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La politica in una Cina che rallenta, di Minxin Pei (6 luglio 2013)

 

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Minxin Pei

Jul. 6, 2013

The Politics of a Slowing China

SINGAPORE – The recent financial turmoil in China, with interbank loan rates spiking to double digits within days, provides further confirmation that the world’s second-largest economy is headed for a hard landing. Fueled by massive credit growth (equivalent to 30% of GDP from 2008 to 2012), the Chinese economy has taken on a level of financial leverage that is the highest among emerging markets. This will not end well.

 

Indeed, a recent study by Nomura Securities finds that China’s financial-risk profile today uncannily resembles those of Thailand, Japan, Spain, and the United States on the eve of their financial crises. Each crisis-hit economy had increased its financial leverage – the ratio of domestic credit to GDP – by 30 percentage points over five years shortly before their credit bubbles popped.

Economists who insist that China’s financial leverage is not too high are a dwindling minority. Certainly the People’s Bank of China, which engineered a credit squeeze in June in an attempt to discourage loan growth, seems to believe that financial leverage has risen to dangerous levels. The only questions to be answered now concern when and how deleveraging will occur.

 

At the moment, China watchers are focusing on two scenarios. Under the first, a soft economic landing occurs after China’s new leadership adopts ingenious policies to curb credit growth (especially through the shadow banking system), forces over-leveraged borrowers into bankruptcy, and injects fiscal resources into the banking system to shore up its capital base. China’s GDP growth, which relies heavily on credit, will take a hit. But the deleveraging process will be gradual and orderly.

Under the second scenario, China’s leaders fail to rein in credit growth, mainly because highly leveraged local governments, well-connected real-estate developers, and state-owned enterprises (SOEs) successfully resist policies that would cut off their access to financing and force them into insolvency. Consequently, credit growth remains unchecked until an unforeseen event triggers China’s “Lehman” moment. Should this happen, growth will collapse, many borrowers will default, and financial chaos could ensue.

 

Two intriguing observations emerge from these two scenarios. First, drastic financial deleveraging is unavoidable. Second, Chinese growth will fall under either scenario.

So, what impact will the coming era of financial deleveraging and decelerating growth have on Chinese politics?

Most would suggest that a period of financial retrenchment and slow GDP growth poses a serious threat to the legitimacy of the Chinese Communist Party (CCP), which is based on economic performance. Rising unemployment could spur social unrest. The middle class might turn against the party. Because economic distress harms different social groups simultaneously, it could facilitate the emergence of a broad anti-CCP coalition.

Moreover, massive economic dislocation could destroy the cohesion of the ruling elites and make them more vulnerable politically. Indeed, members of the ruling elite will be the most immediately affected by financial deleveraging. Those who borrowed recklessly during China’s credit boom are not small private firms or average consumers (household indebtedness in China is very low), but local governments, SOEs, and well-connected real estate developers (many of them family members of government officials). Technically, successful financial deleveraging means restructuring their debts and forcing some of them into bankruptcy.

 

 

 

By definition, such people have the political wherewithal to mount a fierce fight to preserve their wealth. But, given the huge size of China’s credit bubble and the enormous amounts of money needed to recapitalize the banking system, only some of them will be bailed out. Those who are not will naturally harbor resentment toward those who are.

Slower GDP growth undermines elite unity according to a different political dynamic. The current Chinese system is a gigantic rent-distributing mechanism. The ruling elites have learned to live with each other not through shared beliefs, values, or rules, but by carving up the spoils of economic development. In a high-growth environment, each group or individual could count on getting a lucrative contract or project. When growth falters, the food fight among party members will become vicious.

The people who should be most concerned with financial deleveraging and slower growth are President and CCP General Secretary Xi Jinping and Prime Minister Li Keqiang. If the deleveraging process is quick and orderly, they will emerge stronger in time for their reappointment in 2017 (the Chinese political calendar thus dictates that they turn the economy around by the first half of that year).

Xi and Li are inseparably linked with the CCP’s promise of economic prosperity and national greatness, embodied in the official catchphrase, “China dream.” What, then, will they do when faced with a political nightmare?

 

 

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Minxin Pei

6 luglio 2013

 

La politica in una Cina che rallenta

 

SINGAPORE – Il recente disordine finanziario in Cina, con i tassi dei prestiti interbancari che sono saliti in alto a due cifre nel giro di giorni, fornisce una ulteriore conferma che la seconda economia mondiale è indirizzata verso un difficile atterraggio. Alimentata da una crescita massiccia del credito (equivalente al 30% del PIL dal 2008 al 2012) l’economia cinese ha assunto un livello di dipendenza dalla leva finanziaria che è il più elevato tra i mercati emergenti. Questo non promette niente di buono.

In effetti, uno studio recente da parte di Nomura Securities scopre che il profilo di rischio finanziario della Cina di oggi misteriosamente assomiglia a quelli della Thailandia, del Giappone, della Spagna e degli Stati Uniti al momento delle loro crisi finanziarie. Ogni economia colpita dalla crisi ha accresciuto la sua dipendenza dalla leva finanziaria – intesa come rapporto tra il credito interno ed il PIL – di circa trenta punti percentuali nei cinque anni appena precedenti lo scoppio delle loro bolle del credito.

