Blog di Krugman

Errori potenziali (per esperti) (6 luglio 2013)

 

July 6, 2013, 9:49 am

Potential Mistakes (Wonkish)

Update: I should have mentioned that the CBO doesn’t use the filtering method in its estimates for the US; as best I understand it, it uses a production function approach that is much less likely to interpret a prolonged slump as a decline in potential output. And that’s a very good thing.

I missed this, from a couple of days ago: the European Commission has, rather belatedly, woken up to the likelihood that it is understating potential output in debtor countries, overstating their “natural” rate of unemployment, and therefore underestimating the degree of fiscal austerity being imposed. There is, it turns out, an Output Gap Working Group considering these questions, and I’m glad to hear it.

For I’ve been warning about this issue for a long time — not just in the current slump, but 15 years ago, in the context of Japan (pdf).

Some notes on the issue after the jump.

It is important to have an idea of how much the economy could and should be producing, and also of how low unemployment could and should go. For one thing, it’s important for fiscal policy; almost all economists have argued for decades that budgets should be analyzed in terms of the cyclically-adjusted balance, not the raw number, but to do that you have to know how depressed the economy is. But it’s also important for monetary policy, as a guide to whether the central bank should be “tapering” or redoubling its efforts.

So how do you estimate potential? There are two main methods. One looks at past levels of output and/or unemployment, and basically uses some weighted average of the past as an estimate of what’s normal and presumably appropriate. The other looks at inflation, and tries to back out the unemployment rate consistent with price stability.

And both methods break down completely under depression conditions, which is what we have right now.

The first method is based on the normal experience that fluctuations in unemployment tend to revert fairly quickly to the mean. This mean may change over time, of course; so you can treat this as a signal-extraction problem, and use some kind of filtering method to estimate the current mean, which is then interpreted as the “natural” rate. In practice this means using a weighted average of fairly recent unemployment rates.

But here’s the problem: that historical reversion to the mean doesn’t mainly reflect some natural process of recovery, it reflects the actions of central banks, which slash interest rates when the economy is down and raise them when it’s up. If the economy hits a big enough shock that it ends up against the zero lower bound, that mechanism goes away, leading to persistent high unemployment — which the filter ends up interpreting as a rise in the natural rate.

Here’s a rough illustration from US data. I show unemployment rates versus the change in the unemployment rate over the next three years (three years because there is some tendency of things to get worse in recessions before they get better).

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You can see that while unemployment rates jump around — hey, stuff happens — there has historically been a tendency for high rates to be followed by rapid declines; V-shaped recoveries. But not this time — because the Fed found itself pushing on a string. And a Hodrick-Prescott filter, or whatever, would interpret this as a rise in the natural rate of unemployment. Back in my 1998 Japan paper, I pointed out that the methods then being used to estimate output gaps would have concluded that 1930s America was back at full employment by 1935; it’s the same thing now.

What about inflation? Again, historically inflation has tended to rise when unemployment is low, fall when it’s high. Here’s the US unemployment rate versus the change in core PCE inflation over the next year:

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But right now we have high unemployment combined with more or less stable core inflation. Typical models would interpret this as a sharp rise in the natural rate, from maybe 5.5 to 8 percent. But what it almost surely reflects instead is the stickiness of inflation at low levels; the long-run Phillips curve is not vertical thanks mainly to downward nominal wage rigidity,and that reality is central to what’s happening now.

I wish that these were narrow technical issues, of no importance for real-world policy. Unfortunately, they’re not. Understating output gaps leads to excessive demands for austerity and excessive complacency at central banks; this perpetuates the depression; and the longer the depression goes on, the more misleading the standard estimates become.

So it’s good news that at least somebody in Brussels is aware that there might be a problem.

 

 

Errori potenziali (per esperti)

 

Correzione: avrei dovuto ricordare che il Congressional Budget Office non usa il metodo di filtrare le sue stime per gli Stati Uniti; per quanto posso capire, usa un approccio da funzione di produzione che è molto meno probabile che interpreti una crisi prolungata come un declino della produzione potenziale. E quella è un’ottima cosa.

Un paio di giorni fa, mi ero perso questa notizia: la Commissione Europea si è, abbastanza tardivamente, svegliata nel riconoscere la probabilità di una sottovalutazione della produzione potenziale nei paesi debitori e di una sopravvalutazione del loro tasso “naturale” di disoccupazione, nonché di conseguenza di una sottostima del grado di austerità della finanza pubblica che viene imposto. Si scopre che esiste un “Gruppo di Lavoro sul Differenziale di Produzione” che sta considerando questi aspetti, e ne sono lieto.

Perché avevo messo in guardia su questo aspetto da molto tempo – non solo nella attuale recessione, ma 15 anni orsono, nel contesto del Giappone.

Dopo la digressione, alcune note su quel tema.

E’ importante avere un’idea di quanto l’economia potrebbe e dovrebbe produrre, e anche di quanto la disoccupazione potrebbe e dovrebbe scendere. Da una parte, è importante per la politica della finanza pubblica; quasi tutti gli economisti hanno sostenuto per decenni che i bilanci dovrebbero essere analizzati nei termini di equilibri ciclicamente corretti e non di dati grezzi, ma per farlo si deve sapere quanto l’economia è depressa. Ma è anche importante per la politica monetaria, per indirizzare la banca centrale  verso una “stretta” o verso una moltiplicazione dei suoi sforzi.

