Daniel Gros is Director of the Brussels-based Center for European Policy Studies. He has worked for the International Monetary Fund, and served as an economic adviser to the European Commission, th…
Jul. 10,2013
BRUSSELS – What is wrong with Europe’s banks? The short answer is that the sector is too large, has too little capital, and contains too many players that lack a viable long-term business model. It is the combination of the last two factors – an overabundance of banks with no sustainable way to turn a profit – that constitutes the most serious and most difficult problem.
The banking sector’s size is a cause for concern because, with total liabilities amounting to more than 250% of the eurozone’s GDP, any major problem could over-burden public budgets. In short, the banking sector in Europe might be too big to be saved.
Undercapitalization can be cured by an infusion of new equity. But the larger the banking sector, the more difficult this might become. More important, it makes no sense to put new capital into banks that cannot return profits for the foreseeable future.
The difficulties in southern Europe are well known, but they differ fundamentally from country to country. In Spain, banks have historically issued 30-year mortgages whose interest rates are indexed to interbank rates such as Euribor, with a small spread (often less than 100 basis points) fixed for the lifetime of the mortgage.
This was a profitable model when Spanish banks were able to refinance themselves at a spread much lower than 100 basis points. Today, however, Spanish banks – especially those most heavily engaged in domestic mortgage lending – must pay a much higher spread over interbank rates to secure new funding. Many local Spanish banks can thus stay afloat only because they refinance a large share of their mortgage book via the European Central Bank. But reliance on cheap central bank (re)financing does not represent a viable business model.
In Italy, the difficulties arise from banks’ continued lending to domestic companies, especially small and medium-size enterprises (SMEs), while GDP has stagnated. Even before the eurozone crisis erupted in 2010, the productivity of capital investment in Italy was close to zero.
The onset of the current recession in Europe has exposed this low productivity, with the failure of many SMEs leading to large losses for the banks, whose funding costs, meanwhile, have increased. It is thus difficult to see how Italian banks can return to profitability (and how the country can resume economic growth) unless the allocation of capital is changed radically.
There are problems north of the Alps as well. In Germany, banks earn close to nothing on the hundreds of billions of euros of excess liquidity that they have deposited at the ECB. But their funding costs are not zero. German banks might be able to issue securities at very low rates, but these rates are still higher than what they earn on their ECB deposits. Moreover, they must maintain an extensive – and thus expensive – domestic retail network to collect the savings deposits from which they are not profiting.
Of course, some banks will always do better than others, just as some will suffer more than others from negative trends. It is thus essential to analyze the situation of each bank separately. But it is clear that in an environment of slow growth, low interest rates, and high risk premia, many banks must struggle to survive.
Unfortunately, the problem cannot be left to the markets. A bank without a viable business model does not shrink gradually and then disappear. Its share price might decline toward zero, but its retail customers will be blissfully unaware of its difficulties. Other creditors, too, will continue to provide financing, because they expect that the (national) authorities will intervene – either by providing emergency funding or by arranging a merger with another institution – before the bank fails. Recent official tough talk in the European Union about “bailing in” bank creditors has not impressed markets much, not least because the new rules on potentially imposing losses on creditors are supposed to enter into force only in 2018.
Starting next year, when it takes over authority for bank supervision, the ECB will review the quality of banks’ assets. But it will be unable to review the longer-term viability of banks’ business models. Current owners will resist to the end any dilution of their control; and no national authority is likely to admit that their national “champions” lack a plausible path to financial viability.
Keeping a weak banking system afloat has high economic costs. Banks with too little capital, or those without a viable business model, tend to continue lending to their existing customers, even if these loans are doubtful, and to restrict lending to new companies or projects. This misallocation of capital hampers any recovery and dims longer-term growth prospects.
What should be done is clear enough: recapitalize much of the sector and restructure those parts without a viable business model. But this is unlikely to happen any time soon. Unfortunately, until it does, Europe is unlikely to recover fully from its current slump.