Gli economisti che sostengono che la dipendenza dalla leva finanziaria della Cina non sia troppo alta sono una minoranza che si riduce sempre più. Certamente la Banca del Popolo cinese, la quale in giugno a disposto una stretta del credito nel tentativo di scoraggiare una crescita dei prestiti, sembra credere che la leva finanziaria sia salita a livelli pericolosi. Le uniche domande alle quali adesso si deve rispondere sono il come ed il quando avverrà la riduzione dell’indebitamento.

In questo momento, gli osservatori della Cina si concentrano su due scenari. Secondo il primo, una crescita rallentata interverrà dopo che la nuova leadership della Cina avrà frenato la crescita del credito (specialmente attraverso il sistema bancario ombra), costretto i creditori sovraesposti alla bancarotta, ed iniettato risorse finanziarie pubbliche nel sistema bancario per sostenere la sua base di capitale. La crescita del PIL cinese, che si basa pesantemente sul credito, subirà un colpo. Ma il processo di deleveraging sarà graduale ed ordinato.

Nel secondo scenario, i leaders cinesi non riusciranno a tirare le redini della crescita del credito, principalmente a causa degli altamente indebitati governi locali, ben collegati con gli imprenditori immobiliari, e le imprese statali (SOE) resisteranno con successo alle politiche che vorrebbero ridurre il loro accesso al finanziamento e ridurle all’insolvenza. Di conseguenza, la crescita del credito resterà incontrollata sino ad un imprevedibile evento che innescherà un momento “Lehman” cinese. Nel caso che questo accada, la crescita avrà un collasso, molti tra coloro che hanno preso prestiti falliranno, e potrebbe seguire un caos finanziario.

Da questi scenari emergono due interessanti osservazioni. La prima, una drastica riduzione dei rapporti di indebitamento è inevitabile. La seconda, la crescita cinese verrà meno in entrambi gli scenari.

Dunque, quali impatti avrà l’epoca in arrivo della riduzione dell’indebitamento e della decelerazione della crescita sulla politica cinese?

La maggior parte degli osservatori suggerisce che un periodo di tagli delle spese e di lenta crescita del PIL costituirà una seria minaccia alla legittimazione del Partito Comunista cinese, che è basata sulle prestazioni economiche. Una disoccupazione crescente potrebbe provocare agitazioni sociali. La classe media potrebbe rivoltarsi al Partito. Dato che le difficoltà economiche danneggiano simultaneamente diversi gruppi sociali, ciò potrebbe facilitare l’emergere di una ampia coalizione contro il Partito Comunista Cinese.

Inoltre, massicce modifiche nell’economia potrebbero distruggere la coesione delle classi dirigenti e renderle più vulnerabili politicamente. In effetti, i membri delle classi dirigenti sarebbero i più immediatamente interessati da una riduzione dell’indebitamento finanziario. Coloro che si sono più sconsideratamente indebitati durante il boom del credito in Cina non sono le piccole imprese private o i consumatori medi (l’indebitamento delle famiglie in Cina è molto basso), ma i governi locali, le imprese statali, gli imprenditori immobiliari dotati di buoni collegamenti (molti di loro componenti delle famiglie dei dirigenti governativi). Tecnicamente, una riduzione dell’indebitamento finanziario che abbia successo significa una riduzione dei loro debiti e costringere molti di loro al fallimento.

Per definizione, tali persone hanno tutto quello che occorre sul piano politico per dar vita ad una accanita lotta per difendere la loro ricchezza. Ma data la grande dimensione della bolla del credito in Cina e le enormi quantità di denaro necessarie per ricapitalizzare il sistema bancario, solo alcuni di loro saranno salvati. Quelli che non lo saranno, naturalmente nutriranno risentimento verso gli altri.

Una crescita più lenta del PIL mette a repentaglio l’unità delle classi dirigenti sulla base di una diversa dinamica politica. L’attuale sistema cinese è un gigantesco meccanismo di distribuzione delle rendite. Le classi dirigenti al comando hanno imparato a coesistere non attraverso la condivisione di convincimenti, valori o regole, ma ripartendosi le spoglie dello sviluppo economico. In un contesto di elevata crescita, ciascun gruppo o individuo potrebbe contare sull’ottenimento di un contratto o di un progetto lucrativo. Quando la crescita vacillerà, la lotta per gli alimenti tra i membri del Partito diventerà  feroce.

Gli individui che dovrebbero essere più preoccupati di una riduzione del rapporto di indebitamento finanziario e di una crescita più lenta sono il Presidente ed il Segretario Generale del Partito Comunista Cinese Xi Jinping e il Primo Ministro Li Keqiang. Se il processo di riduzione dell’indebitamento sarà rapido ed ordinato, essi riemergeranno più forti nel momento della loro nuova nomina nel 2017 (il calendario politico cinese in tal modo stabilisce che essi diano una svolta all’economia entro la prima metà di quell’anno).

Xi e Li sono inseparabilmente congiunti con la promessa di prosperità economica e di grandezza nazionale del PCC,   rappresentata dallo slogan ufficiale “Il sogno della Cina”. Cosa faranno, dunque, una volta che saranno di fronte ad un incubo politico?

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