Come si stima, dunque, un potenziale? Ci sono due metodi principali. Uno guarda ai livelli passati di produzione e/o di disoccupazione, e fondamentalmente utilizza una media ponderata del passato come una stima di ciò che è normale e presumibilmente corretto. L’altro guarda all’inflazione, e cerca di restituire il tasso di disoccupazione coerente con la stabilità dei prezzi.

Ed entrambi i metodi vanno completamente in crisi nella condizioni della depressione, che è quello che abbiamo in questo momento.

Il primo metodo è basato sulla normale esperienza per la quale le fluttuazioni nella disoccupazione tendono abbastanza rapidamente a ritornare sul dato medio. Questo dato medio può cambiare col tempo, naturalmente; si può dunque trattarlo come un problema di individuazione di un segnale, e usare qualche filtro per stimare il dato medio attuale, che allora viene interpretato come il tasso “naturale”. In pratica questo significa utilizzare una media ponderata di tassi di disoccupazione relativamente recenti.

Ma ecco il problema: questo ritorno storico al dato medio non riflette principalmente un qualche processo naturale di ripresa, riflette le azioni della banca centrale, che abbatte i tassi di interesse quando l’economia è in calo e li alza quando cresce. Se l’economia si scontra con uno shock abbastanza grande al punto da ritrovarsi dinanzi ad una condizione da “limite inferiore di zero” [1], quel meccanismo esce di scena, portando ad una persistente elevata disoccupazione  – che il filtro finisce coll’interpretare come una crescita del tasso naturale.

Ecco una illustrazione grezza, sulla base di dati degli Stati Uniti. Mostro i tassi di disoccupazione nel confronto con il cambiamento del tasso di disoccupazione negli ultimi tre anni (tre anni, giacché c’è una qualche tendenza per la quale durante le recessioni le cose peggiorano prima di migliorare):

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Si può vedere che mentre i tassi di disoccupazione saltano da un punto all’altro – si badi, sono cose che succedono – c’è stata una tendenza storica per la quale gli alti tassi sono seguiti da rapide discese; con riprese a forma di “V”. Ma non questa volta – perché la Fed si è ritrovata a procedere su una corda [2]. Ed un filtro come quello di Hodrick-Prescott, o qualcosa del genere, interpreterebbe questo come una crescita del tasso naturale di disoccupazione. Nel mio lontano saggio del 1998 sul Giappone, mettevo in evidenza che con i metodi allora in uso per stimare i differenziali di produzione si sarebbe arrivati alla conclusione che l’America degli anni Trenta era tornata alla piena occupazione nel 1935; ed oggi è la stessa cosa.

Cosa dire dell’inflazione? Anche in questo caso l’inflazione storica ha teso a crescere quando la disoccupazione era bassa ed a cadere quando era alta. Ecco il tasso di disoccupazione statunitense a confronto con i mutamenti nella inflazione sostanziale secondo il PCE [3] nel corso dell’anno successivo:

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Ma in questo momento abbiamo elevata disoccupazione assieme ad una inflazione sostanziale più o meno stabile. I modelli tradizionali interpreterebbero questo come una brusca ascesa del tasso naturale, forse dal 5,5 all’8 per cento. Quello che invece quasi sicuramente riflette è la condizione di vischiosità dell’inflazione a bassi livelli; la curva di lungo periodo di Phillips non è verticale grazie principalmente alla rigidità dei salari nominali verso il basso, e questa realtà è centrale nella interpretazione di cosa sta accadendo [4].

Vorrei che queste fossero tematiche strettamente tecniche, di nessuna importanza per il mondo reale.

Sfortunatamente non è così. La sottostima dei differenziali della produzione [5] porta ad eccessiva richieste di austerità ed ad una eccessiva compiacenza verso le banche centrali; il che perpetua la depressione; e più a lungo va avanti la depressione, più fuorvianti diventano le stime usuali.

Dunque è una buona notizia che a Bruxelles ci sia qualcuno consapevole che questo potrebbe rappresentare un problema.


[1] Per “zero lower bound” vedi le note sulla traduzione.

[2] Non sono certo che sia l’interpretazione giusta. Mi pare voglia dire che, data la condizione di tassi di interesse prossimi allo zero,  la Fed non ha potuto utilizzare lo strumento di una forte ulteriore riduzione dei tassi, e dunque si è trovata in una sorta di percorso obbligato.

[3] Per “headline inflation” e “core inflation” vedi le note sulla traduzione (oppure, più rapidamente, si consideri che la “core inflation” è una misura dell’inflazione al netto dei beni che hanno prezzi maggiormente volatili, ovvero di prodotti energetici e di alimentari, perché questi ultimi è provato che crescono e diminuiscono influenzando scarsamente i dati sostanziali di medio periodo) . Inoltre PCE è un Indice in uso negli Stati Uniti per misurare l’inflazione (Personal consumption expenditures price index).

[4] Il fenomeno della “rigidità verso il basso dei salari” – già studiato anche da Keynes – significa semplicemente che nella realtà non è affatto detto che una crisi ed una elevata disoccupazione comportino un abbassamento dei salari nominali perché essi sono ai nostri tempi abbastanza refrattari a tale fenomeno, il che comporta una più generale “vischiosità” della stessa inflazione.

[5] Ovvero, delle differenze tra la produzione effettiva e la produzione potenziale che si avrebbe se non si fosse in recessione ed il potenziale produttivo fosse utilizzato pianamente.

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