10 luglio 2013
Le Banche Zombie d’Europa
di Daniel Gros
(direttore del Centro per gli studi della Politica Europea a Bruxelles, ha lavorato al Fondo Monetario Internazionale ed è stato consulente della Commissione Europea)
BRUXELLES – Cosa c’è di sbagliato nelle banche europee? La risposta in breve è che il settore è troppo ampio, ha troppo poco capitale e contiene troppi protagonisti che mancano di un modello economico praticabile nel lungo termine. E’ la combinazione degli ultimi due fattori – una sovrabbondanza di banche con una modalità non sostenibile di fare profitti – che costituisce il problema più serio e più difficile.
La dimensione del settore bancario è una preoccupazione perché, con un totale di passività che ammontano a più del 250% del PIL dell’eurozona, ogni importante problema potrebbe sovraccaricare i bilanci pubblici. In poche parole, il settore bancario in Europa potrebbe essere troppo grande per essere salvato.
La sottocapitalizzazione può essere curata attraverso una immissione di nuovo capitale azionario. Ma più largo è il settore bancario, più difficile questo potrebbe diventare. Ancora più importante, non avrebbe senso immettere nuovo capitale nelle banche che non possa produrre profitti in un futuro prossimo.
Le difficoltà nell’Europa meridionale sono ben note, ma differiscono sostanzialmente da paese a paese. In Spagna, le banche hanno emesso mutui trentennali i cui tassi di interesse erano indicizzati a tassi interbancari come l’Euribor [1], con piccole differenze (spesso meno di 100 punti base) definite sulla base della durata del mutuo.
Questo era un modello conveniente quando le banche spagnole erano capaci di rifinanziarsi con differenziali molto più bassi di 100 punti base. Oggi, tuttavia, le banche spagnole – specialmente quelle più pesantemente impegnate nella concessione di mutui all’interno – possono pagare uno spread molto più elevato sui tassi interbancari per assicurarsi nuovi finanziamenti. Molte banche locali spagnole possono quindi restare a galla solo perché rifinanziano una larga quota del loro volume di mutui attraverso la Banca Centrale Europea. Ma affidarsi al conveniente rifinanziamento della banca centrale non rappresenta un modello economico praticabile.
In Italia, le difficoltà vengono dai continui prestiti delle banche ad imprese nazionali, specialmente ad imprese di dimensioni piccole e medie (PMI), nel mentre il PIL ha ristagnato. Anche prima che scoppiasse la crisi dell’eurozona nel 2010, la produttività dell’investimento di capitale in Italia era prossima a zero.
L’avvio della attuale recessione in Europa ha messo a rischio questa bassa produttività, con il fallimento di molte piccole e medie imprese che ha comportato grandi perdite per le banche, i cui costi di finanziamento, nel frattempo, crescevano. E’ dunque difficile vedere come le banche italiane possano tornare alla profittabilità (e come il paese possa ripristinare una crescita dell’economia) senza che la allocazione di capitale sia radicalmente modificata.
Ci sono problemi anche a nord delle Alpi. In Germania le banche non guadagnano quasi niente sulle centinaia di miliardi di euro di liquidità in eccesso che hanno depositato presso la BCE. Le banche tedesche potrebbero essere capaci di emettere titoli a tassi molto bassi, ma questi tassi sarebbero ancora più elevati di quello che guadagnano nei loro depositi presso la BCE. Inoltre, esse debbono mantenere una vasta . e di conseguenza dispendiosa – rete interna di sportelli per raccogliere risparmi depositati dai quali non traggono profitti.
Naturalmente, alcune banche fanno meglio di altre, così come alcune soffrono più di altre da queste tendenze negative. E’ quindi essenziale analizzare la situazione di ogni singola banca separatamente. Ma è chiaro che in un ambiente di lenta crescita, di bassi tassi di interesse e di alti premi ai rischi, molte banche debbono combattere per sopravvivere.
Sfortunatamente, il problema non può essere lasciato ai mercati. Una banca senza un modello economico praticabile non si restringe gradualmente per poi scomparire. I suo valore azionario può declinare sino allo zero, ma i clienti agli sportelli saranno beatamente inconsapevoli delle sue difficoltà. Anche altri creditori continueranno a fornire finanziamenti, perché si aspettano che le autorità (nazionali) interverranno – sia fornendo finanziamenti di emergenza che combinando una fusione con un altro istituto – prima che la banca fallisca. Le recenti dure prese di posizione nell’Unione Europea a proposito sui “salvataggi interni” dei creditori delle banche [2] non hanno molto impressionato i mercati, tra l’altro perché le nuove regole sulla potenziale imposizione di perdite sui creditori si pensa entrino in funzione solo nel 2018.
