Blog di Krugman

John Galt e la teoria dell’impresa (16 luglio 2013)

 

July 16, 2013, 1:58 pm

John Galt and the Theory of the Firm

Via David Atkins at Digby’s place, Bloomberg Businessweek has a great piece about how an Ayn Rand-loving hedge fund guy is driving Sears into the ground.

One quirk, by the way, is that he doesn’t meet with his division heads in person; it’s all by video link. And look, I’ve seen that movie — probably a Syfy original, but I don’t remember (better than Sharknado, anyway); clearly, this guy doesn’t even exist, he’s a computer-generated hologram being manipulated by an evil IT guy.

But back to the economics: Eddie Lampert’s big idea is that markets and competition rool, so he’s forcing the different parts of Sears to compete for resources just as if they were independent firms, with individual division profitability the only criterion for success. According to BB, it’s not going well; but they don’t get much into the broader issues.

The first issue that should pop into anyone’s head here is, if the different divisions of Sears have no common interests, if the best model is competition red in tooth and claw, why should Sears exist at all? Why not just break it up into units that have no reason not to compete?

For that matter, why should any large firm exist? Why not just have small firms, or maybe just individuals, who make deals for whatever they need?

Of course, that’s not how we do things. We may live in a market sea, but that sea is dotted with many islands that we call firms, some of them quite large, within which decisions are made not via markets but via hierarchy — even, you might say, via central planning. Clearly, there are some things you don’t want to leave up to the market — the market itself is telling us that, by creating those islands of planning and hierarchy.

Now, why exactly that’s true — why some things are better done through market mechanisms, while others are better done through at least a bit of command-and-control — is a deep issue. Oliver Williamson (pdf) got a Nobel for helping elucidate some aspects of that issue (although that may not mean much to you, considering some of the people who’ve gotten Nobels).

The thing is, however, that for a free-market true believer the recognition that some things are best not left up to markets should be a disturbing notion. If the limitations of markets in providing certain kinds of shared services are important enough to justify the creation of command-and-control entities with hundreds of thousands or even millions of workers, might there not even be some goods and services (*cough* health care *cough*) best provided by non-market means even at the level of the economy as a whole?

So in a way Eddie Lampert is being consistent: he’s putting his money (or actually his investors’ money) where his ideology is, and applying market-worship to the internal management of his own company.

Of course, the purity of the experiment is sort of spoiled by the likelihood that there isn’t actually any such person, that he’s just a hologram. But still.

 

John Galt e la teoria dell’impresa

 

Per il tramite di David Atkins sul blog Digby, vedo che Bloomberg Businessweek pubblica un gran pezzo su un personaggio degli hedge-fund amante di Ayn Rand [1], che sta spremendo SEARS [2].

Una (sua) mania, per inciso, è che non incontra i suoi capi reparto personalmente; fa tutto attraverso collegamenti video. E guardate, ho visto la ripresa – probabilmente un originale Syfy [3], ma non ricordo (meglio che Sharknado [4], comunque); è chiaro che questo personaggio neanche esiste, è un ologramma generato da un computer che viene manipolato da un malvagio personaggio del genere IT [5].

Ma torniamo all’economia. La grande idea di Eddie Lampert [6] è che i mercati e la competizione comandano [7], dunque egli sta costringendo le diverse parti di SEARS a competere per le risorse come se fossero aziende indipendenti, con la capacità delle divisioni singole di fare profitti come unico criterio per il successo. Secondo Bloomberg Businessweek non sta andando bene; ma essi non si interessano molto agli aspetti più generali.

Il primo tema che dovrebbe transitare un attimo nella testa di ognuno è, se le diverse divisioni di SEARS non hanno alcun comune interesse, se il miglior modello è una accesa competizione con le unghie ed i denti, perché dovrebbe esistere la SEARS? Perché frantumarla in unità che hanno la sola ragione di essere in competizione?

