Blog di Krugman

Fabbriche dello sfruttamento più sicure (8 luglio 2013)

 

July 8, 2013, 1:32 pm

Safer Sweatshops

A long, long, long time ago I used to believe that the central political and economic debate facing our nation was going to be about globalization — not realizing that it would instead revolve around a powerful movement to roll back the clock here at home, and bring back the Gilded Age. (As I once said, I think to Robert Kuttner, while he and I were arguing about tariffs, Sauron was gathering his forces at Mordor). Anyway, back then, as a columnist for Slate, I wrote a piece arguing that low wages and poor working conditions by Western standards were necessary and inevitable in poor countries — provoking the predictable outrage.

All these issues have faded into the background, but they’re still out there — and the Bangladesh factory horror has bought some of them back to prominence. And there are now serious moves to impose stricter safety and working conditions standards in third-world apparel producers. So what’s my view?

The answer is, I’m all for them — and no, I don’t think that’s a contradiction of my earlier views.

It remains true that given their low productivity, countries like Bangladesh can’t be competitive with advanced countries unless they pay their workers much less, and provide much worse working conditions too. The Bangladeshi apparel industry is going to consist of what we would consider sweatshops, or it won’t exist at all. And Bangladesh, in particular, really really needs its apparel industry; it’s pretty much the only thing keeping its economy afloat.

At this point, however, there really isn’t any competition between apparel production in poor countries and rich countries; the whole industry has moved to the third world. The relevant competition is instead among poor countries — Bangladesh versus China, in particular. And here the differences aren’t as dramatic: McKinsey (pdf) estimates Bangladeshi productivity in apparel at 77 percent of China’s level.

Given this reality, can we demand that Bangladesh provide better conditions for its workers? If we do this for Bangladesh, and only for Bangladesh, it could backfire: the business could move to China or Cambodia. But if we demand higher standards for all countries — modestly higher standards, so that we’re not talking about driving the business back to advanced countries — we can achieve an improvement in workers’ lives (and fewer horrible workers’ deaths), without undermining the export industries these countries so desperately need.

So, can we act to improve the lot of workers in low-age, labor-intensive manufacturing? Yes, we can, as long as the goals are realistic and the measures appropriate in scale. And we should go ahead and do it.

 

Fabbriche dello sfruttamento più sicure

 

Molto, molto tempo fa ero propenso a credere che la discussione politica ed economica fondamentale per la nostra nazione fosse destinata ad essere quella sulla globalizzazione – non comprendendo che essa avrebbe invece ruotato attorno ad un potente movimento per rimettere indietro le lancette dell’orologio, qua da noi, e riportarci all’Età dell’Oro (come dissi una volta, mi pare a Robert Kuttner [1], mentre io e lui stavamo ragionando di tariffe, Sauron stava riunendo le sue forze a Mordor [2]). In ogni caso, a quei tempi, come commentatore della rivista Slate, scrissi un pezzo sostenendo che i bassi salari e le condizioni di lavoro miserabili per gli standard occidentali erano necessarie ed inevitabili nei paesi poveri – suscitando un prevedibile scandalo.

Tutti questi temi sono svaniti sullo sfondo, ma fuori da qua esistono ancora – e la fabbrica degli orrori del Bangladesh [3] ne ha riportato alcuni alla ribalta. E ci sono ora alcune serie iniziative per imporre standards più adeguati di sicurezza e di condizioni di lavoro ai produttori dell’abbigliamento del terzo mondo. Qual è dunque la mia opinione?

La risposta è: sono del tutto dalla loro parte – e no, non penso che ci sia una contraddizione con le mie precedenti posizioni.

Resta vero che data la loro bassa produttività, paesi come il Bangladesh non possono essere competitivi con i paesi avanzati se non pagano molto meno i loro lavoratori, ed anche se non forniscono peggiori condizioni lavorative. L’industria dell’abbigliamento del Bangladesh è destinata ad essere un luogo di sfruttamento, oppure a non esistere affatto.  Ed in particolare il Bangladesh ha senza alcun dubbio bisogno dell’industria dell’abbigliamento; è praticamente l’unica cosa che tiene a galla la sua economia.

A questo punto, tuttavia, non c’è alcuna competizione tra la produzione dell’abbigliamento nei paesi poveri e quella nei paesi ricchi; l’intera industria si è spostata nel terzo mondo. La competizione importante è piuttosto tra i paesi poveri – il Bangladesh verso la Cina, in particolare. E qua le differenze non sono spettacolari: McKinsey (disponibile in pdf) stima che la produttività del Bangladesh nell’abbigliamento sia il 77 per cento di quella della Cina.

Data questa realtà, possiamo chiedere che il Bangladesh fornisca condizioni migliori ai suoi lavoratori? Se lo facciamo col Bangladesh e solo col Bangladesh, sarebbe controproducente: le imprese si sposterebbero in Cina o in Cambogia. Ma se chiediamo standards più elevati per tutti paesi – standards modestamente più elevati, non stiamo parlando di portare le imprese ai livelli dei paesi avanzati – possiamo ottenere un miglioramento nella vita dei lavoratori (e un numero minori di morti orribili), senza mettere a repentaglio le industrie dell’export delle quali questi paesi hanno disperatamente bisogno.

Possiamo dunque agire per migliorare le manifatture di lavoratori in giovane età e ad alta intensità di lavoro? Si, possiamo nella misura in cui  gli obbiettivi sono realistici e le misure sono in scala appropriata. E dovremmo andare avanti a farlo.


[1] Robert Kuttner, giornalista e scrittore, cofondatore della rivista di orientamento liberal The American Prospect.

[2] Mordor (Terra Oscura; da mor “oscuro” e (n)dor “paese, terra”) è uno dei regni di Arda, l’universo immaginario fantasy creato dallo scrittore inglese J.R.R. Tolkien. Si trova nella Terra di Mezzo. È il paese di Sauron, una terra tetra circondata da scurissime montagne, sempre coperta da nuvole e abitata dai servi dell’Oscuro Signore, come gli orchi. (Wikipedia)

[3] Nello scorso aprile, uno stabilimento industriale del Bangladesh è crollato, provocando la morte di 1.127 lavoratori. A seguito di quella tragedia si sono sviluppate iniziative sostenute dai sindacati americani per avere la adesioni di vari marchi mondiali dell’abbigliamento a piani di sicurezza nel Bangladesh. Queste le immagini della tragedia:

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