A partire dal prossimo anno, quando assumerà l’autorità per la supervisione bancaria, la BCE riesaminerà la qualità degli assets delle banche. Ma essa non potrà riesaminare la correttezza dei modelli economici delle banche a lungo termine. Gli attuali proprietari resisteranno sino all’ultimo ad ogni attenuazione del loro controllo; e non è probabile che nessuno autorità nazionale ammetta che i propri “campioni” difettino di un plausibile indirizzo di sostenibilità finanziaria.
Tenere a galla un sistema finanziario debole ha elevati costi economici. Le banche con un capitale troppo piccolo, oppure quelle prive di un modello economico sostenibile, tendono a proseguire i prestiti ai loro clienti esistenti, anche se sono prestiti dubbi, ed a restringere i prestiti a nuove imprese o progetti. Questa cattiva allocazione dei capitali intralcia ogni ripresa ed offusca le prospettive di una crescita a lungo termine.
E’ abbastanza chiaro quello che dovrebbe essere fatto: ricapitalizzare buona parte del settore e ristrutturare quelle parti che non hanno un modello economico sostenibile. Ma è improbabile che questo accada in breve tempo. Sfortunatamente, finché non lo fa, è improbabile che l’Europa si riprenda pienamente dalla attuale recessione.
[1] L’Euribor (acronimo di EURo Inter Bank Offered Rate, tasso interbancario di offerta in euro) è un tasso di riferimento, calcolato giornalmente, che indica il tasso di interesse medio delle transazioni finanziarie in Euro tra le principali banche europee.
L’Euribor viene utilizzato come tasso medio applicato da primari istituti di credito per operazioni a termine effettuate sul mercato interbancario (con controparte altri primari istituti di credito) con scadenza una, due e tre settimane, e da uno a dodici mesi. L’Euribor varia solamente in funzione della durata del prestito e non dipende dall’ammontare del capitale.
La nascita dell’Euribor è avvenuta, contestualmente a quella dell’Euro, il 1º gennaio 1999; più precisamente il primo tasso Euribor è stato definito il 30 dicembre 1998, con validità dal 4 gennaio 1999. Attualmente viene determinato (“fissato”) giornalmente dalla European Banking Federation (EBF) come media dei tassi di deposito interbancario tra un insieme di banche, oltre 50. I tassi applicati a tali operazioni dalle banche con il maggiore volume d’affari dell’area Euro (per l’Italia contribuiscono Intesa Sanpaolo, Unicredit, Monte dei Paschi di Siena e UBI Banca) e da alcuni istituti di credito estranei all’area vengono comunicati giornalmente, entro le ore 11 CET, all’agenzia Reuters che provvede, per ogni singola scadenza, a calcolarne la media (arrotondata al terzo decimale) escludendo dal computo il 15% dei valori rispettivamente più alti e più bassi. Tale esclusione permette di evitare che valori anomali falsino il valore dell’Euribor stesso. Reuters provvede poi a pubblicare giornalmente il valore dell’Euribor.
[2] “Grazie ad una convergenza di visione da parte dei Ministri delle Finanze dei 27 membri dell’Unione Europea … inizia l’era del terrore per chi investe in titoli azionari di banche, per chi detiene obbligazioni bancarie e soprattutto per chi detiene ingenti disponibilità in depositi bancari … basta con il bail-out e via libera invece al bail-in, che tradotto in lingua comprensibile significa basta con i salvataggi bancari il cui onere viene scaricato indiscriminatamente sui contribuenti: d’ora in avanti infatti a pagare per scongiurare che una banca fallisca saranno prima gli azionisti, seguiti dagli obbligazionisti (con i vari livelli di privilegio e garanzia) ed infine anche i depositanti …” (da Eugenio Benettazzo, “Cado in piedi”, 30 giugno 2013)
By mm
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