Per lo stesso motivo, perché dovrebbe esistere una qualsiasi grande impresa? Perché non aver soltanto piccole imprese, che fanno accordi per tutto quello di cui hanno bisogno?

Naturalmente, non è questo il modo in cui vanno le cose. E’ possibile che si viva in un mercato simile ad un mare, ma quel mare è cosparso di molte isole che noi chiamiamo imprese, alcune delle quali abbastanza ampie, all’interno delle quali le decisioni sono prese non attraverso i mercati ma per via gerarchica – si potrebbe dire persino attraverso una pianificazione centrale. Chiaramente, ci sono alcune cose che non bisogna lasciare al mercato – il mercato spesso ci dice quali, creando quelle isole di pianificazione e di gerarchia.

Ora, la ragione per la quale quanto ora detto è vero – perché alcune cose sono meccanismi che riescono meglio attraverso i mercati, mentre altre riescono meglio almeno attraverso un po’ di funzioni di comando-e-controllo – è un tema profondo. Oliver Williamson (disponibile in pdf) ha avuto il Nobel per aver contribuito ad illustrare alcuni aspetti di quella tematica (sebbene questo possa non interessarvi granché, considerati alcuni individui che hanno ottenuto il premio Nobel [8]).

Il punto, tuttavia, è che per un vero credente nel libero mercato, il riconoscere che ci siano cose che vanno nel migliore dei modi se non sono lasciate ai mercati, dovrebbe risultare un concetto fastidioso. Se le limitazioni dei mercati nel fornire certi generi di servizi condivisi sono abbastanza importanti da giustificare la creazione di entità di comando-e-controllo con centinaia di migliaia o persino milioni di lavoratori, non potrebbero esserci anche alcuni beni o servizi (ad esempio la assistenza sanitaria, colpetto di tosse!) che sono meglio forniti da strumenti non di mercato, persino al livello dell’economia nel suo complesso?

Dunque, in certo qual modo Eddie Lampert è stato coerente: sta mettendo il suo denaro (o in effetti il denaro dei suoi investitori) dove gli dice la sua ideologia, ed applica il culto del mercato alla gestione interna della propria impresa.

Naturalmente, la purezza dell’esperimento è un po’ viziata dalla probabilità che in effetti non si tratti di una persona e che egli sia soltanto un ologramma. Eppure …


[1] Come ormai è noto, Ayn Rand è una sorta di icona dei conservatori americani. Filosofa-scrittrice americana di origini russe (nacque nel 1905 a San Pietroburgo e morì a New York nel 1982), ispiratrice del pensiero “libertarian” – che non potremmo tradurre né con “libertario” né con “liberista”, perché probabilmente non può venirci in mente niente di paragonabile in Italia o in Europa – scrisse un libro di recente tornato molto in auge, “Atlas Shrugged”, nel quale si dipana una singolare storia di un imprenditore che entra in lotta contro un immaginario Stato totalitario burocratico, quasi come un eroe partigiano di una guerra di liberazione capitalistica. E quell’imprenditore si chiamava John Galt.

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[2] Sears è una catena di Grande distribuzione statunitense fondata nel 1886 da Richard Warren Sears e Alvah Curtis Roebuck. È diventato il più grande dettagliante negli Stati Uniti dalla metà del ventesimo secolo (Wikipedia).

[3] Syf è un canale televisivo statunitense, lanciato il 24 settembre 1992, ed è specializzato nei generi fantascienza, paranormale, avventura, fantasy e horror. Dal 7 luglio 2009 il canale ha cambiato nome da Sci-Fi Channel a quello attuale

[4] Un recente film di squali, pare bruttissimo.

[5] Suppongo dal libro di Stephen King, dal quale numerose serie cinematografiche e televisive.

[6] Pare sia il nome dell’individuo che ha ora in mano la Sears.

[7] “Rool” è un equivalente di “rule” (UrbanDictionary).

[8] Evidentemente, il riferimento ironico è a se stesso.

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