtrack (quest’ultima in gran parte di proprietà statale),  che da Boston arriva a Washington DC, passando per Filadelfia e New York.

[3] “Mayberry” è una comunità inventata, idealmente collocata nel North Carolina come ambiente di films o spettacoli televisivi.  In particolare The Andy Griffith Show, stante che Andy Griffith, attore-regista-scrittore-produttore televisivo e cantante di gospel, è un po’ il padrino di quell’ambiente.

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